Dedicare una poesia, ben diversamente da come può sembrare, è una scelta delicata, almeno per chi ha con la poesia un rapporto totalizzante. Ci si interroga sull’opportunità della circostanza (un compleanno, un incontro, un triste evento), sul pericolo di eccedere in gravità o in leggerezza, su come reagirà la persona (o i suoi parenti, gli amici). C’è poi il dubbio, strisciante e continuo: quella poesia deve restare nella sfera privata o deve essere pubblicata? E quasi sempre ci sono buoni motivi per entrambe le soluzioni. Talvolta, per risolvere il dilemma, si opta per la pubblicazione con l’indicazione delle iniziali o del solo nome proprio.
Ma sono tanti i modi con i quali rendere pubblica (o, al contrario, mascherare) la dedica di una poesia: c’è la dedica tradizionale, che a volte costituisce il titolo stesso della poesia; c’è la dedica posta all’interno del testo; c’è quella impropria, fatta per allusioni o con le sole iniziali del nome; c’è quella omessa, quando la dedica resta ‘privata’, totalmente nascosta al lettore. Eppure non siamo in presenza di un genere artificioso o minore, anzi, siamo spesso al crocevia tra vita e scrittura, nell’anticamera del cuore del poeta. Basti pensare a Leopardi (A Silvia, A se stesso) a Manzoni (Il Cinque Maggio) a Foscolo (anch’egli dedica una poesia A se stesso, quindi A Zacinto, dove dedicataria non è una persona ma, notoriamente, una città). Ed c’è una grande presenza di dediche in tutta la poesia del nostro novecento (cito Bertolucci, ma anche Pasolini, Caproni, Giudici, Fortini e molti altri). L’editore Crocetti pubblica da qualche anno una serie antologica sottotitolata “poesie per” (la madre, il padre, i figli) che ci offre illustri esempi di poesie dedicate. Devo dire che, per quanto mi riguarda, ho iniziato a praticare questo genere di poesia abbastanza presto, ma senza alcuna premeditazione; pian piano, a quindici anni dalla prima poesia, sono arrivato a contare una decina di poesie dedicate, quasi una poesia su dieci è ormai una poesia che dedico a qualcuno: l’ultima a mia figlia (che resta privata), almeno due a grandi poeti – Ripellino e Raboni – le altre ad amici, viventi e mancati. Mi sono così chiesto se questa forma poetica non mi sia addirittura connaturale; di certo la sento ormai fortemente interiorizzata. Vorrei concludere con una pagina di Czeslaw Milosz, una folgorante meditazione su questo tema che ho recentemente proposto in rete (www.caffedellenuvole.blogspot.com) Continua a leggere
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