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Dio mio come vorrei sognare per non dire dormire è notte
l’aria fina mi avvolge tutto come uno sciame piove e sono
raffreddato sono un vero essere umano con veri ascendenti
e una buona dose d’estasi ma cosa te ne fai di un bambino
come me se non mi mangi tu dovrò mangiarmi io
che strana maledizione la mia “generazione” siamo tutti
come fiori nell’Agassiz Museum degli eterni ardenti
non mi toccare ché se tremo suono come i campanelli
cinesi al vento io mi sono fatto sismografo tutto qui
e se un gesuita ti squadra per sempre poi tintinni
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………………………………………………………………………………………………………….da “PER IL CAPODANNO CINESE E PER BILL BERKSON”
………………………………………………………………………………………………………….(FOR THE CHINESE NEW YEAR AND FOR BILL BERKSON)
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Nelle strofe sopra riportate di questo poemetto che ne conta più di 25, O’ Hara tratteggia uno dei temi caratteristici della sua poetica: quello di uno “sciame” umano, nevrotico, goloso o più spesso affamato, capace anche di essere dorato; uno sciame di umani che, al pari di api o vespe o tante monetine d’oro o gocciolature come nei quadri di Pollock, presenta un vivere caotico, dispendioso e aleatorio, ma tutto sommato, nei ritmi, tanto più in quelli moderni, meccanico;
un vivere nel quale la poesia funziona quindi come estrattore, in progress, di quello (altro) che può (e deve) uscire. Continua a leggere
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