Definito da Giuseppe Prezzolini “cattolico belva” per il suo cattolicesimo mistico e intransigente, polemista appassionato e irruento, amico di Giovanni Papini (insieme al quale scrisse “Dizionario dell’omo salvatico” – nel senso di “uomo che si salva” -, 1923) e di Federico Tozzi (si parla di una influenza reciproca), Giuliotti fu un protagonista della letteratura del primo Novecento. Alcune sue opere: “L’ora di Barabba”, del 1920, che resta forse il libro più celebre; “Tizzi e fiamme”, del 1925; “Polvere dell’esilio”, del 1929; “San Francesco”, del 1932; “Il ponte sul mondo”, del 1932; “Le due luci: santità e poesia”, del 1933; “Il merlo sulla forca: Francesco Villon”, del 1934; “Pensieri di un malpensante”, del 1936; “Jacopone da Todi”, del 1939; “Penne, pennelli, scalpelli”, del 1942. Fu anche poeta.
“Raccontini rossi e neri” è del 1937.
I racconti, dalla scrittura ancora piacente, leggera e limpida, mostrano un Giuliotti un po’ diverso, lontano dalle sue furie di vigoroso polemista; desideroso, al contrario, di una apertura alla vaghezza e al sogno, anche se, come avverte lo stesso autore nella premessa, coltivati sul filo dell’abisso. Continua a leggere
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