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a-nuda-voceA nuda voce è il titolo di un testo molto suggestivo pubblicato recentemente da Antigone, casa editrice torinese. Ne è autrice Laura Pigozzi, psicanalista, cantante jazz ed apprezzata didatta . E’ un libro che riassume una lunga ricerca scientifica ed artistica e, contemporaneamente, delinea nuovi sentieri, suggerisce nuovi spunti e riflessioni. Un testo che coniuga chiarezza di esposizione e rigore scientifico, acutezza di analisi ed una forte carica emotiva.

Ho provato a parlarne con l’ autrice, senza una strategia precisa, lasciando affiorare temi e suggestioni da una traccia quanto mai schematica di intervista. Improvvisando , come si conviene a chi ama il jazz. Un approccio che non dice forse tutto della ricchezza del libro, ma che spero, sarà uno stimolo ad una approfondita lettura.

“ Uno dei concetti più interessanti ed inediti di A nuda voce , almeno per un profano, è quello della psicanalisi come arte ; l’ arte, forse, dell’ indicibile ed in questo tanto vicina al canto che tu pratichi”

“ Si è detto molto, anche a sproposito, sulla psicanalisi, della quale non esiste probabilmente una definizione univoca e definitiva. Il mio approccio all’analisi come arte segue prevalentemente quello di Lacan, studioso e terapeuta attivo a Parigi negli anni settanta ed ottanta. Lacan individuava nel metodo analitico un “tertium” fra arte e scienza. A differenza dagli altri approcci terapeutici (Psicologia, psicoterapia, psichiatria) il nostro non si basa solo sulla similarità dei sintomi e dei fenomeni ma tiene conto e mette in primo piano quanto di unico e di inedito c’è in ogni esperienza della mente. La psicanalisi quindi non medicalizza il sintomo, non tende alla sua rimozione.

Uso un paradosso, un’esagerazione che però può aiutare meglio a capire quanto voglio dire. Il sintomo, la manifestazione del disagio, della sofferenza è spesso un “opera d’ arte”, un unicum che nasce dalla storia irripetibile di un essere umano. E’ il modo imperfetto di fare i conti con una storia personale e con i traumi che questa storia ha prodotto. Ci muoviamo quindi sia sul piano scientifico della ripetitività, della regolarità di certi fenomeni sia su quello “artistico” della unicità del singolo.

Trovo che oggi ci sia un preoccupante fenomeno di anestesia dei sentimenti. Sembra infatti che la sensibilità moderna sia sempre più “addormentata” nei confronti dell’ altro, sia esso un individuo o l’ ambiente sociale in cui si vive. Ora anestetica è dal punto di vista linguistico è esattamente il contrario di estetica. Ecco io vedo nell’ estetica la via per riposizionare un soggetto in un circuito pulsionale.

Nel concreto, nell’ esperienza clinica, la ricongiunzione di un soggetto a questo circuito avviene spesso proprio attraverso il recupero di una sua propria e specifica capacità creativa. Certo il risultato è spesso un estetica imperfetta, in divenire.

Proprio come quella del jazz , soprattutto quello cantato, arte basata sull’ improvvisazione e nella quale il corpo, quindi l’ eros, gioca un ruolo fondamentale. Così come gioca un ruolo fondamentale quanto c’ è di estraneo, di inedito. L’ irruzione di una nota che non appartiene alla scala che si sta suonando apre paesaggi sonori diversi , indica nuove strade. Allo stesso modo il sintomo della sofferenza psichica può essere la chiave per il disvelamento di un nuovo paesaggio interiore.

“ Un grande poeta afro americano, Amiri Baraka ( Il nome inglese è Leroi Jones ndr) ha scritto che l’ arte non africana è basata su una terribile ed innaturale scissione fra corpo e spirito, fra religione e quotidianità, fra materia e pensiero . Cosa ne pensi ?”

“ Amo moltissimo Baraka.Lo leggo e nei suoi versi sento una voce, fisica, reale, che grida. Nelle sue parole scritte c’ è un corpo vivo, pulsante. E qui arriviamo al punto centrale della mia indagine. La voce. Che è il suono di un corpo. Perché un corpo, anche se non lo sappiamo sempre leggere, racconta una sua storia.. La voce partecipa della psiche e del corpo. Nella voce si può riassorbire quella scissione fra queste due dimensioni. Una scissione davvero terribilmente presente nella nostra cultura. Una cultura spesso tutta idealista, lontana dal corpo e dalla sua vita reale. L’ artista africano sublima, trasforma in qualche modo la pulsione corporea., la utilizza,. La cultura occidentale e quella asiatica relegano in un angolo buio la dimensione fisica dell’ individuo. L’ idealizzazione è per la psicanalisi la mortificazione del corpo.

A nuda voce si sofferma anche sul canto lirico, un arte nella quale le capacità vocali e l’ emotività si dispiegano al grado massimo”

“ In effetti parlo della “diva”, dell’ eroina del melodramma. Che è uno dei paradigmi più tipici della disincarnazione che attraversa gran parte dell’ arte occidentale. Il grido dell’ eroina , della diva, trascende infatti ogni limite dato dalla nostra cultura,, deborda nell’ indicibile. Infatti le protagoniste delle opere muoiono sempre…I librettisti ed i compositori , maschi, fanno fatica ad accettare questo sconfinamento. Perché l’ emotività femminile del melodramma partecipa di quel fenomeno misterioso che è il godimento di una donna. Fenomeno non conosciuto anche perché rimosso dalla nostra cultura, non nominato , non accettato. L’ eroina che deborda e sconfina in questi territori misteriosi diventa irriducibile al sentire comune. La morte diventa la maniera per disincarnare questa emotività, questo godimento intollerabile. Questo, al di là delle connessioni con il canto lirico è uno dei punti centrali del mio libro: l’ orgasmo femminile, il suo mistero, la sua rimozione. Quello che non si nomina, dice più o meno un proverbio africano, non esiste. Il godimento femminile, come certi fantasmi mortiferi e mostruosi che agitano la gravidanza di molte donne, non vengono nemmeno nominati in questi nostri tempi.

“ Torniamo alla voce, centro e protagonista del tuo libro, nel quale troviamo pagine e pagine, molto suggestive ed emozionanti, sul rapporto vocale fra madre e bambino, fin dal periodo fetale”

“ In effetti il feto ascolta la voce materna. Il suono di questa voce è accompagnato dal ritmo del battito del cuore della madre e dai gorgoglii del liquido amniotico. Penso che il nostro desiderio di musica , il bisogno che abbiamo di cantare, di accompagnarsi con strumenti vari, di darsi un ritmo o suonare con altri nasca da questa esperienza sonora. Non l’ ho potuto approfondire in questo lavoro, ma è un idea che svilupperò. E’ comunque la voce materna che da al feto ed al bambino il primo rapporto concreto con il mondo circostante. Fra madre e neonato si crea un rapporto vocale profondo ed unico, insostituibile, nei primi mesi di vita. Poi la voce del padre aiuta il distacco. La voce paterna insegna il vivere sociale, la legge.

“ C’è un capitolo del tuo libro nel quale si parla del “timbro blu”. Una tua scoperta, direi”.

“E’ in effetti una mia piccola invenzione della quale sono molto orgogliosa, anche perché sta cominciando ad essere diffusa fra i musicisti.. Il timbro blu è quella la voce che ci ammalia, che ci cattura intimamente senza un motivo spiegabile. Kandinskij si innamorò della sua seconda moglie dopo averla sentita al telefono. Dipinse subito un acquerello in onore di quella voce.

Il timbro blu e’ magari una suono imperfetto, forse nemmeno necessariamente bello; non è classificabile. Si impone però e può far deragliare la vita dai binari quotidiani.

La voce, nella letteratura e nelle stessa psicanalisi, disciplina fondata sulla voce , è stata sempre trascurata. L’ idealizzazione dei sentimenti e della realtà ha fatto in maniera che la voce fosse un dato secondario nella vicenda umana. –forse perché troppo legata al corpo. Il linguaggio d’ amore, l’ amore stesso nella nostra cultura è idealizzato, disincarnato, angelicato. La voce del castrato è un segno di questo fenomeno : la mutilazione del corpo per raggiungere un ideale di voce angelica.

Questa scissione è, a dire il vero, tipicamente maschile. Di qui nascono drammi clinici importanti. Vere e proprie impotenze psichiche. Non si può amare carnalmente un essere idealizzato, una donna resa angelo.

“Chiudiamo con un accenno al bellissimo capitolo sulla voce delle sirene.”

“ Sono stata sempre affascinata dal mito che Omero racconta nell’ Odissea, Vedo nel canto delle Sirene un canto sapienziale, di sapienza femminile, dionisiaco che non disdegna la dimensione del godimento, di quel godimento femminile di cui parlavamo prima. Quindi pericoloso. Perché il godimento , a differenza del piacere, che tende alla quiete, ed alla soddisfazione, può aprire degli abissi,, può segnare strade di distruzione. Può partecipare della morte. La droga, ad esempio, è un godimento. Noi viviamo in un epoca in cui il godimento non ha limite ed assume quindi una dimensione mortifera. La questione è il limite. Il godimento proposto dalle sirene deve necessariamente passare attraverso la fase della castrazione, dell’ autolimitazione per essere compreso e vissuto positivamente. Voglio dire che nessuna conoscenza, nessun possesso può essere totale.. Se lo diventa può uccidere il desiderio, che è vita.

Molte sirene cantano ancora oggi, e molto intensamente.

Poco si sa dell’ orgasmo femminile ma se ne straparla a caso e dappertutto. La parola passione viene usata a totale sproposito dai media e viene privata di ogni suo significato profondo. Il corpo viene semplicemente esibito senza nessuna consapevolezza di esso. Il consumismo stesso è una forma di godimento estremo e ottundente.

Non sono catastrofista, ma penso che abbiamo il problema di salvarci. Di difendere i nostri desideri da questo bombardamento di suggestioni equivoche, di darci dei limiti.”

Fonte: www.viadellebelledonne.it n° 1 – luglio 2008

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