Un breviario di novembre scritto in una scrittura ermetica e simbolica, preghiere della modernità recitate non all’ombra di un chiostro ma in questo tempo frenetico, in un luogo qualunque che può essere anche un ufficio postale o una città dalle mura sbriciolate. Si avverte il bisogno di chiarezza, si chiede la giusta direzione, qualcosa che ci impedisca di perderci nei labirinti di una iper comunicazione, di un troppo dire, di un dire esagerato che alla fine si rivela essere un insensato non dire. Avercelo un codice di avviamento postale unico e univoco, certo, inequivocabile, che sia una metrica, un codice a barre, un codice speciale, qualsiasi cosa ma che ma sia una norma, una forma, un segno concreto, che sia però segno del nostro tempo, che lo definisca chiaramente, che lo spieghi. Così si chiede al verso, alla parola, alla poesia, una cifra precisa, una cifra chiara, definita, tale da poter costruire un nuovo credo, una nuova fede che ci allontani dalle cose materiali, dallo sterco del diavolo, che non ci faccia cadere in tentazione. La religione delle parole. Continua a leggere →