Diario da un bordo
Che qualcuno guastasse
la mia lacrima dura,
dura e significativa più di un acino da sparo,
che qualcuno la spaccasse
con un’ascia micidiale o con un bacio atomico,
l’ho detto, l’ho scritto, l’ho perfino arato.
L’ho detto
e per dirlo meglio ho cercato di migliorare
la capacità espressiva
della bocca,
ho studiato le sostanze del vocabolario
e l’ho detto.
L’ho detto e l’ho scritto
e per rendermi più forte e più precisa
l’ho inciso con pietra sanguigna
affinché si leggano anche nel buio
le lettere sanguigne della mia tragedia.
E infine – cioè io dentro la fine – l’ho arato
con tutte e dieci le mie unghie
dentro la pelle di un altro,
ogni volta che ho fatto l’amore.
E a proposito di fare l’amore,
è rimasta nel mio corpo
anche quella notte di qualche mese fa,
ultima di dieci notti in fila,
una per ciascuna unghia,
tutte incastrate in un letto d’ospedale.
Sul mio comodino
si erano piantate due farfalle sovrapposte.
Io lì, ferma vicino a loro,
con un bozzolo in pancia
già ramificato in testa e in cuore. Pensavo.
Pensavo ed eravamo nella antica storia
dei fiori,
nelle radici dei fiori
e nelle ali della farfalle.
Vegliai quelle ali sonnambule e me
in mezzo a loro
e in fondo a quella veglia ho abortito:
anche questo l’ho detto l’ho scritto l’ho arato.
Che è stata un’altra palata di silenzio
in faccia,
ingoiata giù senza masticazione,
dentro l’universo
della mia pancia.
L’infernaccio furioso
che brucava me
si è innamorato per Dio!
AUTORITRATTO.
PRIMO PAESAGGIO DENTRO E FUORI
LA MIA TESTA.
Non c’è bisogno dell’ascia per spaccami
la fronte.
Te lo dico con parole minerali vegetali e animali,
ognuna della quali in sé in/spira:
quel che c’è nella mia polpa esiste.
Lampante.
Ho la fonte alta, è vero.
Accolgo le diagonali nervose
e le storie universali che mi sbattono. Spiano,
disposta come la terra per l’atterraggio
e a volte il più della volte, mi faccio il muso
decisivo e decollante assimilando quello
degli uccelli.
Non per il volo fine a sé stesso
ma per raggiungere il mondo agitato
di un’altra fronte.
Ho la pelle semplice
che mi copre.
Mettici un bacio comunicante: ci trasmettiamo dio.
Quanto all’incantamento dei sogni,
lo dico con la serenità forte dei sopravvissuti svegli,
gli angeli dentro la mia testa sono crepati.
Senza testamento.
Senza testimoni.
Senza la salma delle piume.
Funerale a mezzogiorno
accompagnato dal corteo
dei montanari di Montelovesco
e dai miei occhi reali.
E’ un’ora qualunque, adesso.
Buona per fare l’amore, per la poesia
che è il fare.
Mi vedi da te, senza guardarmi.
Niente ascia.
Mi si è riempito il cervello di terra.
Il cielo mi serve per il colore
e perché bevo la pioggia.
Scorre il mio sudore scrivente
e l’aiuta a ingrossare
il viaggio terrestre
del lunghissimo e profondo
fiume.
7 poeti del Premio Montale, AAVV, All’Insegna del pesce d’oro, Milano, 1996 p. 57-76
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
E’ una pagina davvero intensa, riveste di vita nuova alcuni aspetti che ricorderebbero, apparentemente, la forma dell’invettiva in versi. Nei testi è superata però la reciprocità dell’avversario da abbattere / essere abbattuti e si innova il discorso con la scoperta dell’ansia esistenziale, celata dietro alla ordinaria fisicità del “fare poesia”. Non c’è un nemico unico da sconfiggere, dunque, né un problema sociale da denunciare (sebbene siano questi i tempi) piuttosto appare tutta la condizione umana di chi scrive, s’interroga e sconta la pena di esistere, dolore compreso, ma elaborato in una cornice di coraggiosa determinazione:
“…Vegliai quelle ali sonnambule e me
in mezzo a loro
e in fondo a quella veglia ho abortito:
anche questo l’ho detto l’ho scritto l’ho arato.
Che è stata un’altra palata di silenzio
in faccia,
ingoiata giù senza masticazione,
dentro l’universo
della mia pancia…”
Straordinarie, anche in questo esempio, alcune espressioni forti ed il vissuto è riscattato dal rischio della banalità proprio grazie all’ intenso dinamismo che vede l’io narrante mai sconfitto e sempre pronto alla lotta, anche con la scrittura. La definizione di “poesia che è il fare” conquista perchè supera la consueta equivalenza poesia = vita a favore di una variante assolutamente non trascurabile. Marzia Alunni
Una bella sorpresa questo post dedicato a due poesie della Farabbi. Mi sono lasciata ispirare da Viviana Scarinci e ho dedicato anche io un post ad una poesia della Farabbi, ripescando un cimelio cartaceo da una mensola che chiamo pomposamente “archivio”!
Il post ha questo indirizzo:
http://letture-e-riletture.blogspot.it/2012/09/dentro-uno-spartito-di-allodole.html
ma nel caso non vi interessi navigare oltre la poesia la aggiungo in questo commento, sperando di fare cosa gradita:
Intanto sfrego l’unghia del mio pennino
contro il foglio
per torcere le gocce dense d’inchiostro
e farle cose
dure
sterminate ed emigranti
Intanto muoiono altri poeti
con la stessa faccia zitta di altri operai
con la stessa schiena stracarica e zitta
di muli franati a picco dai sentieri stretti
della montagna
Intanto con dita rampicanti io sono e io scrivo
che la scrittura non salva non basta
questo passionario paesaggio di minime lettere
dentro cui coagulo
così simile ad un lunghissimo fronte
di fame di guerra di drammatiche baracche
provvisorie
come del resto tutto e noi in tutte le parole
Non serve non parla lo scrittore tremendo che si
miete
le sue orecchie infinite per imbuiarsi dentro
la buca del suo cuore
mentre fuori si sfasciano in volo gas nervini bocche
di bambini spalancati e assassinati bocche
di terra di bestie di gente di gente di gente
Allora meglio imparare la vita vivendo
leggendo la scorza calligrafica degli alberi
dritti
o quella di una mano rapinata
e meglio prolungarsi dentro uno spartito di allodole
che frecci
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Voglio aggiungere (anche se proprio non servirebbe aggiungere altro a queste due poesie) che in questi testi c’è molto di quanto non deve essere perso di vista, non tanto dalla donna che scrive poesia ma da chi scrive poesie a prescindere … sperando che prima o poi la si finisca di essere costretti a precisare ciò.
Uno dei dati più preziosi di queste poetica “notturna e incendiaria”, al di là delle tematiche che posso essere facilmente scambiate per intimiste, o “femminili” quando si inquadrano parzialmente le cose nel senso di una comoda visione di genere – uno dei dati particolarmente evidenti, dicevo – è l’autenticità, il non simulato distacco, l’aderenza all’espressione di un’energia esistenziale propria non artefatta né particolarmente spontanea, direi lo studio molto accurato della misura del suo crescendo (qui mi riferisco al primo testo). Farabbi dimostra “dentro” il verso quello che fa e quanto si deve fare in caso di incendio, e convince con la reiterazione, dando un’unità poetica assolutamente credibile perché dimostrata dal risultato, che è sempre in poesia l’emozione, che può essere smaccatamente percepita come in questo caso, ma anche allusa sottilmente e allo stesso modo persistere, come in altri.
Per quanto queste due poesie, come indicato, siano tratte da un’antologia edita nel 1996, personalmente vedo tra i temi, l’aborto, qui inteso del tutto modernamente e non come una tematica strettamente femminile, né tantomeno ausiliaria o funzionale. Inoltre non vedo, come la rottura con un concetto classico e abbastanza trito, (anche se pare ancora frequentatissimo) di sogno, astrazione, cieli, voli ecc testimoniata dalla rilettura in senso alternativo della parola “volo” (nel secondo testo) – dicevo, non vedo, come ciò possa non ritenersi uno tra i possibili e validi approcci senza falso distacco, a una poetica dell’attualità.
Grazie Marzia della tua preziosa attenzione.
Bello trovare testi amati e persone amabili e precise intorno al letto di una parola ora vagabonda ora mina vagante ma sempre oracolante e come tale incendiaria perché miete le sue selci e le strofina nelle profondità di ciascuno appiccando il fuoco che serve al risveglio della consapevolezza. Grazie a tutte, lo porterò anche ad Anna, ora a Mantova per il festival. Un saluto a voi tutte.ferni
Potenti. Splendono
Liliana Z.
Quando la poesia sa scavare l’esperienza, farsi terra e aratro, solco, ferita e nuova terra fertile. … Ha un andamento profetico ma non oscuro; all’interno è abitata dalla verità.
Narda
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Poesia dura forte, fatta di parole minerali vegetali, animali, nate in simbiosi con la terra e col corpo-sangue-anima. Parole esenziali .dense di sangue e vita.
Leggendo questi versi si percepisce l’acuirsi verticale di una sorta di sofferenza panica, che però non rimane mero ripiegamento intimista nei mali del nostro tempo, bensì veste i panni combattivi di un ‘accetta che slabbra i pertugi dell’esposizione fonematica, e imprime una semiotica del disappunto che è solida, sostanziale e non ornamentale, come fango rappreso.
come dice De andrè:’dai diamanti non nasce nulla, dal fango nacono i fiori’. E il nostro ‘esserci’ primordiale, di cui solo di rado ci ricordiamo.
non saprei cosa aggiungere agli altri commenti.Mi sembrerebbe di scrivere fronzoli e destesto i fronzoli .Questa poesia è potente e perentoria,autentica,energica e inconciliabile.
Grazie,ad Anna Maria per la sua poesia e a Viviana per un post di questo livello.
lucetta
non si giunge mai in ritardo di fronte alla grandezza.
e in questi versi se ne respira e ci si arresta, quasi ammutoliti dalla potenza espressiva cui può arrivare la poesia.
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