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“Alla fine degli anni Settanta, a Genova, un uomo si getta dal quinto piano di un palazzo, intenzionato a togliersi la vita, e cade sopra un casuale passante, che muore di colpo. L’aspirante suicida, pur ferito, si salva. Questo episodio paradossale, in cui la morte volontaria non si realizza solo per un capriccio del caso, mi suggerisce, tra il 1980 e il 1981, l’idea di Camera fissa: un breve romanzo noir che sviluppa, tra sogni e fantasie, la complicata strategia di vendetta della vittima che nella finzione del mio racconto sopravvive, contro il nemico che lo ha paralizzato. Il titolo del libro, Camera fissa, vuole alludere sia alla forzata immobilità del protagonista sia al suo mestiere di filmaker.”
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da Volo imminente
“Cammino in una strada assolata, i cui non scorgo la fine. Il lato destro è costeggiato da un grattacielo, sulla cima vedo il profilo di un uomo. Osservandolo dal basso. Ho la sensazione che cammini in punta di piedi, che sia nudo; ma il vetro del grattacielo rosseggia nella luce, offusca la sua figura.
Cammino in silenzio. Lassù lui ripete i miei passi, come per schernirmi. Io mi fermo, lui si ferma. Riprendo a muovermi e lui si muove. Allarmato da quell’imitazione insensata provo a correre per liberarmi, ma anche lui, con l’agilità di una scimmia, si mette a correre. E se fossi io l’ombra del suo corpo? Se fossi io l’immagine riflessa dal sole?
[…] “
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Camera fissa non è un libro di luoghi o situazioni, un noir con assassinii che non svela, se non alla fine, l’assassino. Qui tutto è inchiodato come un quadro, come quel “muro e finestra” solo disponibili al protagonista. La lingua stessa si fa asciutta, secca, con periodi perlopiù senza subordinate, essenziali, i punti come chiodi. C’è infatti una corda tesa nel testo, con panni altrui da non potere né volere vestire, e tende schermo che fluttuano, come le palpebre dietro le quali cammina e fissa l’occhio. Eppure, al di là del “Desiderarsi tenda” di tipo orientale, queste tende-veli non avvolgono, né proteggono, né fungono da telone per chi (o per che cosa) da quella corda dovesse cadere. Il volo è precluso o è subito (e proviene da un alto, altro, che schiaccia, come accade al protagonista), o è per proiezioni (di sogni, di film, di fantasie) che diventano vere e proprie fissazioni delle linee di fuga della mente che proietta. La tensione che ne deriva non scaturisce da paura (per es. di, o di dover, morire), né da dolore (men che meno se inteso come esistenziale), ma da un senso totalizzante di costrizione, anche dei/nei propri sogni o incubi. Continua a leggere →
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