Di sicuro è ipercritico verso se stesso Giacomo Cerrai se ha pensato, anche solo per un attimo, di cestinare le poesie raccolte poi sotto il titolo “La ragione di un metodo”, edito nell’ottobre 2007 da “Imperfetta ellisse- blog di poesia e altro” per la stampa di Lulu.com. L’autore, secondo quanto afferma nella breve introduzione, infatti, le ritiene “ ormai abbastanza distanti non solo nel tempo, ma anche per diversa sensibilità, diverso accostamento alla realtà e una certa ricerca linguistica e stilistica” rispetto al suo lavoro attuale, dimenticando che questa considerazione è valida per tutti gli autori che si accingono a pubblicare una raccolta di poesie. Difficilmente lo stile e l’approccio rimangono invariati e mai sono uguali nel tempo. Se così fosse ci si troverebbe di fronte a una sterile replica, a una miniera in via d’esaurimento. Quando un libro vede la luce, l’autore è già oltre ed è già altro. Il “palese tributo alla tradizione del Novecento” che segna secondo l’autore queste poesie e che penso di aver intravisto nella scelta di alcuni termini e in qualche scorcio, non mina il respiro della raccolta che alterna quadri di intimità e di riflessione in un viaggio interiore di cui l’afflato poetico appare sin nel primo testo che risale al 1988. Qui un incontro riempie il vuoto esistenziale che caratterizzava la precedente opera di Cerrai “ Imperfetta Ellisse”: Il vuoto torna d’improvviso pieno, stanotte/ e i pesi galleggiano sereni lontani come lune.
Così, che sia alter ego o persona di carne, nel suo percorso il poeta, spesso, si rivolge al lettore in prima persona plurale e perciò condividendo come nella Ragione di un metodo da cui prende il titolo il libro.
Le prime ore, la luce
ci sorpassa,
avviandosi, prima di noi,
alla morte.
Nel tuo guscio di pelle,
così meravigliosamente contenuta,
irridi
alla mediazione del tuo corpo.
A volte un gesto fossile,
qualcosa di infantile,
ti tradisce.
Vorresti dirti subito. Mostrarti.
Solo dopo darti.
Consegnarti non vuoi senza,
anche,
farti capire.
La ragione di un metodo
sta nella via breve al desiderio:
d’amore o delle cose semplici,
o l’arte segreta del possesso.
In questo nascondino, o nell’eccesso
che segue
non intendo forse di che parli.
(Il pensiero di chi scrive è sempre,
del resto, un pò più lento,
per seguire l’attrito della penna).
Ma in quanto ci pensiamo
esisti,
esistiamo.
Cerrai condivide i suoi pensieri ( Il mondo è molto detto, molto/immaginato./Ci sediamo alla finestra/ aspettando il crepuscolo,/ credendo che tutto sia leggibile./) ma soprattutto il suo galleggiare in un vita dal senso incerto ( il niente che ci governa ) che è acqua che avvolge e ricopre l’autore :
onde, onde
di risacca… qualcosa molle
e s’insabbia come una foce secca.
Ritorni,
lampeggi come un breve rovescio,
nell’agosto,
ma una rena stanca ti prosciuga ancora:
restano onde, rivoli dentro,
fuori,
o non so dove,
cerchi di gocce
aloni fastidiosi…
E Acqua è intitolato un breve poemetto in quattro tempi che finisce con questi versi
una regola sola segue l’acqua:
sgravarsi dal peso, rinascere
nel punto più basso
d’ogni possibile alveo…
Dolce o salina, che sia di cielo, di mare o del fiume pisano non ha importanza, è lei l’elemento vitale in cui si muove il poeta :
… il sole scalda appena le scapole/…molecole che si gettano su di sé/ attardate,/ nell’ansa, come d’un’acqua morta … … la pioggia riempie i buchi che ci siamo scavati, il vento dei gabbiani li attraversa…
e in questo liquido Cerrai si muove alla ricerca di un equilibrio tra il mondo e l’essenza interiore dello scrittore, alla costruzione di un ponte attraverso la parola. Il mare, lo scoglio, la spiaggia dalla terraferma diventano pertanto un pretesto, una metafora di vita e un occhio di speranza :
il mare ha strisce diverse
di colore,
come un dentro e un fuori dalla diga.
Spinto dal vento o da altre urgenze,
a volte arriva timido
al tuo piede invernale: non esclude,
né la sabbia dura, né il cane che fugge
la sua orma. Così fermo (pensi), una lastra
attraversata senza cerchi concentrici,
ripianata dal solito vento,
da un appena battito di ciglia,
come un dentro e un fuori dalla vita.
Quanto ho scritto sono impressioni non esaustive di una raccolta ben più complessa che v’invito a leggere e che meriterebbe un’analisi accurata perché molte sono le sfaccettature e i temi affrontati da Cerrai dal quale mi congedo con queste sue parole tratte da Perfino il troppo:
… Quasi tutto sembra, quasi tutto è.
Perché non c’è pensiero da pensare,
né parole al di là:
perfino il troppo, di questo,
non ci basta.”
Sandra Palombo
Antonio Fiori ha detto:
Titolo da saggio critico o filosofico, copertina vagamente garzantiana con originale ‘appiedamento’ del nome dell’autore. Dentro, ci riferisce Sandra, una poesia di ricerca e il tentativo di trovare contatti tra aneliti interiori e mondo esterno, tra universi altrui ed il proprio. Sembra esserci una natura indominabile che poi si scopre essere anche (o solo?) parametro, utile deposito di metafore.
Leggere Giacomo Cerrai mi fa sempre molto bene, una poesia che sento affine e che non delude le aspettative filosofiche che lascia intedere il titolo.
Grazie dunque a Giacomo e a Sandra
Antonio
Blumy ha detto:
succede a molti, me compresa, di ‘leggere’ in modo diverso le poesie di alcuni anni fa e di sentirle diverse da quello che si è attualmente (un continuo divenire, quindi mai uguali a se stessi). Capisco quindi Giacomo e lo esorterei ad accettare anche quella che gli appare come scrittura diversa. In realtà è solo un tono diverso, un parlato diverso, così come si può parlare in fretta o lentamente, in tono pacato o concitato, mesto o malinconico. Ma la scrittura, la matrice è sempre la stessa. Quindi avanti, Giacomo ! Un grazie a Sandra che ci ha presentato egregiamente il libro e le sue vicissitudini.
sandrapalombo ha detto:
Un saluto a Antonio, a Blumy e quelli che passeranno di qui.
Giacomo è una persona schiva. La sua preparazione , a parer mio, lo porta ad essere troppo severo con se stesso. Leggete il libro…:-)
Sandra
carlabariffi ha detto:
leggo con calma stasera…
a domani
C.
maria pina ciancio ha detto:
Quasi tutto sembra, quasi tutto è.
Perché non c’è pensiero da pensare,
né parole al di là:
perfino il troppo, di questo,
non ci basta.
Bella pienezza… Mapi
antonellapizzo ha detto:
il mare ha strisce diverse
di colore,
come un dentro e un fuori dalla diga.
Spinto dal vento o da altre urgenze,
a volte arriva timido
al tuo piede invernale: non esclude,
né la sabbia dura, né il cane che fugge
la sua orma. Così fermo (pensi), una lastra
attraversata senza cerchi concentrici,
ripianata dal solito vento,
da un appena battito di ciglia,
come un dentro e un fuori dalla vita.
come t’era venuto in mente di buttare una poesia così? avercene! complimenti a te, e a sandra per la sua disamina.
carlabariffi ha detto:
Scorgo
riflessione
tra le pieghe liquide dei versi
tutti pervasi da una luce lunare
uno spirito sensibile che spinge
mareamore
al tuo piede invernale…
Giacomo Cerrai ha detto:
Ringrazio intanto Sandra, che è riuscita a mettere insieme appunti critici e affetto, e scusate se è poco..e poi tutti gli altri amici. Tutti hanno colto punti essenziali che riconosco ancora come miei, al di là del variare delle prospettive, anche linguistiche (hai ragione Blumy): Carla nota una liquidità che è (spero) anche flusso del versificare, Antonio un approccio meditativo (e non è il primo che parla di poesia filosofica riguardo a quello che scrivo), come implicitamente sottolinea Maria Pina che estrapola un nucleo per me ancora importante. Alla gentilissima Antonella dico: non si tratta di buttare, ma ha volte mi prende una malinconia, come a vedere certe vecchie fotografie…
grazie ancora a tutti.
G:)
p.s. il testo lo potete scaricare anche dal mio blog (area download)
Francesco De Girolamo ha detto:
Le “vecchie fotografie” sono la testiminianza del tempo che è passato…del percorso compiuto, e mai concluso. Non devono metterti malinconia, caro Giacomo; l’esercizio intransigente della tua scrittura, il tuo “metodo”, ti ha portato ad una consapevolezza critica, ad una padronanza dei tuoi, personalissimi, codici espressivi, di cui puoi andar fiero. L’ irrequietezza, forse la tanto radicata cultura, a volte persino di intralcio nella fase creativa, l’eterogeneità del tuo passato lavoro, è comunque un segno di ricchezza, di ricerca continua, mai del tutto paga, in una profonda coerenza di poetica “in fieri”, che forse darà ancora in futuro i suoi frutti migliori, seppure sia difficile crederlo…a ripensare alle tue parche, preziose “tracce” più recenti…
Un carissimo saluto.
francesco
roberto matarazzo ha detto:
autore interessante..
violaamarelli ha detto:
la ricerca di una ragione, di un metodo, la “fiducia” nell’ordine del logos, eppure, è il sapere del disordine, dell’acqua, del fluido che è la vita che anima la parola di Cerrai. Sono poesie che si pongono sul confine tra queste due realtà, entrambe vissute con la pienezza della riflessione. Affettuosa e partecipe la recensione d Sandra, vicina alla sensibilità dell’autore, bravi ad entrambi, V.
G.Cerrai ha detto:
ripasso da queste parti per ringraziare l’ottimo Francesco (caro amico, scriviamoci) sempre preciso e gentile, l’artista Matarazzo (artisticamente conciso) e Viola che ha anche lei colto tratti importanti…
un caro saluto
Giacomo
antonellapizzo ha detto:
a prescindere dai saluti tu sei sempre il benvenuto caro Giacomo. un caro saluto antonella
Rina Accardo ha detto:
Le prime ore, la luce
ci sorpassa,
avviandosi, prima di noi,
alla morte.
..Vorresti dirti subito. Mostrarti.
Solo dopo darti.
Consegnarti non vuoi senza,
anche,
farti capire.
..Ma in quanto ci pensiamo
esisti,
esistiamo.
Io non trovo ‘datati’ questi versi, soffusi di malinconia forse sì, ma la malinconia è un dolce bagno in acutezza e sensibilità.
Ciao, Giacomo
Giacomo Cerrai ha detto:
…grazie Rina, un saluto anche a te…e a Antonella…
G.