Riportiamo un brano della lunga intervista di Anna Lombardo sul sito Diritti Globali .it nella parte in cui si mette a fuoco la coscienza della scrittura poetica come “percorso attivo, di ascolto e lettura di sé stessi e del mondo” e dell’importanza di rimettere “al mondo” un percorso di rivalutazione del femminile all’interno della produzione artistica poetica.
Nella fattispecie, per Anna Lombardo: ” la scrittura poetica ci spinge a cercare la nostra voce, ci interroga sulle nostre posizioni, sui nostri stessi limiti. E in questo ci vedo la sua forza rivoluzionaria e non solo di denuncia. Io credo molto nella responsabilità della scrittura: non posso scrivere e restare alla finestra a guardare. Non mi interessa quel tipo di poesia. Quella è una poesia che fa male, sollecita solo la tua passività, fa male a tutti non solo a chi la produce, a chi l’ascolta o legge e a chi la vende. C’è chi dice, e sono in molti ancora, che la poesia non deve prendere posizione, che è al di sopra di tutto. Ma al di sopra di cosa? Spesso incontro dei poeti che si negano ad un evento poetico contro la guerra per esempio, perché non vogliono schierarsi. Questa sacralità della poesia, e quindi del poeta (nota non della poetessa, sic!), è un’altra ossessione che i critici purtroppo hanno da sempre avvallato per secoli; è un altro modo con cui il sistema non vuole essere giudicato, cambiato. Un altro modo con cui ci si vuole ‘sudditi convinti’. La poesia, come tutta l’espressione artistica che si definisce tale, ha un patto di impegno e responsabilità verso se stessa e il mondo, un patto che non può essere tradito.
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La poesia, almeno nella mia esperienza, richiede una concentrazione continua e intensa rispetto alla scrittura di un racconto o un romanzo; necessita di una intima relazione con me stessa, il mio corpo e anche con il mio spazio.
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Se lavori, come molte di noi fanno, questi momenti non sono sempre a portata di mano. Noi donne siamo continuamente ‘distratte’ da mille cose: la spesa, la lavatrice, la casa etc. etc. Quando devi lavorare su un testo poetico finisce che qualsiasi interruzione (anche il telefono per esempio) si porta via tutta la tensione, tutto ciò che nel frattempo si era mosso dentro di te e ti lascia un po’ spodestata. A volte però ho bisogno di ‘interferenze’ per aggiustare il tiro o vedere più chiaro in quello che sto facendo.
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Per esempio quando scrissi il lungo poema su Didone lo pensai come una risposta di Didone al suo creatore, Virgilio, fin da subito. Ma alla fine scrissi un monologo tra Didone e la prima kamikaze cecena di cui si venne a conoscenza nei primi anni del duemila. In quel periodo mi stavo interrogando sulle figure femminili nei testi di alcuni poeti classici (Penelope, Antigone e Didone etc.). Lavoravo soprattutto sulla risonanza di queste visioni di donna nell’immagine che la donna aveva introiettato di se stessa. Quanto cioè queste figure mitiche avessero nutrito sia il nostro immaginario femminile sia quello maschile, marchiando, dirigendo e limitando in entrambi una visione personale e libera . Quanto di ‘donna’ c’era in quelle figure di donne fissate dai poeti, insomma, e quanto invece esse erano il risultato della proiezione tutta maschile di una ‘idea’ di donna che si avvicinava più all’immaginario maschile della propria parte femminile. Su questo si discute ancora poco. Ricordo che stavo rileggendo le pagine che Virgilio dedicava a Didone, questa figura mitica di regina cartaginese, quando sentii la notizia della strage nel teatro di Mosca. Tralasciai per molti giorni Virgilio e lessi invece un paio di testi sulla situazione in Cecenia e di queste giovanissime donne trasformate in kamikaze. Di tutti i miei testi, credo che questo sia stato quello che abbia ricevuto benefici da quelle interferenze. Almeno credo. L’ho rivisto più volte e devo dire che lo capii molto di più quando, per via di una traduzione che ne fu fatta in inglese, dovetti rispondere a dei chiarimenti da parte dei traduttori. Ci tenevo che si capisse che Didone, da donna, parlava ad un’altra donna rispetto al tema dell’amore, della sudditanza e della necessità di trovare altre strade che non portassero alla distruzione di sé stessi. Alla fine capii che avevo considerato Didone come la prima Kamikaze ‘costretta ’dalla storia a quel ruolo e non da sue libere scelte. Come vedi il processo creativo segua sentieri differenti ma il tempo che hai a disposizione per rispondere alla necessità della scrittura (per me è necessità) e per scambiare idee con le altre e con gli altri non è mai sufficiente. Insomma un processo creativo, come dicevo prima, non sempre lineare e disciplinato. Io non sono una persona molto disciplinata di mio, comunque. Forse questo influisce?
per gentile concessione della poetessa
riferimenti in rete su
http://www.dirittiglobali.it/2017/01/90365/#comment-454485
fernirosso ha detto:
in questi labirinti metamorfici, in cui cadiamo tutti i giorni, in cui reale è virtuale e viceversa in una amalgama che sempre più risulta disumanizzante e androidizzante, dove i sensi e le emozioni navigano in una rete di bit e non di battiti, dove la consapevolezza della paura e del desiderio sono diventati solo gioco, la poesia entra con le parole del quotidiano, in cui il mito è diventato la rappresentazione cinematografica di una figura che spesso è decaduta alla commercializzazione di un qualsiasi prodotto, e dovrebbe smuovere ciò che, di fatto, è andato perso in testi scolastici desueti e non praticati che per lettura in modalità di sintesi di un file immesso in rete che legge una volta per tutti e non viene invece fatto proprio, non viene attraversato e non ci si lascia attraversare da tutte le forme e configurazioni che il mito ha assunto nella storia e quindi nel tempo, fino ad oggi.
Tutto è solo vacuità e sorvolo, attraverso un’amputazione che ha per lama l’indifferenza non certo la ricerca di sé, che invece si evita nascondendosi accuratamente dietro figurine virtuali a cui essere uguali in visus e non certo in una comunione di intenti e ricerca interiore. Mi domando spesso come la poesia possa entrare nella vita dei giovani facendo loro comprendere che è un percorso di autenticità nel cammino in cui si è esposti a tutto ciò che ci viene incontro, e non è solo roseo e gioioso ma terribile, orrido, improvviso…
Grazie delle riflessioni che condivido anche se le postazioni femminili e quelle maschili ultimamente le rivolto e percorro le strade dell’altro a mio modo, visto che in noi ciascuno è femmina e maschio.
f.f.
il golem femmina è-Met(h) ha detto:
L’ha ribloggato su Il Golem Femminae ha commentato:
Reblog di parte della lunga intervista ad Anna Lombardo sulla responsabilità della scrittura poetica . Da Via delle belle donne.
luciannaargentino ha detto:
Mi ritrovo volto nelle parole di Anna Lombardo. Anche per me la poesia è un colloquio continuo con me stessa e con quello che sto scrivendo. A volte mi sveglio di notte perché, non so da dove, mi è venuto un pensiero su quello che magari in quel momento è il tema a cui mi sto dedicando e allora accendo la luce e me lo appunto. Non sono molto disciplinata nemmeno io, non lo sono per tutte le incombenze quotidiane e forse anche per un sottile ma fastidioso senso di colpa quasi che se sto alla mia scrivania a scrivere sottraessi tempo alla famiglia e a tutto il contorno. Ma non mi faccio impietosire! Appena posso mi chiudo nel mio studiolo e scrivo perché scrivere è sì anche per me una necessità. Articolo molto interessante e ricco di spunti. Senz’altro da tornarci.
anna lombardo ha detto:
Grazie Fernanda e Luciana.
Vero: il tempo che ci viene continuamente sottratto (ormai siamo tutte/i diventate/i ‘risorse umane’ a profitto per altri, sic!) alla scrittura, alla lettura e all’ascolto (non virtuale) nonchè alla partecipazione più attiva alle questioni sociali, ambientali ed educative del nostro paese e non solo, tende a renderci un pò tutti meno ‘sensibili’ e più vulnerabili. Fa scattare quel senso di ‘inadeguatezza’ che come calda cenere tiene acceso l’eterno senso di colpa sottolineato dalle femministe degli anni ’60-70 con cui si teneva a bada la voglia scritturale femminile.
I nostri versi di oggi, così come quelli di ieri, nonostante tutto, dicono ancora di noi, di noi esseri umani e del nostro stare in questo mondo, e lo dicono trasversalmente a tutte le generazioni.
Secondo me, dicono anche qualcosa di più, ci rimettono al centro proprio come esseri umani con tutte le mille contraddizioni, e non come macchina lavoratrice o macchina riproduttiva.
Grazie infinite per il vosyro ascolto e grazie a chi ha postato tutto ciò.
Saluti poetici
anna
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