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 G. De Nittis, Lezione di pattinaggio

 Quando si parla di neve nella pittura dell’Ottocento, si va subito a pensare all’Impressionismo e alle splendide vedute di Degas, Renoir e Monet, ma non solo i rivoluzionari francesi si occuparono di questo tema. Anche in Italia, gli artisti affrontarono l’argomento per cercare di sperimentare nuove tonalità di bianco.

È questo il senso della mostra che, dal 21 ottobre 2016 al 19 febbraio 2017, si tiene alla GAM Manzoni di Milano. Curata da Francesco Luigi Maspes ed Enzo Savoia, la mostra è la prima in Italia dedicata a questo tipo di rappresentazione e ospita venticinque dipinti di alcuni tra i più grandi vedutisti del nostro XIX secolo, che affrontarono il tema della neve nelle loro opere. Si tratta di lavori en plein air, vedute di campagna, insieme a immagini e scorci urbani e di vita quotidiana invernale, tutti uniti dall’utilizzo del bianco e dalle nuove sperimentazioni sul colore e sul suo utilizzo per rendere gli spettacolari toni dell’inverno.

Intesa come ideale continuazione della mostra Gli Impressionisti e la neve del 2004, alla GAM di Torino, l’esposizione è sviluppata secondo un criterio tematico e non certo cronologico, né per scuole, né a livello geografico. Tutto è unito dalla neve, dal manto bianco che ricopre i tetti o invade i boschi di montagna, e che trasforma totalmente il paesaggio. Il perno su cui si muove l’esposizione milanese è Giuseppe De Nittis, il pittore pugliese che divenne amico, a Parigi, degli Impressionisti e, poi, che visse a lungo a Londra, del quale è esposta la tela Lezioni di pattinaggio, tema carissimo all’artista documentato da alcune variazioni, ma che si configura come scena di genere dominata dalla base bianca della pista ghiacciata, su cui le due ragazze si muovono come ballerine: le figure ritratte da De Nittis sono sicuramente eredi delle donne rappresentate da Degas. Il vedutismo è perfettamente rappresentato dalla veduta di Pescarenico sotto la neve, di Girolamo Induno, in cui il borgo, attualmente parte di Lecco, è raffigurato dopo una nevicata mentre un pallido sole illumina e scalda i suoi tetti bianchi, così come dalla Milano immortalata dal grande Giovanni Segantini in Nevicata sul Naviglio o dallo scorcio invernale del Verziere del bresciano Angelo Inganni. La neve è anche il punto di partenza per una pittura di genere che raffiguri, da un lato, scene quotidiane di lavoro e di vita, i cui protagonisti sono pastori e contadini, come provano le opere di artisti come Telemaco Signorini, Francesco Filippini (Vespro) e Niccolò Cannici, ma anche per immagini grandiose, titaniche e di una Natura scenografica e matrona, come testimoniato dalle vedute di montagna di Filippo Carcano (Il ghiacciaio di Cambrena), Emilio Longoni, Angelo Morbelli e Achille Tominetti. La conclusione è affidata a un paesaggio nevoso che non è più solo dato documentale e realistico, ma anche portatore di una carica simbolica: in questo senso, le opere di Carlo Fornara sono emblematiche. L’artista vigezzino ha raffigurato, da un lato, le contadine del suo borgo, Prestinone, poco distante dal confine svizzero, intente a trasportare legna da ardere, ma, dall’altro, ha trasformato la neve in un elemento simbolico, quasi trascendente e segno della presenza divina: il bianco, per lui, è mediato dall’utilizzo del rosso e del celeste, e la miglior prova è data da L’Aquilone, tela in cui bianco della neve e rosso del crepuscolo diventano complementari e simbolo di un superamento del dato realistico, evidente in Ultimi raggi, verso un dato più personale, soggettivo e profondo.

Stefano Malvicini