Eravamo in tanti a guadare il fiume quegli anni,
quegli anni di pace e di guerre e di piccole tregue,
di minuscole storie di grandi scenari solo intravisti
fra le ciglia dei sogni.
Ketti era bella, nei suoi occhi di bambola viva
e muoveva le ciglia come in un film per donnine
assetate di scena. E poi si vestiva di panni mediocri
ma stirati a vapore, con un ferro inventato dal suo estro. Ketti
era estrosa e inventava le mille possibili storie a irretire
appetiti già desti. Era piccola Ketti di anni ma guardava
al di là della linea con un fare da donna.
Avevamo le tasche ricolme di sassi e il peso dei giorni
leggeri che riempivano il cuore di noia, quella noia che
assale la gola e l’accende di fretta.
C’è un tempo per la poesia, e quel tempo lo paghi
a caro prezzo, quando scade l’affitto del corpo, come dice
il poeta della ‘città vecchia’.
Calliope brindava solenne nelle vesti cangianti
di mille persone racchiuse in una forma, una forma sola
indivisa e divisibile, come sono i misteri della vita, quando
preme testarda per resistere agli urti del vento, e si fa
grande sposa del mare, del cielo, del niente, del tutto
e della sbandierata onnipotenza.
Una volta vedemmo una tortora bianca che aveva
una zampa ferita, la prendemmo con poca cautela,
quella poca che lascia la verde intraprendenza incosciente,
e la portammo nella cuccia ricavata sotto un albero grande
per curarla e lasciarla volare, fra le sponde del fiume.
Ketti ci guardava con aria di distacco, la sua mano senza
anelli, ma curata, con lo smalto rosato sulle unghie
e un bracciale d’argento sull’esile polso, a reclamare
la sua parte. Era bella, Ketti, e i suoi giochi di donna futura
non avevano parte nelle nostre scorribande di mestiere,
nelle verdi praterie, nelle rincorse, nelle faide senza sangue
che accendevano il cuore di passione.
C’è un tempo per la poesia, per alcuni è soltanto
una stagione senza storia, una parentesi quadra con puntini
dentro a un testo lineare, che non scende a compromessi
con le ombre dell’anima e del sogno. Ma per altri è una divisa
da indossare senza pause, per cadenzare piano e sempre
ogni passaggio, ogni fermento, per restare ‘pipa spenta’
tra le labbra dell’ ‘uomo solo’ che non sa più aspettare e
rimane a contemplare la stella del mattino, per cucirla
nelle mani e riempirsene narici e bocca e occhi…
Eravamo in tanti a guadare il fiume quegli anni,
ma il passaggio era troppo stretto e molti caddero
dai sassi aspri di poca acqua levigante, alcuni si tennero
saldi alle radici di qualche albero avanzato dalla furia
dei temporali, e altri ancora si fecero vento per rimanere
ancora un po’ fra le braccia amorevoli della prateria,
alcuni sole a invaghire le sponde, ad asciugare pianto,
a ritagliare sorrisi dai capricci.
massimo botturi ha detto:
il tempo per la poesia lo paghi vivendo sempre agli estremi
bel testo Anna, un caro saluto
Sara Ferraglia ha detto:
“Ma per altri è una divisa
da indossare senza pause, per cadenzare piano e sempre
ogni passaggio, ogni fermento”
Frammenti poetici del ricordo raccontato senza retorica .
Sara
gisy ha detto:
Bel testo Anna, fra memoria, nostalgia, rimpianto, durezza della vita.
Un abbraccio e una augurio di Buon Anno
Gisella
Narda ha detto:
Ricordi, nostalgia di tempi innocenti che già covavano una vita affamata e a assa si apprestavano, ancora ciechi ma vigili.
Bella poesia, senza la retorica del rimpianto e la distorsione della memoria che abbellisce anche le tragedie. E’ un bel modo per cominciare l’anno , questa lettura.
Grazie e un 2012 buono buono.
Narda