Se si dovesse racchiudere in una definizione il lavoro poetico di Sabino Caronia, si dovrebbe parlare di poesia della luce. Luce in tutte le sue tonalità, da quelle abbaglianti, così forti da sconfinare nell’opposto, a quelle più limpide, distese, alternate di penombre. Luce di paesaggi, di stagioni – l’estate in primis, il tempo fermo dei densi climi di cardarelliana memoria – ma anche luce sconfinata ed extratemporale dell’Anima che ritrova la sua fonte, il mistico abbraccio di una Divinità che è, per eccellenza, materna e donatrice. Scorrendo le pagine di questa bellissima raccolta, dal titolo non casuale Il secondo dono, il lettore può scorgere, condensati e ricreati in una musica tenue e struggente, dall’inclinazione appena malinconica, tutti gli aspetti e i caratteri del Caronia critico (quello dell’Usignolo di Orfeo e del Gelsomino d’Arabia, e di tanti memorabili scritti) e del Caronia narratore (quello de L’ultima Estate di Moro ma pure quello, splendidamente evocativo del racconto La Cupa dell’acqua chiara o dell’esemplare racconto sulle luci della festa ebraica di Khannuk viste attraverso gli occhi di Kafka). Continua a leggere
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