Una studentessa a Pisa durante la lezione fa un cenno. Le chiedo cosa c’è. Mi dice: “Ma se dobbiamo seguire il suo ragionamento, allora vuol dire che oggi scrivere è cancellare”.
Mi fermo un attimo a pensare, poi le dico che ha ragione.
Stavo ragionando sulla produzione narrativa. Il narratore sa cogliere al volo il rumore della vita, le frasi pregne di significato in grado di rappresentare un mondo. Per questo il narratore usa i propri sensi, il proprio sguardo, il proprio orecchio, acuto ed esercitato, la propria capacità di ascolto.
Ma tutta questa conoscenza, questo sapere, è vano se non è tradotto in scrittura. Il copista, non a caso, è figura centrale nei romanzi dell’Ottocento. Flaubert ci presenta la situazione estrema. Bouvard e Pécuchet, scrivani, copisti, alle prese con l’opera impossibile: riscrivere, in insieme organizzato, l’intero scibile umano.
Eppure, fino a pochi anni fa l’organizzazione –l’organizzazione di un discorso come l’organizzazione di un testo e come l’organizzazione di un’impresa– dipendeva ancora totalmente dalla scrittura; diventava efficace solo attraverso la scrittura.
Senza il lavoro dello scrivano non c’è informazione gestibile, non c’è ‘base dati’. E’ questa base dati che permette ogni successivo lavoro: la correzione, il controllo, le ulteriori copie, l’aggiunta di glosse e l’approntamento di sintesi.
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