Di cosa parliamo quando parliamo di memoria collettiva, di tradizione?
Di qualcosa da conservare in una teca trasparente ed impenetrabile? O di materia vivente da immergere nel flusso delle cose e del tempo? E tradizione e tradimento sono termini sempre antitetici? E nei nostri giorni degradati e degradanti si può ancora parlare di tradizione? Il divino labirinto delle cause e degli effetti cantato da Borges, mi ha fatto imbattere in questo straordinario gruppo vocale denominato “ Su cuncordu e Rosariu” . E’ un quartetto nato a Santu Lussurgiu, nel cuore della Sardegna, nel 1605. Da quattro secoli canta nelle funzioni religiose del borgo, soprattutto nella settimana Santa. A dargli nuova vita e vigore vita in questi ultimi trentacinque anni sono quattro lussurgesi, uomini che dedicano al canto il loro tempo libero di operai ed artigiani.
Hanno ridato impulso a quel canto perso nel tempo buio ed immobile. Ora sono conosciuti in tutto il mondo Hanno cantato a New York, in Brasile, in tutta Europa. Non sono un gruppo folcloristico. Loro compito dichiarato è il mantenimento dell’ arte antica del cantare per accordi, perchè rimanga nella vita quotidiana del presente e dei tempi che verranno. Senza intenti spettacolari. Il canto per loro è rito, anche quando non è sacro Le loro linee vocali sono le stesse che i loro antenati intrecciavano secoli fa nell’ oratorio del Rosario. Immobili e vibranti, fluttuanti come cima di quercia piantata su un tronco inamovibile. Musicisti dell’ esperienza di Paolo Fresu si stupiscono nel constatare come Su cuncordu sia capace di ripetere lo stesso brano per più e più volte senza una qualche minima variazione. Continua a leggere
M. Buttafuoco: “Cantare a cuncordu ” a cura di I. Macchiarella
01 lunedì Mar 2010
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