«Quando numeri e figure non saranno più la chiave di tutte le creature, quando quelli che cantano o baciano sapranno più dei profondi eruditi, quando il mondo tornerà a essere vita libera e vero mondo, quando poi luce e ombra si ricongiungeranno in un genuino chiarore, e quando in fiabe e poesie si riconosceranno le storie eterne del mondo, allora di fronte ad un’unica parola magica si dileguerà tutta la falsità»
poesia che, stante alla “Notizia di Ludwig Tieck sul seguito”, avrebbe dovuto trovare posto nel proseguo del libro
Non è mia intenzione riassumere o dare una lettura completa, ancorché amatoriale, de l’Enrico di Ofterdingen di Novalis; non ne sono in grado, non solo perché è un romanzo interrotto di fatto, e continuamente sospeso e trasfigurato nella parte che ci è pervenuta (basti pensare ad es. che la parte prima -“L’attesa”- rappresenta il 90% rispetto al 10% della seconda parte – “L’adempimento” ), ma per via della vertigine che mi coglie anche a riletture diverse, a distanza di anni, tanto che non saprei descrivere la costanza di questa sensazione se non con il suo risucchio;
difficile infatti starsene in superficie come su di uno specchio azzurro e calmo, di un cielo che mostra un solo volto: queste pagine sono piene di sogni, di gorghi oscuri, caverne, polle, montagne minerarie, figure misteriose, libri, ancora pagine che appena vergate vanno disfacendosi,… e l’immaginazione del lettore – la mia – è più di un sasso che, sprofondando a sua volta, fa più di un cerchio. Continua a leggere
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