Buongiorno a tutte voi, mi chiamo Ernestina e ho trascorso ben cinquantotto primavere.
Se mi trovo in questa luogo è soprattutto per curiosità, ma in parte perché desidero capire e conoscere come si svolge una seduta di psicoterapia, quali meccanismi ci stiano dietro, insomma.
So che questo corso non è un vero e proprio esame psicoanalitico, ma so anche che, quando ci si trova a parlare in queste situazioni, in qualche modo ci si denuda, senza ottenere alla fine, nessun beneficio se non quello di aver trascorso un pomeriggio in compagnia.
Ah, volete per caso sapere perché non ho fiducia negli psicologi in generale? Il ragionamento è molto semplice: il cervello è un insieme di cellule alimentate da sali, vitamine e proteine che assumiamo col cibo e può capitare che, a causa di qualche carenza, vada in corto circuito. In tal caso lo psichiatra, che è un medico vero, dopo aver diagnosticato la
malattia con una visita accurata e delle analisi mirate, ha la possibilità di prescrivere la cura più appropriata.
Eleonora, un’amica di vecchia data, la pensa in maniera diversa e, per accontentarla e dimostrarle che ho ragione io, mi sono iscritta al corso; sì, diciamo che ho bisogno di vederci chiaro.
A questo punto, per partecipare, devo raccontarvi qualcosa di me.
Posso, con serenità, affermare di avere un carattere forte e sicuro che mi ha permesso di superare ostacoli di natura diversa, fra cui anche l’unico passo sbagliato che ho fatto in vita mia, l’aver sposato un uomo su suggerimento di un prete.
Ero giovane e con ingenuità credevo che il suo abito lo rendesse infallibile e che chiunque portasse un colletto bianco al collo fosse un saggio perfetto e non un comune mortale come noi!
Tornando alla mia storia, fu proprio frequentando la parrocchia del mio quartiere che conobbi Arturo, mio marito.
Orfano di madre, viveva con la seconda moglie del padre, una donna che lo allevò come se fosse suo. Ma anche questo lo capii in un secondo tempo.
Nei momenti morti, prima e dopo le funzioni o l’inizio delle riunioni dell’Azione Cattolica, lui mi parlava della sua vera mamma con dolore. O almeno mi pareva che fosse dolore, prima di rendermi conto che invece era semplice dolorismo.
Ridete perché ho usato la parola dolorismo? Avete ragione, suona buffa, ma secondo me indica bene quel piangersi addosso delle persone che non hanno carattere. Il dolore si vive in silenzio o si esprime in maniera rabbiosa, il dolorismo è una nenia continua che alla lunga addormenta chi l’ascolta tutti i giorni.
Anche, Arturo ne era ammalato ed io mi sposai con lui e la sua cantilena, che allora mi faceva pensare alla storia della Piccola fiammiferaia e toccava le corde della sensibilità immatura. Continua a leggere →