Il talento dell’Equilibrista. Note di lettura dal libro di Guglielmo Aprile.

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Tutti i testi della raccolta, più di settanta, divisi in tre sezioni (Nequiquam, Bildungsroman, l’ignoranza) hanno un campo di forza inerte, l’anima dei “leoni mandati in pensione”. La vita divora ogni cosa: il talento di un’equilibrista è star vicino alla vita sentendone l’ombra. Quel “Invano (nequiquam) spargere di perfide dolcezze della vita”, che cantava Pierre Quillard.  Gli amori sono nemesi di illusione, gli animali domestici sono mosche e rettili, la via è ammassata di anni, il tempo umilia le montagne.
Non c’è contagio in questa verità. Non c’è espansione da un “uno” ad un “noi”. Non si condivide il peso della disillusione con nessuno. “Ma il letto vuoto\è solo un letto vuoto, chiunque non parla che a se stesso\con chiunque parli”  I dialoghi nell’umanizzazione del dolore recitano soliloqui che analizzano il movimento incessante della morte che inghiotte la vita.
“Perdono un pezzo dopo l’altro\le giunture dei vecchi ponti\l’appartamento non coincide\con la sua pianta in scala”. Leggere oggi la quartina de “I vendemmiatori di polvere” fa impallidire. Tiresia l’equilibrista non è del tutto accecato. Non ha profetizzato: ha letto il futuro guardando il mondo senza un attimo di pace.
La scrittura è ricca, fatta in versi liberi, incisi di terzine e chiuse dalla portata lirica, in una sapienza compositiva attenta ad una quiete dell’enunciato, che sparge Lot e statue di sale, figurine Panini e Barbie. La storia intera recita se stessa quando, Nequiquam, , la gens umana prova a trattenere ciò che è le caro perdendo verso l’egoismo del tempo , che eternamente glielo sottrae . “Panta Rei dice l’acqua al lavandino”. Bildungsroman, è una “Falsa Itaca”. In questi giorni globalizzati,  dov’è il vero viaggio? Si parte e si ritorna, come turisti che non s’incantano più alle sirene. “Dov’è l’anguria promessa\dai depliant dei villaggi estivi: i pomeriggi sprecano le loro praterie\mentre una voce guida prega di attendere”. Nel mondo non si incontrano che gorgoni e immagini di morte. Dove sono i compagni fidati? Dov’è l’amore? Dov’è “questa inspiegabile smania \di affacciarsi, di bere alla sorgente”. Iside è una chiromante da circo, non ‘è più nessuna speranza di vaticinio che prometta felicità.
Probalile o necessario un luogo diverso, per poter continuare a cercare, per “restare ancora qui”, a pensare a una cosa bella, ad affezionarsi alla primavera “sindrome di Stoccolma\verso un sequestratore che si fa degli scrupoli\in fondo nemmeno così cattivo”. L’ignoranza è il fiore nero che chiude la raccolta. Il talento dell’equilibrista che non scende dalla sua fune, guardando le poche nuvole di fronte; la poesia è “testimone unico\dell’apparizione della stella\ non raccontarlo in giro o ti daranno del matto”.

S. Sambiase

Da

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IL TALENTO DELL’EQUILIBRISTA
di Guglielmo Aprile

 

DI QUESTO PASSO

Ci si incammina verso una probabile
liquidazione totale,
a breve è previsto l’esproprio,
dichiarato incapace di intendere e volere
il vecchio che provvedeva a sfamare
i piccioni dell’intero quartiere;
a partire dal primo di ogni mese
scatta la detrazione,
la confisca è immediata,
le ali di paglia finiscono all’asta,
si mettono i sigilli
ai cassetti in cui non abbiamo guardato,
si archiviano le domande
scadute per decorrenza dei termini.

TIRANDO LE SOMME

Quanti leoni mandati in pensione
e come approdo un’insalata condita male per cena;

tutto un adoperarsi
per riempire bottiglie forate,
per battezzare un falò dall’erba umida;

l’incontro galante sospirato per mesi
si è concluso in una mezza cilecca,
nemesi di chi spera.

Solo le mosche si salvano dagli incendi,
eredi uniche, ironiche
vincitrici sull’apocalisse.

SCORIE
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Il sarcasmo della pioggia
scortica i volti e denuda le costole
dietro il piumaggio soffice,
le statue giocano a un due tre stella
mentre la morte fa la conta, oppure
con smorfie e boccate distolgono
dall’asfalto lo sguardo dei passanti;

un quoziente scarno, insoddisfacente
si ottiene dal rapporto
fra il mondo e la mia pelle,

non restano che scorie
in un modo o nell’altro da smaltire
al termine di ogni metabolismo.

SFASATURA

Non c’è corrispondenza
tra le parole del banditore
e l’interno della scatola colorata;

i denti caduti e seminati
non daranno raccolto,
scartatala fiammante confezione regalo
l’abito sarà di un paio di taglie più corto;

e quante volte, povera piccola,
resterai delusa
dai distributori automatici
che non rilasciano il resto.

ALTRIMENTI E’ COME ESSERE GIA’ MORTI


Pensa ad una cosa bella,
le caffetterie aperte già alle sei
incoraggiano a vivere i più timidi,
i piccioni pregano sulle pozzanghere,
l’alba e isuoi carichi impazienti di fragole,
gli alberi dalla grazia silenziosa
assorti nel sonno, malgrado il traffico.

Il condannato meglio che resti all’oscuro
circa ora e data dell’esecuzione,
e nel frattempo si svaghi
confrontando i fusi orari
delle diverse longitudini
o portando da mangiare
alle salamandre sotto il suo letto

“L’amica geniale” di Elena Ferrante – la mia lettura

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Ci sono libri che leggiamo con leggerezza disimpegnata, per semplice passatempo, e libri che leggiamo più o meno volentieri, consapevoli che possono arricchire il nostro orizzonte mentale; libri cui ci dedichiamo a fatica per puro obbligo, scolastico o di altro genere, e libri con cui riempiamo il tempo solo perchè ci sono capitati sottomano, perchè in quel momento erano di moda e vendevano molto, ma poi sono arrivati a deluderci e li abbiamo finiti svogliatamente.

Ci sono libri che tiriamo fuori da vecchie librerie, e, sorpresi di non averli mai letti, divoriamo scoprendo di esserci persi qualcosa, a suo tempo; ma non è irrimediabile, un libro non scade come lo jogurt, va sempre bene.

Ci sono libri considerarti imperdibili, ma che non riusciamo a digerire, e classici che ci sorprendono per la loro freschezza e capacità di coinvolgerci; ci sono anche libri nati come opere di dal violento intento anticonformista, ma che a distanza di tempo ci appaiono datati e privi di mordente nel loro linguaggio superato.

E poi ci sono libri, rari e appunto per questo preziosi, che non sono semplici libri, ma autentiche esperienze di vita: segnano il nostro percorso umano e spostano le nostre coordinate mentali. Continua a leggere

“D’amore e d’acqua” di Maria Gisella Catuogno Edizione Il Foglio Letterario


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Nel  1926 Georges e Tigy Simenon, ancora  poco conosciuti e con magre risorse economiche, lasciano per qualche settimana Parigi, dove erano approdati qualche anno prima dal Belgio senza un soldo in tasca, ma con sogni letterari e artistici in testa, per un periodo di riposo a Porquerolles, isola a forma di falce di luna sulla Costa Azzurra. Cominceranno così a scoprire la magia dell’acqua – capace di curare fatiche fisiche e stress psicologici – che negli anni successivi li porterà a percorrere la Francia in lungo e in largo attraverso i suoi fiumi e canali, a bordo della mitica Ginette e, successivamente, a tentare imprese più ardue con   l’Ostrogoth, in grado di farli giungere fino in Olanda e nel Mare del Nord, dove poi, a bordo di un cargo, continueranno la navigazione verso Capo Nord e il Circolo Polare Artico. Continua a leggere

Andare per salti di Annamaria Ferramosca

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Andare per salti presuppone la volontà e la necessità di staccarsi dal suolo, seppure per un breve tratto. Implica un volo, uno spazio ed un tempo in cui si perde il contatto con il terreno. Annamaria Ferramosca ha percepito nei versi di questo volume un moto interno, una dinamica del sentire, ma, coerentemente con quanto ha scritto nei suoi libri precedenti e soprattutto in piena concordanza con il suo modo di percepire e di vedere, ha corretto il tiro, lo ha ampliato e modulato. Andare per salti è composto da tre sezioni: la prima, eponima, ricalca il titolo del libro, la seconda prosegue con “Per tumulti” e l’ultima va ”Per spazi inaccessibili”. Continua a leggere

La Palabra en el Mundo – 11° edizione

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Manca davvero poco per l’avvio dell’11° edizione de La Palabra en el Mundo.

“Il Festival internazionale di poesia Palabra en el mundo di Venezia è ormai un appuntamento annuale che chiama poeti da tutto il mondo a unirsi intorno alla parola poetica per sollevare coscienze e rendere costruttiva la solidarietà e la pace.

Palabra en el mundo, legata al Festival Internazionale di Poesia organizzato all’Avana, nasce per iniziativa del Proyecto Cultural Surinternacional, della Rivista Isla Negra e del Festival Internacional de poesia de la Habana e si svolge in contemporanea, nel mese di maggio, in più di 900 località nel mondo.

A Venezia è ogni anno messo in azione dalla generosa partecipazione di poeti e poetesse nonché amiche e amici della poesia che credono nella responsabilità della parola. Il festival veneziano con il tempo è diventato uno spazio di solidarietà più ampio e aperto. La poesia che si ascolta sta qui a parlare di noi tutti; a parlare come un tempo facevano i folli ai più folli regnanti, a dire che la pace è parola da scambiare come segno reale di pace e non con missili e bombe, non con negazioni e imprigionamenti, non con disoccupazione e disuguaglianze civili e sociali.

Le voci di questa undicesima edizione veneziana appartengono ad esperienze generazionali e geografiche differenti di donne e uomini, e intendono ricordarci che non siamo da soli a camminare su questa terra desolata e che la visione di uno è la visione di tanti, e il dolore di uno è il dolore di tanti, e il diritto di uno deve essere il diritto per tutti. La poesia si incontra in questo territorio di acqua e terra, con una convinzione forte che solo la Pace allontana la Guerra mentre solo la Guerra allontana la Pace del nostro sempre più fragile pianeta.La responsabilità è una parola di pace, la palabra interrompe il muro del silenzio raccogliendo l’appello del poeta albanese Ismail Kadarè, che così ci esorta: ‘Venite e appendete le armi ai chiodi delle rime’.

Anna Lombardo
(Director, International Poetry Festival Palabra en el mundo)

riferimenti in rete

http://www.lapalabraenelmundovenezia.it/2017/

 

Sono nata una seconda volta. Paolo Statuti traduce Anna Swir per le edizioni Joker.

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Una preziosa anteprima su Viadellebelledonne dell’ultimo lavoro di traduzione poetica di Paolo Statuti dedicato all’opera della poetessa polacca Anna Świrszczyńska (Anna Swir), in uscita per Joker edizioni dal titolo “Sono nata una seconda volta“.
Statuti ci ricorda la vita di Anna Świrszczyńska, che nacque a Varsavia nel 1909 e morì a Cracovia nel 1984. Poetessa, prosatrice, autrice di drammi e di libri per la gioventù. Debuttò con la poesia “Mezzogiorno”, per la quale fu premiata al Torneo di Giovani Poeti nel 1934. Durante l’occupazione nazista svolse attività clandestina nell’ambiente letterario della capitale, prese parte all’insurrezione di Varsavia (1 agosto-2 ottobre 1944), e lavorò come operaia, cameriera e inserviente d’ospedale.

Quando era già sessantenne cambiò radicalmente il suo linguaggio poetico e segnò una svolta innovatrice nella poesia polacca. Le sue raccolte “Sono una vera donna” del 1972 e “Ho alzato la barricata” del 1974 furono accolte come un fulmine a ciel sereno. Ora nella sua poesia la donna partorisce non solo bambini, ma anche il mondo. Essa assume volti diversi: madre, figlia, amante, donna bramosa, tenera, disperata, piangente per i morti, assistente dei feriti, stravagante o molto pratica. La poetessa raggiunge una grande intensità di sentimenti. Nei suoi versi chiari e semplici non si perita di parlare di sesso senza eufemismi, senza finzioni o falso pudore. Czesław Miłosz la considera una vera innovatrice e una delle maggiori figure nella storia di tutta la letteratura polacca.

Si autodefiniva una femminista. Le sue protagoniste sono donne coraggiose che non ammettono compromessi: contadine, operaie, casalinghe, madri stanche, donne tormentate dalla vita e dai mariti, donne che restano in eterno conflitto con l’uomo, che la poetessa giudica severamente, spesso con disprezzo e a volte anche con umorismo. Le sue poesie, soprattutto quelle del ciclo “Sono una vera donna”, costringono a riflettere seriamente sulla femminilità e sui problemi della donna nel mondo contemporaneo.

da “Sono nata una seconda volta
poesie di Anna Świrszczyńska
per gentile regalo di Paolo Statuti

Alzando la barricata

Avevamo paura alzando sotto il fuoco
la barricata.

Il bettoliere, l’amante dell’orefice, il barbiere,
tutti paurosi.
Cadde a terra una servetta
sollevando un masso dal selciato, avevamo molta paura,
tutti paurosi –
il portinaio, la donna della bancarella, il pensionato.

Cadde a terra il farmacista
trascinando la porta della latrina,
avevamo ancora più paura, la contrabbandiera,
la sarta, il tranviere,
tutti paurosi.

Cadde un ragazzo del riformatorio
trascinando un sacco di sabbia,
sì, avevamo paura
davvero.

Benché nessuno ci costringesse
alzammo la barricata
sotto il fuoco.

La donna conversa con la sua coscia

Solo grazie alla tua bellezza
posso partecipare
ai riti dell’amore.

Le mistiche estasi,
i tradimenti voluttuosi
come scarlatto rossetto,
il perverso rococò
dei grovigli psicologici,
la dolce nostalgia del corpo
che mozza il respiro nei petti,
i crateri dello sconforto
che precipita fino in fondo al mondo –
li devo a te.

Con che tenerezza dovrei ogni giorno
sferzarti con la sferza dell’acqua gelata,
giacché proprio tu mi concedi di conquistare
la bellezza e la sapienza,
che niente può sostituire.

Si schiudono dinanzi a me
nell’attimo dell’amore
le anime degli amanti e le ho in mio potere.

Guardo come lo scultore
la sua opera,
i loro volti serrati dalle palpebre,
straziati dall’estasi,
densi
di felicità.
Leggo come un angelo
i pensieri nei crani,
sento nel palmo
il cuore umano che batte,
ascolto le parole
che l’uomo all’uomo sussurra
nel più sincero istante della vita.
Entro nelle loro anime,
percorro
la strada dell’incanto o dello sgomento
verso contrade inaudite
come fondi di oceani.
Poi, carica di tesori,
torno a lungo
in me stessa.

Oh, quante ricchezze,
quante costose verità,
che ingigantiscono in un’eco metafisica,
quante iniziazioni
delicate e sconvolgenti
devo a te, coscia mia.

La più deliziosa bellezza della mia anima
Non mi darebbe alcuno di questi tesori,
se non fosse per la tua tersa, liscia grazia
di animaletto amorale.

Solitudine

Solitudine,
perla che ingigantisce della solitudine,
in essa mi sono nascosta.
Spazio
che si estende,
in esso ingigantisco.
Silenzio, fonte di voci.
Immobilità, madre del movimento.

Sono sola.
Sono sola, e perciò non sono niente.
Che fortuna.
Non sono niente, e perciò posso essere tutto.
Esistenza senza sostanza ,
sostanza senza esistenza, libertà.

Sono pura come ciò che non c’è,
al sicuro come platonica idea,
ricca come possibilità.
Rido e tendo le braccia
a mille miei stupendi futuri.

Posso divenire la spuma sul mare
e avere la sua fortuna di essere fugace.
Oppure una medusa e avere come mia
tutta la bellezza della medusa.
O un uccello con la sua fortuna del volo,
o una pietra con la sua fortuna d’essere eterna,
o la via lattea.

Sono sola, sono forte.
La solitudine mi protegge.
Sono sola, e perciò non ci sono,
non ci sono, e perciò esisto
perfettamente come perfezione,
diversamente come diversità.

Poi verrà la gente. Mi daranno
la pelle, il colore degli occhi, il sesso e un nome.
Daranno il passato e il futuro
del genere homo sapiens.

(c)  Paolo Statuti, ed. Joker

Paolo Statuti è nato a Roma il 1 giugno 1936. Coniugato con due figli. Nel 1963 si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Roma. Nel 1975, presso la stessa Università romana, ha conseguito la laurea in lingua e letteratura russa ed altre lingue slave (allievo di Angelo Maria Ripellino). Dal 1963 al 1980 impiegato presso la compagnia aerea Alitalia. Nel 1982 ha debuttato in Polonia come poeta e nel 1985 come prosatore. E’ autore di numerose traduzioni letterarie pubblicate (prosa e poesia) dal russo, ceco e soprattutto dal polacco nella lingua italiana. Ha collaborato con diverse riviste letterarie polacche e italiane. Nel 1987 ha pubblicato in Italia due libri di favole: “Il principe-albero” e “Gocce di fantasia” (Edizioni Effelle di Marino Fabbri). Una scelta di queste favole è uscita anche in Polonia con il titolo “L’albero che era un principe” (”Drzewo, które było księciem”, Ed. Nasza Księgarnia, Warszawa, 1989).
Dal 1982 al 1990 ha collaborato con la Redazione Italiana della Radio Polacca a Varsavia, realizzando molte apprezzate trasmissioni letterarie. Negli anni 1991-1997 ha insegnato la lingua italiana presso un liceo statale di Varsavia.
Nel 1990 ha ricevuto il premio annuale della Associazione di Cultura Europea – Sezione Polacca, per i meriti conseguiti nella divulgazione della cultura polacca in Italia. Da due anni collabora attivamente con la rivista “Poesia” di Nicola Crocetti. Nel 2016 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “La stella errante” con prefazione di Nazario Pardini (Ed. GSE, Roma).
A gennaio del 2012 ha creato un suo blog: musashop.wordpress.com, dedicato a poesia, musica e pittura, dove pubblica in particolare le sue traduzioni di poesia polacca, russa e inglese. Pratica anche la pittura (olio e pastello) e ha al suo attivo numerose mostre personali. Da molti anni vive in Polonia.

Inediti di Valeria Serofilli

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Ulisse

Nell’onda una luce
Oggi il mare mi ha dato un regalo:
nell’onda una luce

Sarà che la salsedine aggredisce la vista
e a volte mi appare il tuo volto

adesso una bottiglia

il vetro lascia intravedere un rotolo/ un messaggio
un tuo probabile abbraccio. Continua a leggere

Anna Fano: una donna “emancipata” nella Trieste del primo Novecento

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Anna Curiel Fano è una delle figure più interessanti della Trieste ebraica di inizio Novecento, lo stesso milieu sociale e culturale a cui appartennero Saba, Voghera e Giotti. Ne fece parte sia in modo diretto, attraverso quello che scrisse, sia in modo indiretto, attraverso le molteplici relazioni di amicizia e di parentela con i componenti di quel gruppo. Attraverso le vicende della sua vita possiamo cogliere molti aspetti interessanti del primo Novecento triestino e anche, e soprattutto aspetti della sua personalità forte e indipendente. Sorprendentemente moderna per i tempi. Continua a leggere

La responsabilità della scrittura. Tessere di pensiero di Anna Lombardo.


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Anna Lombardo Geymonat

Riportiamo un brano della lunga intervista di Anna Lombardo sul sito Diritti Globali .it nella parte in cui si mette a fuoco la coscienza della scrittura poetica come “percorso attivo, di ascolto e lettura di sé stessi e del mondo” e dell’importanza di rimettere “al mondo” un percorso di rivalutazione del femminile all’interno della produzione artistica poetica.

Nella fattispecie, per Anna Lombardo: ” la scrittura poetica ci spinge a cercare la nostra voce, ci interroga sulle nostre posizioni, sui nostri stessi limiti. E in questo ci vedo la sua forza rivoluzionaria e non solo di denuncia. Io credo molto nella responsabilità della scrittura: non posso scrivere e restare alla finestra a guardare. Non mi interessa quel tipo di poesia. Quella è una poesia che fa male, sollecita solo la tua passività, fa male a tutti non solo a chi la produce, a chi l’ascolta o legge e a chi la vende. C’è chi dice, e sono in molti ancora, che la poesia non deve prendere posizione, che è al di sopra di tutto. Ma al di sopra di cosa? Spesso incontro dei poeti che si negano ad un evento poetico contro la guerra per esempio, perché non vogliono schierarsi. Questa sacralità della poesia, e quindi del poeta (nota non della poetessa, sic!), è un’altra ossessione che i critici purtroppo hanno da sempre avvallato per secoli; è un altro modo con cui il sistema non vuole essere giudicato, cambiato. Un altro modo con cui ci si vuole ‘sudditi convinti’. La poesia, come tutta l’espressione artistica che si definisce tale, ha un patto di impegno e responsabilità verso se stessa e il mondo, un patto che non può essere tradito.

La poesia, almeno nella mia esperienza, richiede una concentrazione continua e intensa rispetto alla scrittura di un racconto o un romanzo; necessita di una intima relazione con me stessa, il mio corpo e anche con il mio spazio.

Se lavori, come molte di noi fanno, questi momenti non sono sempre a portata di mano. Noi donne siamo continuamente ‘distratte’ da mille cose: la spesa, la lavatrice, la casa etc. etc. Quando devi lavorare su un testo poetico finisce che qualsiasi interruzione (anche il telefono per esempio) si porta via tutta la tensione, tutto ciò che nel frattempo si era mosso dentro di te e ti lascia un po’ spodestata. A volte però ho bisogno di ‘interferenze’ per aggiustare il tiro o vedere più chiaro in quello che sto facendo.

Per esempio quando scrissi il lungo poema su Didone lo pensai come una risposta di Didone al suo creatore, Virgilio, fin da subito. Ma alla fine scrissi un monologo tra Didone e la prima kamikaze cecena di cui si venne a conoscenza nei primi anni del duemila. In quel periodo mi stavo interrogando sulle figure femminili nei testi di alcuni poeti classici (Penelope, Antigone e Didone etc.). Lavoravo soprattutto sulla risonanza di queste visioni di donna nell’immagine che la donna aveva introiettato di se stessa. Quanto cioè queste figure mitiche avessero nutrito sia il nostro immaginario femminile sia quello maschile, marchiando, dirigendo e limitando in entrambi una visione personale e libera . Quanto di ‘donna’ c’era in quelle figure di donne fissate dai poeti, insomma, e quanto invece esse erano il risultato della proiezione tutta maschile di una ‘idea’ di donna che si avvicinava più all’immaginario maschile della propria parte femminile. Su questo si discute ancora poco. Ricordo che stavo rileggendo le pagine che Virgilio dedicava a Didone, questa figura mitica di regina cartaginese, quando sentii la notizia della strage nel teatro di Mosca. Tralasciai per molti giorni Virgilio e lessi invece un paio di testi sulla situazione in Cecenia e di queste giovanissime donne trasformate in kamikaze. Di tutti i miei testi, credo che questo sia stato quello che abbia ricevuto benefici da quelle interferenze. Almeno credo. L’ho rivisto più volte e devo dire che lo capii molto di più quando, per via di una traduzione che ne fu fatta in inglese, dovetti rispondere a dei chiarimenti da parte dei traduttori. Ci tenevo che si capisse che Didone, da donna, parlava ad un’altra donna rispetto al tema dell’amore, della sudditanza e della necessità di trovare altre strade che non portassero alla distruzione di sé stessi. Alla fine capii che avevo considerato Didone come la prima Kamikaze ‘costretta ’dalla storia a quel ruolo e non da sue libere scelte. Come vedi il processo creativo segua sentieri differenti ma il tempo che hai a disposizione per rispondere alla necessità della scrittura (per me è necessità) e per scambiare idee con le altre e con gli altri non è mai sufficiente. Insomma un processo creativo, come dicevo prima, non sempre lineare e disciplinato. Io non sono una persona molto disciplinata di mio, comunque. Forse questo influisce?

per gentile concessione della poetessa
riferimenti in rete su
http://www.dirittiglobali.it/2017/01/90365/#comment-454485

“Erotomaculae” di Sonia Caporossi

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Molteplici sono gli aspetti che colpiscono aprendo il libro di Sonia Caporossi “Erotomaculae” (Algra Editore, 2015), il primo è sicuramente l’impianto grafico che mi ha fatto immediatamente pensare alle opere di Emilio Isgrò. Artista che pure trasforma il linguaggio verbale in linguaggio visivo con le famose cancellature che anche Sonia Caporossi opera sui suoi testi, ma a differenza di Isgrò, per il quale si può parlare di “sottrazione della parola”, la cancellatura della Caporossi a mio avviso è più un mettere in evidenza, un dare forza alle parole eppure lasciando a queste la libertà di esprimersi, di dire e/o non dire. Continua a leggere

“La dama di Onirion” di Marco Baiotto

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“Onirion” è un termine che orienta in modo immediato la lettura e l’interpretazione di questo libro di Marco Baiotto, una sorta di antologia di quella fase della sua produzione poetica che si estende nel tempo, dal 1998 al 2000, e nello spazio grafico di 178 pagine. Onirion ci indirizza verso le terre del sogno, dell’irrealtà. Qualcosa di sfumato, in apparenza, di non ben determinato, un progetto, un ricordo, una potenzialità. Ma ad esso viene anteposta una figura femminile, la dama che compare nel titolo come una figura mitica e concreta, e questo sposta l’asse e l’orientamento, la rotazione del mondo descritto ed evocato.

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“La luce dell’anima” di Dieter Schlesak e Vivetta Valacca

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«Chi ama/ è re e sacerdote». Questi versi ci vengono incontro nella parte iniziale del libro. Come un annuncio, una nota introduttiva, una didascalia. In altri contesti avremmo potuto agevolmente archiviarli, etichettandoli come evocativi ma tutto sommato prevedibili o inconsistenti. Non qui. Non in questo volume. Nel libro di Dieter Schlezak e Vivetta Valacca tutto assume una consistenza quasi sacrale, nel senso più stretto e allo stesso tempo più metaforico possibile. Ogni parola, ogni sillaba manifesta un interloquire autentico, sincero al punto da assumere valenza di testimonianza, qui sì in senso stretto, tra il giuridico e il filosofico, sui misteri fondamentali per ogni essere che aspiri a definirsi umano: il tempo, l’amore, la permanenza e l’addio, il contingente e l’eterno, la morte e la vita.

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per Narda Fattori


Stanotte è mancata una carissima amica e poetessa, la nostra Narda Fattori.
Voglio ricordarla qui con uno dei suoi versi inediti:

…Quelli che vanno per le vie hanno un ricordo da trovare
Un amore che non è morto e gli batte ancora il cuore.”

Lei è ancora qui, in questi suoi “Dispacci” profetici:

Narda Fattori

 

 

La poesia di Marco Scalabrino

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Con piacere ho ricevuto da Marco Scalabrino tre sue pubblicazioni: “Canzuna di Vita, di Morti, d’Amuri” (Samperi editore, 2006), “La casa viola” (edizioni del Calatino, 2010) e “Na farfalla mi vasau lu nasu” (CFR, 2014). Quest’ultimo è il frutto di un’operazione, se così la si può chiamare, molto originale di traduzione. Marco Scalabrino, infatti, traduce in siciliano autori tra cui Catullo, Bukowski, Masters, Russell, Szymborska. Continua a leggere

Una goccia di niente – Sara Ferraglia

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Una goccia di niente

 

C’era una volta un saggio potente

che in mano aveva una goccia di niente.

Solo, abitava nell’ immensità,

senza montagne, né mari e città.

Guardò la goccia con gran tenerezza,

le donò un soffio, una tremula brezza…

e allora tutto fu in lei concentrato,

anche se ancora non era creato.

C’erano i cieli, le acque ed i monti,

piante, animali e fiori già pronti.

C’erano occhi di bimbi innocenti,

c’eran la pioggia, la neve ed i venti.

Lasciò la goccia cader dalla mano

e la guardò scivolare lontano,

finchè raggiunse una stella piccina

che cominciò a brillar più di prima.

Intorno alla luna e al sole danzò

finchè immensa lei diventò.

Fu un’esplosione di luce, un boato

e l’universo così fu creato.

Poesia scritta insieme alla mia nipotina Claudia, 6 anni, che ha immaginato così  la creazione dell’universo. Possano essere i pensieri dei bambini  segnali di speranza e auspici di un futuro migliore.

 

 

 

Mostra a Milano: Anima bianca La neve da De Nittis a Morbelli – alla Gam Manzoni


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 G. De Nittis, Lezione di pattinaggio

 Quando si parla di neve nella pittura dell’Ottocento, si va subito a pensare all’Impressionismo e alle splendide vedute di Degas, Renoir e Monet, ma non solo i rivoluzionari francesi si occuparono di questo tema. Anche in Italia, gli artisti affrontarono l’argomento per cercare di sperimentare nuove tonalità di bianco.

È questo il senso della mostra che, dal 21 ottobre 2016 al 19 febbraio 2017, si tiene alla GAM Manzoni di Milano. Curata da Francesco Luigi Maspes ed Enzo Savoia, la mostra è la prima in Italia dedicata a questo tipo di rappresentazione e ospita venticinque dipinti di alcuni tra i più grandi vedutisti del nostro XIX secolo, che affrontarono il tema della neve nelle loro opere. Si tratta di lavori en plein air, vedute di campagna, insieme a immagini e scorci urbani e di vita quotidiana invernale, tutti uniti dall’utilizzo del bianco e dalle nuove sperimentazioni sul colore e sul suo utilizzo per rendere gli spettacolari toni dell’inverno. Continua a leggere

“Ruah” di Davide Zizza

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La “ruah” è una parola ebraica che mi ha sempre affascinata soprattutto perché, pur essendo tradotta in italiano con “soffio”, “vento”, “respiro” e “spirito”, come ben spiega anche Enrico Testa nella prefazione al libro di poesie di Davide Zizza che si intitola proprio “Ruah” (Ensamble Edizioni, 2016) è di genere femminile e dunque a mio avviso più vicina alla nostra “ispirazione” perché la ruah è qualcosa che si muove e a sua volta ha la forza di mettere in movimento: una forza imprevedibile, dalla cui presenza e azione scaturisce la vita. Continua a leggere

Sul libro antologico di LUCETTA FRISA- note di VIVIANE CIAMPI

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NELL’INTIMO DEL MONDO “
libro antologico di LUCETTA FRISA

“Essere soli è essere nell’intimo del mondo” con questo incipit di Antonio Ramos Rosa inizia l’antologia poetica di Lucetta Frisa che riunisce testi di oltre quarant’anni di scrittura, dal 1970 al 2015. Non rappresentano la sua opera omnia ma si tratta tuttavia di un florilegio, di un profondo avvicinamento al percorso di una poetessa che non ha smesso un istante della sua vita di perseguire e essere perseguita dalla poesia.

Poesia che già dall’inizio si è nutrita, visceralmente, di altre forme d’arte: il teatro, l’arte pittorica, la scultura, la musica. Ed è l’elaborazione di tutta questa passione artistica, che una volta passata al setaccio diventerà qualcosa di esistenziale, di vibrante come una corda tesa: “Le cose si avvicinano / nella confidenza sonora” oppure “[…] Siamo in un quadro di Fragonard? solo le immagini ci fanno ballare” (da L’Emozione dell’aria, CFR, 2012).

Ma la cosa che salta agli occhi aprendo le pagine dei primi libri di Lucetta Frisa fino ad arrivare alla struggente poesia inedita del 2015 dal titolo Perseide che chiude Nell’intimo del mondo, Continua a leggere

“Possiamo soltanto amare” di Davide Rondoni

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Possiamo soltanto amare
il resto non conta, non
funziona,
al mattino appaiono
la tazza, il vecchio pino, le zolle umide, il fumo
dell’alito mentre apri l’auto
nel gelo. Potevano non apparire, non arrivare
più qui, alla riva degli occhi. E l’estate
c’era, c’è nella calda bruna memoria
dei rami tagliati,
i visi diventano ricordi
le voci gridate stracci silenziosi –
i denti conoscono il sapore
del niente, e l’oblio che ha portici
e portici infiniti. Continua a leggere

Art connection – Venezia e la poesia femminile

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“C’era una fontana che dava albe
ed ero io”

Alda Merini

arts connection, venezia, poesia a venezia, vdbd, viadellebelledonne, simonetta sambiase, met sambiase, Alda Merini, la poesia al femminile, otto poete, Art connection 2016. Questi sono parte degli  elementi che sabato mattina si fonderanno nel penultimo  giorno del festival Arts Connection nei luoghi incantati della laguna veneziana. “Vetro, Fuoco e Musica” è uno dei sottotitoli. Nel fuoco prendiamo la fiamma della letteratura, che sabato dà calore tra Books’ Connection e Venezia città delle donne. Le voci delle donne si divideranno fra poesia e teatro. La mattina è il luogo della poesia con Leila Falà, Gabriella Gianfelici, Fabia Ghenzovich, Anna Lombardo, Simonetta Sambiase, Pina Piccolo, Grazia Sterlocchi e Rina Xhihani. Il teatro sarà invece protagonista nel pomeriggio, con la Compagnia della Mandragora.

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Buon compleanno Angelica

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angelica

L’otto settembre è “il compleanno” di Ludovico Ariosto, una ricorrenza che da parecchi anni viene svolta nel suo ricordo alla casa materna di Reggio Emilia, il piccolo gioiello del Mauriziano, sulla via Emilia che da Reggio porta verso Modena. Anche quest’anno si riaprono le porte del monumento storico per una giornata dedicata all’opera  del poeta Cinquecentesco per “Se voi mi date orecchio” organizzata dal Comune reggiano con l’associazione Eutopia. Parte del leone la farà la poesia che si interrogherà anche sull’eredità lasciata dal creatore dell’Orlando furioso, costruzione elaboratissima di metrica e trama fantastica che ha attraversato fin da subito la sua epoca per le rime, i personaggi e le intrecciate vicende che lo costruiscono. L’Orlando Furioso è un’opera corale, lo si legge immediatamente, ed è ricchissima di personaggi femminili. Elencarle tutte, fra principali e secondarie, da luogo ad una lista lunga e appena capace di contenere  le storie che esse portano entrando ed uscendo continuamente dalla trama della storia. Angelica, la regina del Catai, bellissima fra le belle e straordinariamente rivoltosa, è il personaggio che maggiormente nei secoli ha catturato attenzione. La sua creazione è un lascito dell’Orlando innamorato del Boiardo che Ariosto ha riscritto e l’ha resa  motore del muoversi dell’azione nei primi capitoli per lasciarla poi nei capitoli centrali ad avventure straordinarie. Continua a leggere

NOTE DI LETTURA su” TRADUCENDO EINSAMKEIT” di FEDERICA GALETTO

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TRADUCENDO EINSAMKEIT” di FEDERICA GALETTO

edizione TERRA D’ULIVI 2014

collana PAROLE DI CRISTALLO

Per cercare di rappresentare attentamente il nucleo ispiratore – il sottile filo rosso rintracciabile in modo più o meno accentuato ma sempre presente nella massima parte delle poesie di Federica Galetto qui raccolte, sarebbe bene iniziare dal riferimento preciso della titolazione della raccolta, dalla poesia di Rilke intitolata Solitudine-poesia che da lei tradotta compare come segnale introduttivo- e il cui significato risulta non solo simbolico visto che nello sviluppo progressivo dei versi di Rilke si viene a addensare , soprattutto verso la chiusa, come il delinearsi di una cifra indelebile, e marchiante, che connatura sul fondo il fatto stesso di esistere, come se la solitudine fosse fatta di una materialità che come un velo ricopre cose e persone, perfino gli amanti, visti su “letti sfatti”

A dire l’importanza che l’autrice riconosce a questa poesia, è anche il ribadire , nella poesia pressochè conclusiva dal titolo TRADUCENDO EINSAMKEIT ( poesia n 15 della 3 parte) – e mostrandole direttamente nel testo stesso- le sue tematiche fondamentali e anche il peculiare modo di darvi espressione.

Qui infatti l’autrice, come riassuntivamente si svela con parole esatte; parla di lei “compulsiva in tendere assoli urgenti” fino a arrivare- appunto traducendo Einsamkeit a affermare voltivamente”rompo le righe e mi sbrano contenta/d’essere farfalla intinta nella fiamme /nella parole che trasmuta/di deserto in valle filo tenero/ e poi, aggiungendo alla fine” traducendo Einsmakeit di notte/non c’ è che sole quando le brume dormono/passando dal palco di Keats riemergo/ ai boschi di Treichel/in Bellezza/ Continua a leggere

Annemarie Schwarzenbach, La gabbia dei falconi e la Persia degli anni 30

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ann swarz automobile

Meno nota di Freya Stark o di Isabelle Eberhardt, Annemarie Schwarzenbach è una delle scrittrici viaggiatrici degli anni 30. Nella sua breve vita (morì nel 1942 a soli 34 anni) Annemarie, che fin da bambina aveva individuato il senso della sua esistenza nella scrittura, riuscì a pubblicare solo un breve romanzo a sue spese, una novella (pubblicata in italiano col titolo Sybille), un libro di viaggio, la biografia di un alpinista morto tragicamente in Himalaya e il poema in prosa La Valle Felice. Nessuno di questi ebbe successo. Benché godesse della stima di scrittori celebri come Roger Martin du Gard, Eric Marie Remarque, Thomas Mann, non fu mai presa sul serio.  Fin dal 1933 si dedicò allora al giornalismo, scrivendo reportage dai paesi stranieri in cui finì per vivere la maggior parte dei suoi ultimi nove anni. I suoi articoli – che le garantirono una sia pur minima indipendenza economica dalla sua ricca famiglia – ebbero una certa fortuna, e la resero un personaggio noto in Svizzera. Ma agli occhi del mondo, dei suoi amici letterati e della sua famiglia non fecero di lei una scrittrice. Continua a leggere

ERA BELLO TROVARE UN PRATO BIANCO

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Era bello trovare un prato
bianco
( sotto la luce della luna)
– e qua e là degli assetati fiori celesti

Essi pensavano che lei fosse triste,
di una tristezza violacea
( eppure fragile squisita)
nelle sue digressioni fredde Continua a leggere

Antonio Spagnuolo

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Antonio  Spagnuolo,  Ultimo tocco, Altrescritture, puntoacapo editrice

 

Tra le mani ho un piccolo, prezioso libretto di poesie tessute attorno alla perdita e al dolore. Perdita e dolore sono incontri frequenti nei versi: la felicità si vive inebriandosi nella sua breve durata, il dolore si dipana e ci accompagna, fedele nella in una sorte da lui stesso decisa, ingarbugliata e indissolubile.

Le poesie che compongono questo libretto sono dedicate alla perdita della compagna di una vita, perdita ad un’età avanzata  che allarga il vuoto lasciato in un baratro in cui mancano appigli per reggerci e sorreggerci.

Non è solo una perdita definitiva , è una perdita incolmabile e incalcolabile.

Il libretto si divide in due sezioni; nella prima, molto breve e più riflettuta,  il poeta cerca di riesaminare la sofferenza degli ultimi giorni, come se esistesse un farmaco a lenire il battito sempre più rumoroso e vicino del ladro di vita.

“ Palpando l’antiquato pentagramma / indifesa memoria spigole ombre/ al di là della porta / ………./  Parlami ancora di te, dei tuoi singhiozzi, / delle incertezze incredule che non hanno senso. /perché un certo infinito gioca a beffare / il turbinio dello’incoscienza. / ….

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Note di CLAUDIO DAMIANI su “MESTIERI” di SANDRA PALOMBO

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Collana Perle poesia
n. 41
direttore Roberto Carnero

GIULIANO LADOLFI EDITORE

Alessandra Palombo
MESTIERI


IL MESTIERE DI VIVERE

Alessandra Palombo ha la capacità di ingabbiare cose e farle apparire.È una magia perché l’oggetto prima è invisibile, poi esce fuori dal cappello come una colomba. Nella poesia le parole sono sempre“costrette”, nel verso, nella forma, nella metrica.
Alessandra le costringe ancor più, come quando scrive tautogrammi, ossia testi in cui le parole sono costrette a cominciare tutte con una stessa lettera.
Sembra un gioco ma per lei non è un gioco. Il tautogramma gli era servito ad esempio, in un prezioso libretto intitolato Tautogrammi d’amore e d’amarore (Liberodiscrivere, 2005), a parlare della costrizione amorosa, «i lacci d’Amor» petrarcheschi, quella condizione di impotenza e superpotenza insieme, d’essere prigioniero e libero nello stesso tempo («e ardoe sono un ghiaccio; / e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra; / e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio», diceva Petrarca).

Questi Mestieri invece pubblicati qui non sono tautogrammi, ma caso mai epigrammi,ossia brevi poesie che racchiudono un quadretto, un personaggio incorniciato, ingabbiato nel suo mestiere. Tra mestiere e personaggio c’è una fusione totale, una commistione inestricabile, Continua a leggere

Silvia Secco

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canti di cicale

 

Canti di cicale –
Samuele editore 2016

Leggere di poesia e scrivere qualche opinione attorno ad essa, credo sia una delle attività più utili per chi è appassionato alla conoscenza umana, perché se è vero che ogni poeta è un” fingitore “ come asseriva Pessoa, i versi che leggiamo spesso ci celano descrizioni di anime che- solo rovistando e analizzando con cura nei dettagli il lavoro che ci viene sottoposto-, si riesce a conoscere in modo non del tutto superficiale, e la scoperta che ne deriva riempie del piacere per la condivisione dell’animo altrui.

Ho cercato di raccogliere la sfida lanciata dai versi che seguono, tratti dal libro della Secco appena uscito, che sono di certo un riferimento ad un “ tu “ molto privato ma che si possono anche leggere con un invito diretto al lettore, e ciò è quanto ho voluto evidenziare con il grassetto :

Vieni a vedere i miei versi cresciuti
ben oltre le scapole. Scioglili tu
significati e nodi. Usa le dita.
Conta ogni singola sillaba ognuna
una volta sola. Ricomponimi
e rima. Continua a leggere

“Il Tesoro del Carmine” di Gianfranco Vanagolli

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tesoro carmine

Prefazione

I dieci mesi dell’Elba napoleonica sono un vero concentrato di motivi romanzeschi. In quel breve arco di tempo si produce sull’isola una specie di perfetta situazione drammaturgica. Un intermezzo carico di tensioni, in cui il presente è come schiacciato tra la mole della Grande Storia che si è appena consumata con l’abdicazione di Napoleone e gli addii di Fontainebleau e i lampi che prendono subito a scuotere l’orizzonte sempre più scuro del futuro prossimo. Perché è chiaro a tutti, vincitori e vinti, che la partita è ben lungi dall’essere chiusa, e che la scelta di attribuire all’imperatore appena deposto il minuscolo regno insulare è il rinvio di una resa dei conti che è stata semplicemente posticipata. Continua a leggere

Chi ha cucinato l’ultima cena?

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Rosalind Miles
edizioni Elliot

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Quando lessi questo libro la mia prima considerazione fu che andrebbe letto da tutti, assunto come libro di testo presso tutte le scuole del mondo, per la consapevolezza delle donne e degli uomini di buona volontà.
Le donne sono state per secoli proprietà indiscussa dell’uomo, in un mondo che le ha volute e le vorrebbe ancora al suo servizio.
Valeva pochissimo, anzi niente, la vita di una donna, dai tempi remoti in cui al culto della dea madre fu sostituito il culto del dio padre, origine di ogni futura discriminazione,.
Successivamente con le colonizzazioni e le conquiste in nome delle grandi religioni monoteiste, l’esistenza della donna è stata sempre funzionale all’uomo, in quanto fattrice dei suoi figli, curatrice dei suoi beni, della sua casa, delle sue cose, schiava e sottomessa ai piaceri sessuali del maschio, padrone assoluto della sua vita, dalla culla alla bara.
La storia della riconquista dei diritti più elementari delle donne, schiave tra gli schiavi, fino a epoche così vicine ai giorni nostri che a leggerne si viene colti da sgomento, Continua a leggere

Terracqua. Federica Galetto legge il nuovo lavoro di Mirella Crapanzano

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Ci si incammina assaporando il profumo del mare. Oltre le spiagge, il sentore del sale sugli orti e le case. Le sterne cantano attraversando con un volo radente il rollio delle onde e il loro frastuono. Così incomincia il viaggio attraverso “Terracqua”, luogo multiforme a cui il Poeta appartiene e di cui nutre la propria memoria. Vi sono sposalizi avvenuti sulla schiuma di un onda e anemoni sui fondali marini a raccontare un amore
(i fiori per la sposa giacciono/ in fondo distese brulicanti di anemoni/fanno una corolla nuziale),
l’avvicendarsi ciclico del giorno e della notte sotto cieli neri e venti sopiti, il silenzio della natura in un’isola di primigenia bellezza
(il vento tace sull’isola/ come un presagio/l’alta marea tra i seni/ il nero stellato intorno/a fior d’acqua lucciole ignare costeggiano/le coste).
E il ricordo che brucia come lava di vulcano, lo stesso ricoperto di terra nera che aleggia nell’aria greve. Con una scrittura intensa ed elegante, Mirella Crapanzano ci conduce nel suo Eden personale, Continua a leggere

Un pugno di sogni nel cuore – Alda Magnani

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Quasi un poema, più che una raccolta, l’ultimo libro di poesie di Alda Magnani.

Mitigate e mediate dal sogno, quando il ricordo si fa più doloroso o dal sogno stesso ravvivate e rafforzate quando ricordare diventa un piacere, scorrono, come in una lunga favola, luoghi e personaggi della sua terra, nella pianura  intorno a Parma.

 Entriamo, accompagnati  in un onirico viaggio nel ricordo, nella casa dei suoi avi ove riecheggiano le voci di nonni, zii e cugini presenti nelle vite dei piccoli di allora come oggi non accade quasi più. Ne ascoltiamo i racconti narrati nelle stalle e nelle aie.

Il borgo antico dell’infanzia si colora di personaggi e luoghi caratteristici, come ad esempio l’osteria Gatto di Gambarone, il cui anfitrione era il vecchio Gombi, quasi “un re dentro a quel covo da leggenda”.

Il cuore del poema sono gli affetti più cari, la madre, dalle mani “ pronte al dono, solerti, indaffarate/ a lavare, stirare, intridere farina /per impastare e poi tracciare croci/ sul pane quotidiano, infaticabili” , il padre contadino che tornava la sera dai suoi campi stanco “fischiettando il Nabucco o la Traviata”, Zia Maria, “il ticchettìo monotono dei ferri” nelle sue mani ossute.  Continua a leggere

NOTE DI LETTURA di NARDA FATTORI su “QUEL LUOGO DELLE SABBIE”

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FOTO CORRETTA X ARTICOLO NARDA
Villa Dominica Balbinot , Quel luogo delle sabbie, autoprodotto.

Scrivere poesie e lanciarle nel magma della comunicazione, così disfatta, depredata, spesso vacua cacofonia, chiede coraggio e necessità di ascolto , chiede di sentire il senso delle aritmie del cuore. Ma le poesie di Dominica sono altro che una provocazione, o un esercizio di stile: dichiara il mondo totalizzato al nero, al lugubre, ad un impossibile passaggio verso un’oltranza che non è detto che esista.
Augusto Benemeglio (Liberolibro.it, 22/12/14) scrive che Villa Dominica Balbinot è una poetessa “che reca in sé le stimmate da primo romanticismo germanico, della tenebrosità, il senso dell’orrido e della funerea desolazione, ma anche quello decadente di Baudelaire, sempre sospeso tra la benedizione celeste e quella diabolica”. Sono parole di un’analisi attenta ma non esaustiva perché Dominica è donna di oggi e di questo mondo parla.
Lo sguardo di Dominica coglie l’immenso e la minutaglia, non fa scale di valore , ogni cosa è corrosa, è corrosa ab origine. Continua a leggere

Stanze d’albergo – Una lettura del nuovo libro di poesia di Angela Siciliano

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stanze d'albergo, angela siciliano, vdbd

noi siamo ancora lì
dove le cose sono rimaste come erano.
Ad arredare il nostro dentro
da Stanze d’albergo

Stanze d’albergo di Angela Siciliano é un libro à rebours di resa nostalgica ed anziane maschere vive. La poeta e il verso sono il tutt’uno di un’unica identificazione che costruisce una raccolta di ricordi d’amore da cui l’autrice non esce mai e che dispone su un dittico di forme interiori molto largo. La silloge è costruita su quattro partiture, in tre delle quali i seppelliti amori tornano indietro nelle forme dei dubbi e della resa, mentre un’ultima parte, che è anche quella di più alta resa poetica ed ispirativa, il perimetro dello sguardo è quello familiare e primario.  C’è un vivere in frenata nei versi della prima parte che trasforma i rossi delle passioni in rossi rosati. Le stanze d’albergo sono vuote ma il loro vuoto non è incolmabile. E “*La vecchia anima sogna” e  chiede “di andare di silenzi e d’ombre in traccia” . Il registro delle emozioni ha versi docili, lenti seppur curatissimi, piegati e ritirati, brevi e ritrosi o appena lunghi. Continua a leggere