Jean Siméon Chardin è un pittore francese del Settecento non molto conosciuto in Italia; recentemente l’ho “scoperto” a Ferrara, dove una mostra monografica ne tracciato, per la prima volta nel nostro paese, tutto il percorso formativo, dalle composizioni giovanili alla sua lenta ma sicura ascesa, fino alla vecchiaia ricca ancora di frutti creativi. E l’ho trovato incredibilmente attuale, nella sua essenzialità quasi “metafisica”.
Figlio di un fabbricante di biliardi, Jean Siméon segue solo in minima parte i percorsi tradizionali; appropriatosi della tecnica pittorica all’Accademia reale, entra poi in uno studio come apprendista ma rifiuta da subito i soggetti alla moda, storici e mitologici, per dedicarsi allo studio diretto della realtà attraverso le sue nature morte assolutamente diverse dalle lussureggianti composizioni del Seicento. Al contrario, Chardin mette in scena, sopra una tavola di marmo bruno, bottiglie, bicchieri, frutta, e le ritrae con colori morbidi e discreti ma caldi, in posizioni architettonicamente studiate: oggetti quotidiani di una semplicità estrema, la luce e le sfumature sono tutto.
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