ricordando Cesare Pavese ( 1908- 27 agosto 1950)
“La massima sventura è la solitudine, tant’è vero che il supremo conforto – la religione – consiste nel trovare una compagnia che non falla, Dio. La preghiera è lo sfogo come con un amico. L’opera equivale alla preghiera, perchè mette idealmente a contatto con chi ne usufruirà. Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri. Così si spiega la persistenza del matrimonio, della paternità, delle amicizie. Perche poi qui stia la felicità, mah! Perche si debba star meglio comunicando con un altro che non stando soli, e strano. Forse è solo un’illusione: si sta benissimo soli la maggior parte del tempo. Piace di tanto in tanto avere un otre in cui versarsi e poi bervi se stessi: dato che dagli altri chiediamo ciò che abbiamo già in noi. Mistero perche non ci basti scrutare e bere in noi e ci occorra riavere noi dagli altri. (II sesso è un incidente: ciò che ne riceviamo è momentaneo e casuale; noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso di cui il sesso è solo un segno, un simbolo). “ ( 15 maggio 1939)
Così ne “Il mestiere di vivere” edito postumo e che raccoglie riflessioni su una moltitudine di argomenti, Pavese anticipa la sua difficoltà di vivere , quello che Davide Laiolo chiamerà “Il vizio assurdo”.
Leggiamo la sua incapacità di trovare un senso alla vita, la sua inadeguatezza, il bisogno di oltranza che si scontra con quello di ragionevolezza : “ noi miriamo a qualcosa di più riposto e misterioso”. Continua a leggere
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