Era il tempo in cui le stelle e le maree si alzavano all’unisono, le conchiglie bianche scavavano solchi morbidi nella sabbia e le poche case del villaggio a ridosso del nero monte Urunga sfilavano davanti agli occhi, ferme nella loro povera forma e sostanza. I cieli aperti di blu cobalto e striati da sfilacci di nubi inconsistenti scivolavano verso l’orizzonte. Continua a leggere →
Quando si scrive in una lingua che non è la propria lingua madre si verificano curiosi mutamenti nella scrittura. Queste poesie, scritte in lingua inglese e poi da me tradotte in italiano, ne sono la prova. Inspiegabilmente, le percezioni assumono contorni altri e nelle parole si accendono nuovi percorsi di ricerca semantica e sintattica. La grammatica della lingua di partenza (inglese) spinge obbligatoriamente a giocare con fonologia e morfologia aggiungendo sempre nuovi squarci di significato ed espressione ai testi. Non credo avrei mai potuto scrivere questi stessi testi se fossi partita dalla lingua italiana. Mi sorprende sempre il risultato, ed è come se dentro me convivessero due diverse voci che si comprendono, si ascoltano, si completano. Dell’altra me amo l’asciuttezza, la risoluta affermazione di complessi stati d’animo riassunti in due sole parole, il disincanto e la sfumatura di una nota narrativa permanente. Insomma, se dovessi “leggermi” con un altro nome, mi leggerei. E credo imparerei di certo qualcosa. In realtà la scrittura insegna sempre; e un’altra lingua rende questo insegnamento ancora più prezioso.
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La lingua in cui scrivo volta a volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica associativa è certamente quella di molti popoli e riflettibile in molte lingue.
Tra le palme volando,
angeli santi,
fermate i rami,
che il mio bimbo dorme.
Voi palme di Betlem,
che irosi muovono
i furiosi venti
risuonanti:
il frastuono sedate,
fate piano,
fermate i rami
ché il mio bimbo dorme.
Il pargolo divino
s’è sfinito
a piangere chiedendo
in terra pace:
quietar vuole nel sonno
il lungo pianto. Continua a leggere →
Oltre il vetro le aiuole sommerse di bianco luccicore si disegnavano, come drappi poggiati sui petali caduti, le corolle invecchiate, i grumi di terra scura. Rimpiangevo il minuto precedente l’arrivo della neve, quando ancora era limpido il cielo e nessuna nube ostile incombeva sul giorno. Ora le cortine di fiocchi vorticavano veloci e faceva un freddo intriso di vuoto, proprio come quando da bambina camminavo sul bordo del marciapiede che portava alla scuola, nelle mattine d’inverno. Era stato come allora: all’improvviso l’azzurro aveva preso il volo e nubi scure si erano accalcate sulle case e sulle vie; poco dopo la neve era arrivata silenziosa, senza preavviso, muta nel passare, fatta d’eterni attimi la sua discesa.
perché la nostra società sia una società di cui andare fieri”
Stéphane Hessel
Da Modena, Simonetta Sambiase ci racconta le sue impressioni sullo svolgersi della manifestazione 100 Thousand Poets for Change svoltasi Domenica 3 novembre scorso nell’ambito degli eventi organizzati a Bologna e Modena per ricordare Lampedusa, morti e sopravvissuti. Con lei molti altri poeti hanno manifestato la loro indignazione nei confronti dei tragici eventi di Lampedusa leggendo Poesia per le vie del centro di Modena e Bologna. Per gridare a suon di versi il diritto alla dignità e alla vita stessa.
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Si resta impigliati dalla commozione. Si resiste ancora commosse ma fino ad un punto delimitato perché altri sentimenti ti invadono e la ragione identifica quello che stai ascoltando in un sentimento d’indignazione. Sentire il racconto della verità dei funerali di Stato a Lampedusa, ad esempio, t’indigna; Continua a leggere →
«Hai con te il libro che stavi leggendo al caffè e che sei impaziente di continuare, per poterlo poi passare a lei, per comunicare ancora con lei attraverso il canale scavato dalle parole altrui, che proprio in quanto pronunciate da una voce estranea, dalla voce di quel silenzioso nessuno fatto d’inchiostro e di spaziature tipografiche, possono diventare vostre, un linguaggio, un codice tra voi, un mezzo per scambiarvi segnali e riconoscervi».
Italo Calvino – Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979)
Matteo Massagrande
Era lì, davanti a me, con l’aria di chi volesse interrogarmi. Il cielo cambiò colore e in cima alle colline si stese un drappo di nubi spesse del colore dell’acciaio. L’aria frizzante giocava rincorrendo le foglie. L’ufficio postale si trovava in fondo alla strada, seminascosto dalle fronde di un castagno. Accanto, in un edificio basso in mattoni rossi, vi erano la scuola elementare e gli uffici comunali. La strada davanti a me si stringeva velocemente confluendo nella piazza deserta. Ad un tratto, come per incanto, s’intessè nel cielo una nuova trama di luce. Continua a leggere →
Now the sun had sunk. Sky and sea were indistinguishable. The waves breaking spread their white fans far out over the shore, sent white shadows into the recesses of sonorous caves and then rolled back sighing over the shingle. The tree shook its branches and a scattering of leaves fell to the ground. There they settled with perfect composure on the precise spot where they would await dissolution. Black and grey were shot into the garden from the broken vessel that had once held red light. Continua a leggere →
Eccomi qui a recensire un libro contenente 6 racconti complessivi, suddivisi tra le due autrici- Federica Galetto e Simonetta Sambiase- ognuna delle quali ha composto singolarmente 3 racconti
Inizialmente avendo notato la pubblicizzazione di questo e.book all’atto immediato della prima uscita, avevo intuito erroneamente che si trattasse di un’opera a quattro mani, come se le due autrici si fossero accinte all’improbo compito di scrivere all’unisono, forse facilitate da una profonda conoscenza e unione di capacità organizzative sul piano della scrittura, ma subito, all’atto della lettura,ho compreso che non era questa la genesi, anche se si può notare una sorta di linea comune, denotata dall’avere assunto a protagoniste incontrastate di tutti e 6 i racconti figure femminili che in alcuni dei racconti assurgono anche a eroine di vite confuse o del tutto desolate, anche se in molti casi si tratta di esistenze portate avanti con una testardaggine di tipo nervoso.razionale per una sorta di mantenimento della propria dignità essenziale. Continua a leggere →
Leggendo Stanze del nord siamo immediatamente trasportati all’interno di due perimetri concentrici, la casa e il paesaggio, quasi due trincee entro le quali lasciarsi andare ad una solitudine invitante, ad una clausura volutamente inviolabile che nello stesso tempo si rivela essere attesa di un prodigio e dove quel prodigio si rivela non essere altro che la scrittura (o la riscrittura di sé).
Entriamo dunque. Siamo dove totalmente assente è l’ordinario. Ogni pur piccolo elemento è visto con acutezza e partecipa della vita della poetessa, condivide il suo percorso e le sue folgorazioni nel serrato confronto con la natura, con il passato, con gli intercalari lasciati scoccare come alleluia in un santuario così echeggiante dei propri spasimi da farle scrivere di punto in bianco che cosa fai/ sulle guglie del mio capo. Continua a leggere →
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