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La casa era piccola, squadrata in ruvida pietra d’Istria, senza intonaco: sembrava vivere in simbiosi con un grande olivo dal tronco contorto. Intorno, una fitta macchia mediterranea aveva invaso il terreno rossiccio, emanando un profumo selvatico che si mescolava ai refoli di vento salmastro. Perché il mare non era lontano: bastava uscire dalla porta dipinta di verde, scendere un breve, ripido sentiero, e si era già lì, con i piedi sopra una piccola spiaggia di sassi. Poi, procedendo con attenzione per non pungersi con le sporgenze rocciose ed i ricci, si poteva entrare nell’acqua fredda e limpidissima.
Dall’interno sempre in penombra della casa, si sentiva in continuazione lo sciacquio delle onde, la voce del vento tra i cespugli: una compagnia discreta per Eva, un sottofondo per la sua solitudine. Ma anche una minaccia, quando il mare si faceva grosso all’improvviso e la bora si metteva ad urlare; specialmente in agosto. Nel buio notturno, c’era da aver paura.


Ma Eva non si preoccupava per così poco. Da tempo, coltivava una forma di indifferenza verso qualunque forma di minaccia verso la sua persona, quasi si sentisse invulnerabile. Era rimasta sola a vivere nell’isola, dopo la morte del marito; così, se il tetto scricchiolava nella tempesta, se i rifornimenti tardavano ad arrivare dalla terraferma e non c’era più quasi nulla nella dispensa, Eva pensava: “Beh, che cosa può succedermi di tanto terribile? Per male che vada, morirò anch’io.”
In questo modo, passavano i giorni e le notti; le nuvole portate dalla bora nera venivano spazzate dalla bora bianca, e tornava il sereno.Nelle luci ancora incerte dell’alba, Eva lasciava la casa e percorreva il sentiero, aspirando a pieni polmoni la libera aria del mare. Rimaneva a lungo con i piedi nell’acqua, e guardava le forme delle onde, sempre diverse, il movimento continuo, il trascolorare variegato della grande massa fluida.
E pensava. Anzi, riviveva i momenti della sua vita. Con gli anni, si erano un po’ smussati il dolore e il rimorso, ma rimanevano sempre nel fondo della sua anima, come una costante irrinunciabile, una vera e propria “forma mentis”.
Adamo era morto di un cancro alla pelle, contratto probabilmente nei lunghi periodi trascorsi al mare e sotto il sole; la malattia si era manifestata nei primi mesi del 1987, ed era giunta rapidamente al suo esito. Aveva voluto finire i suoi giorni nella casa di pietra; si era fatto portare lì, quando aveva capito che non aveva più molto tempo. E si era spento, quasi dolcemente, esattamente nel giorno del suo compleanno, il 10 agosto.
Come ogni anno, anche quella volta avevano festeggiato da soli, seduti sull’erba nella piccola baia; poi, Adamo si era addormentato sotto il grande ulivo.

Oggi, è il 10 agosto 2003. Eva è accoccolata sull’erba; a mezzogiorno, il caldo afoso è appena temperato da una brezza leggera. Il mare splende con i suoi mobili riflessi, increspato da piccole onde regolari: sembra lo sfondo della “Nascita di Venere” di Botticelli.
Come l’anno precedente, e quello prima, e tutti gli altri da quando ha conosciuto Adamo, la donna ha steso sull’erba una tovaglia dai colori allegri, e le stoviglie più belle, e cibo e vino per due. Al centro della tovaglia, sopra un grande piatto di porcellana a fiori, il loro dolce preferito, preparato con cura il mattino e già pronto per essere mangiato. Un sorriso impercettibile sfiora le sue labbra: come gli piaceva, quel dolce! È l’unica ricetta, che le sia sempre riuscita alla perfezione; e il rito di mangiare insieme il dolce di noci, tramandato di madre in figlia nella casa sull’isola, è tra i suoi ricordi più intensi.
Le mani di Eva si muovono lente sulla tovaglia, porgendo a se stessa e al commensale invisibile i pezzetti di dolce. Al largo, sbandano bianche vele di turisti felici; qualcuna si avvicina, ma non troppo. E’ un tratto di mare famoso per le sue insidie, per le correnti irregolari e gli scogli nascosti.

Le ore passano, sull’isola; le onde cambiano colore, diventano di un blu intenso, le ombre si allungano, la luce declina. Eva è sempre seduta sull’erba.
Intanto, la notte scende sull’isola, dopo un tramonto rosso sangue, con rapidità mozzafiato. Ed è subito pura oscurità, senza mezze misure, anche perché la luna non si fa ancora vedere.
Questo è il momento più bello e più triste della giornata, perché, quando erano insieme, si stendevano sull’erba, per catturare con lo sguardo ogni singola stella cadente e formulare un desiderio. Questo era il rito di fine compleanno, prima di spogliarsi completamente per fare l’amore lì sull’erba: ogni anno avvinghiati, ogni anno con la stessa voglia di fondere il loro lato animale e insieme il profumo dell’anima.
La donna rabbrividisce, si alza e si avvicina all’ulivo. Abbracciandolo, ricorda il desiderio espresso quel giorno, in cui lui non si è svegliato più. Dopo un tempo lungo come un abisso, Eva ha guardato il cielo nero, strisciato da un bolide fiammeggiante.
Ha desiderato morire in quel momento stesso. Oppure, se non era possibile, un altro 10 agosto, guardando una stella.

Tutto tace, nell’isola, anche il vento, nel momento di pausa serale. Eva, rovesciata all’indietro, con la testa appoggiata sull’erba, si riempie gli occhi di cielo e di stelle. Adamo le ha fatto conoscere la forma ed il nome delle costellazioni, numerosissime sull’isola priva di inquinamento luminoso, e lei le ritrova, adesso, una ad una, a gruppi, aguzzando sempre più lo sguardo nel buio e nel silenzio, rotto appena da un suono di risacca leggero come un sospiro. Il Grande e il piccolo Carro, la Bilancia, Orione…oggi, come un velo luccicante drappeggiato in mezzo al cielo, si può vedere la Via Lattea.
Ma Eva è ancora più triste degli altri anni, perché, stranamente, neppure un meteorite taglia l’aria, con il suo bagliore improvviso…il senso acuto della sua solitudine torna a possederla con forza inconsueta. Non serve a nulla ricordare le parole di Adamo, dette tanti anni fa e sempre presenti nella sua mente:”Ricordati, ciò che è stato esisterà per sempre. Abbiamo avuto tanto dalla vita, non dobbiamo lamentarci ma continuare a custodire dentro di noi i ricordi!”
“E’ quello che farò per sempre!” Era stata la sua risposta. Un proposito eroico da mantenere, attraverso gli anni! Ma non impossibile nell’isola, a contatto con la natura, sempre diversa ma immutabile.
Facile spesso, sì, ma non in questo momento: se almeno ci fosse una stella cadente! Eva si accontenterebbe di una, una sola: sarebbe la risposta di Adamo ai suoi silenziosi richiami.
Il vento di mare si è levato, ma non è forte, e la donna pensa di rivivere un’altra loro abitudine speciale: il bagno di mezzanotte. Si toglie tutti gli indumenti, e, toccando cautamente il terreno sassoso con i piedi nudi, si avvicina all’acqua, poi la tocca. La luna è sorta facendo impallidire le stelle, ma il mare è uno splendore, adesso, con la lunga striscia illuminata che sembra una strada verso l’orizzonte. Presa dalla magia del momento, Eva non ha freddo, la sua pelle avverte appena la temperatura del liquido nero in cui si sta immergendo lentamente. Continua ad avanzare, con lo sguardo fisso verso la luna.
Bruscamente, il terreno le manca sotto i piedi: allora, la donna stende le mani davanti a sé per nuotare e …miracolo! Le sue dita diventano d’argento, poi tutte le braccia vengono circondate da scie di piccole stelle che luccicano, abbracciandola da ogni lato…no, non è più sola! Eva si muove come una sirena, sostenuta dall’acqua che rinnova ad ogni bracciata il suo affascinante sfolgorio… il cuore le batte forte per una felicità incommensurabile, sconosciuta…e nuota, quasi vola verso la luna…nuota sempre più avanti, sempre più lontano dalla riva…sempre più lontano…