Con il vostro permesso, signore e signori, non entrerò nel merito della definizione di paradosso. La lingua degli scrittori è quasi sempre concreta, lontana dall’astrazione. Vorrei invece condividere con voi alcuni paradossi della mia vita, e per farlo procederò in forma cronologica.
Sono nato nel 1932, un anno prima dell’avvento al potere di Hitler. I miei genitori erano ebrei assimilati, intrisi di lingua e cultura tedesca: per loro l’ebraismo era una specie di anacronismo, da cui tenersi a distanza. Quando avevo tre anni, i miei genitori fecero venire da Vienna una istitutrice, affinché le mie orecchie sentissero la corretta pronuncia della capitale. Gli ebrei assimilati erano sicuri che il regime di Hitler fosse passeggero e che nel giro di un anno o due sarebbe sparito. La filosofia e la musica tedesche, per non parlare della letteratura, in quanto massima espressione culturale dell’umanità, avrebbero sconfitto la volgarità e la violenza, l’espansionismo e la sete omicida. Sono nato in Bucovina, una delle province più rinomate dell’impero asburgico, per merito del suo capoluogo, Cernovitz. Continua a leggere