“Devo pensare a scrivere per sentirmi vivo, posto che la vita che faccio, tra tanta virtù che ho e che mi viene attribuita, e tanti affetti e doveri che mi legano e paralizzano, mi priva di ogni libertà. Io vivo con la stessa inerzia con cui si muore. E voglio scuotermi, destarmi. …Scrivere sarà per me misura d’igiene”. Sono parole di Svevo che ribadisce: “Io non so pensare senza la penna in mano” e nel lungo periodo di intervallo tra la pubblicazione senza successo dei due primi romanzi e la stesura de La coscienza di Zeno più volte dichiara di aver rinunciato alla letteratura non però alla scrittura. Il fittissimo epistolario di quegli anni costituisce in un certo senso un surrogato per chi si è negato qualcosa che pure per natura gli è vitale ed anche in fondo un involontario banco di prova per una ridifinizione del rapporto vita-letteratura e prepara Svevo alla stesura di quella “autobiografia che non è la sua” in cui, in un gioco di specchi, il personaggio-scrittore compone e scompone l’esistenza ricreando il passato alla luce delle esperienze successive con la fluidità che la parola possiede e la sua capacità di dire e nel contempo di non dire, di affermare ma anche di insinuare dubbi sulla veridicità di quanto affermato. Continua a leggere
Elogio di Svevo (e della scrittura)
03 sabato Mar 2012
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