La poesia di Ana María Rodas
Mi sono interessata per la prima volta alla produzione di Ana María Rodas durante un mio viaggio in Guatemala, volto a una ricerca sulla poesia delle scrittrici di quel paese. Fra un’intervista a Rigoberta Menchú e la visita a varie organizzazioni femminile e indigeniste, ebbi la possibilità di parlare più volte con la poetessa a cui mi aveva indirizzato un collega guatemalteco, docente dell’Università di Milano.
Il paese centroamericano veniva fuori (era il 1995) da decenni di stragi e arbitri verso intellettuali, contadini e sindacalisti, non solo da parte di feroci giunte militari, ma anche da una guerriglia che cercava di obbligare con metodi brutali la popolazione ad appoggiarla, eliminando senza pietà coloro che sospettava di collaborazionismo con l’esercito. In un paese devastato dal punto di vista materiale e culturale la violenza si tramutò in orrore quotidiano. In un contesto fortemente machista e patriarcale, in cui gli uomini (ma anche un certo tipo di donne) si consideravano i guardiani del discorso (monologico, autoritario, stereotipato), la scrittura della Rodas significò il sovvertimento di molteplici canoni, il che le procurò l’iniziale anatema non solamente dell’ambiente letterario accademico tradizionale, ma anche dei suoi compagni di avventure letterarie e politiche. Continua a leggere