foto: Loredana Di Biase in scrittura (particolare)
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Come nascono i miei disegni
Non ho fiducia nella referenzialità della parola; devo indagare sul suo retroscena per trovare una chiave di lettura che non si fondi semplicemente sulla musicalità dei suoni, o sui ghirigori dei morfemi o sul pressappochismo dei semantemi.
La parola in sé è poca cosa, tende agguati, gira le spalle alla nobiltà del segno, tradisce appena può, è disposta a “mal fare”. L’ho scoperto nel mio vissuto di silenzio, sfregiato da sporadici tentativi di “parlare”. Ho deciso di vendicarmi violentandola, sviscerandola, sezionandola, torturandola, “usandola”. Devo dimostrare che essa mènte, che dice altro da sé, devo cercare dove si nasconde la sua vera faccia e perché è così subdola. Per questo scrivo ossessivamente parole, nessi logici, frasi sui miei fogli da disegno, li faccio scontrare tra loro, in un susseguirsi di osmosi… durante questo processo è il “segno” a guidarmi. La parola, smascherata della sua arroganza, stimolata a “parlare”, taglia i ponti con l’accezione contingente, dice altro da sè, iniziando un racconto a ritroso, fino alle radici della storia. La parola diventa evocativa, rivela ciò che il semplice ascolto, la semplice lettura o scrittura non vedono. Essa prende a soffrire, chiama a raccolta le creature che non sono state ascoltate, grida per bocca loro, si contorce, fa giustizia del dolore solitario.
(Loredana di Biase)
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