due lettere immaginarie tra Orazio e Artemisia Gentileschi
Tratte dal libro NODI DEL CUORE
di LUCETTA FRISA e MARCO ERCOLANI
Greenwich, 12 dicembre 1637
Cara signora figlia,
ho avuto assegnata da Sua Maestà Carlo I una commissione assai pregevole: dipingere un’Allegoria della Pace e delle Arti per la Queen’s House – nove tele di cui vi accludo, nella lettera, lo schizzo sommario.
Come avrete modo di constatare, è un lavoro monumentale: gli affreschi dovranno essere contenuti nell’intero soffitto della Great Hall. Architetti e artigiani hanno già provveduto agli intagli. Non mi resta che iniziare il lavoro.
Ma, alla mia veneranda età e con questi occhi difettosi e queste ossa malandate, non mi basteranno, se ci lavorerò da solo, neppure due anni: e chissà se mi restano due anni da vivere! Da quando mi trovo qui, il mio stato di salute si è notevolmente aggravato. Non posso affidare il lavoro a qualcuno che non sia in grado di soddisfarmi pienamente.
Perciò, figlia mia, ve ne prego: lasciate Napoli, se non avete commissioni troppo ragguardevoli, e venite a dare al più presto il vostro prezioso aiuto al vostro vecchio padre. Il re mi ha assicurato che, per questa grande opera, saremo adeguatamente rimunerati, di modo che non dovrete pentirvi per avere acconsentito ad attraversare la Manica.
È questa, mi sembra, anche l’occasione più propizia per dimenticare le nostre amarezze; quei malintesi che hanno determinato il lungo e pesante silenzio di questi ultimi anni.
Lavoriamo insieme, se così vorrà Dio, alla nostra Allegoria della Pace.
Vostro Padre
***
Signor Padre,
Napoli, 28 dicembre 1637
Volentieri accetterei il Vostro invito di staccarmi da Napoli e raggiungervi a Londra, ad un unico patto: la commissione, per la parte che mi riguarda, dovrà essere assai lucrosa.
Voglio conoscere con la massima esattezza e senza imbroglio alcuno la somma pattuita con i regnanti d’Inghilterra, come compenso per l’intera opera. E quindi, la somma che spetterebbe a me, personalmente, a seconda della quantità di lavoro svolto; e se di questo non secondario particolare dovrò accordarmi con i rappresentanti, qui a Napoli, dei committenti regali inglesi oppure se sarò obbligata a trattare direttamente con voi. Vi ringrazio di esservi ricordato di vostra figlia per dividere la fatica e la gloria dell’impresa pittorica, ma confesso che la Vostra lettera è quanto mai vaga e confusa, riguardo a questi argomenti di primario valore.
Capirete bene, signor Padre, che devo fare i conti, primariamente, con me stessa e cioè capire in fine qual’è la cosa più conveniente, sia per i cordoni della mia borsa e sia per la mia fama, che quaggiù, a Napoli e non solo, sta allargandosi straordinariamente. Mi dispiacerebbe assai affrontare viaggi e disagi molto gravosi, sospendere per lungo tempo delle commissioni prestigiose che mi vengono pagate con larghezza e puntualità se non avessi, d’altro canto, la certezza di un affare conveniente.
La Vostra figliuola si è fatta di molto onorare come artista e come donna, e non è più la femminuccia tremante da svergognare in un pubblico tribunale solo per rientrare in possesso di una modesta pittura delle Vostre, e non certo per rendere giustizia a una vergine violentata. La Vostra Artemisia non è diventata, infine, un semplice pittore di corte, quale Voi siete, ma con le sue grandi donne della Bibbia e della Mitologia ha saputo conquistarsi e la stima e l’ammirazione di numerosi potenti, come di coloro che di arte intendono e giudicano appropriatamente.
In questo periodo dell’anno sono intenta a dipingere un’Allegoria della Pittura che mi frutterà parecchio e lascerà un segno nell’arte dei miei contemporanei che, come Voi ben sapete, è fatta tutta da maschi. Per questo quadro magnifico è venuto a onorarmi e a posare per me, nel mio studio, il grande Maestro Velàzquez in persona.
È finito il tempo delle pittrici monache che se ne stavano rincantucciate in convento a rifinire codici miniati, sempre tacendo o biascicando preghiere, il pennello in una mano e il rosario nell’altra, con gli occhi abbassati, le gote infiammate se qualche lode distratta raggiungeva le loro sante orecchie. «Ora et labora…». Povere figliole dell’ombra, umili e umiliate, che facevano tutto da se stesse, prigioniere di mura inviolabili e a cui nessuno insegnava nulla!
Di questa educazione al dipingere io so chi devo ringraziare, oltre alla Natura che mi ha elargito i suoi doni: Voi, signor Padre e lo zio Lami, e infine quell’essere da forca del Tassi che sì mi ha tolto la verginità con la violenza ma allo stesso tempo mi ha anche spalancato gli occhi sull’arte e sul mondo.
Ho buona memoria, io, del bene e del male ricevuto. Non sto nell’ombra, io, egregio genitore, a ingoiare veleno in silenzio: quello che ho dovuto ingoiare ha dato i suoi frutti; so camminare sulle mie gambe, vincere con le mie tele dure battaglie contro i colleghi maschi e farmi valere come un uomo. Io non sono monaca che si nasconde, ma parlo e dico alla luce del giorno quello che chiaramente penso e quelle donne che preferisco ritrarre sono tutte regine potentissime, eroine orgogliose, vendicative e superbe.
Di quanto mi dite sulla Vostra salute me ne dispiace. In verità non so che farci. Curatevi come si conviene, il denaro non vi manca, le conoscenze neppure; in Inghilterra, forse, i medici potrebbero essere meno assassini dei nostri, gli alchimisti meno cialtroni. Al resto penserà Dio o il destino.
Altro non vi so dire: da molti anni ho smesso di prestare ascolto ai sentimenti e alle lagnanze umane. Penso solo a ciò che devo dipingere e specialmente se ciò che dipingo si converte in solidi fiorini, in pesanti piastre, in carnali scudi. I loro riflessi mi affascinano, il loro limpido timbro ha sempre il potere di stregarmi.
Quella buonanima del Carracci diceva «Ogni dipintore ha da parlar con le mani». Io, da parte mia, aggiungo che ha da pensare alle piastre allo stesso modo che ai pennelli e ai colori. Tutte le altre faccende sono lussi astratti che non posso più concedermi. Quanti lussi reali mi permettono, invece, le belle, palpabili monete! Le Guerre e le Paci si fanno e si sfanno assolutamente per merito loro.
Vi sollecito, signor Padre, a darmi, dunque, pronta ed esauriente risposta su tutto quanto ho finito di domandarvi. Di modo che la nostra Pace abbia concrete possibilità di concludersi.
Vostra Figlia Artemisia
Figlia di Orazio Gentileschi, fratellastro del pittore Aurelio Lami e celebre caravaggista, Artemisia nasce a Roma nel 1593. A meno di vent’anni, subisce un processo pubblico che susciterà scandalo nell’ambiente romano. Il padre accusa l’amico e pittore Agostino Tassi di aver violentato Artemisia: in realtà Orazio vuole, grazie al processo, ritornare in possesso di un suo quadro, Giuditta, di dubbia attribuzione, in quanto firmato anche dalla figlia. Diversi anni dopo, ultrasettantenne, Orazio inizia, a Londra, nove tele celebrative di un’Allegoria della pace e delle Arti tutelate dalla corona inglese e invita la figlia ad aiutarlo nella realizzazione dell’opera.
Villa Dominica Balbinot ha detto:
già da questa lettera di risposta si può intendere la personalità determinata e volitiva della grande pittrice Artemisia Gentileschi( e quindi complimenti a Lucetta per averli saputi “rendere”, questo carattere, questa personalità che sa difendere e portare avanti i propri talenti
Fiorella D'Errico ha detto:
Sempre affascinante la personalità di Artemisia, da far male al cuore.Grazie a Lucetta Frisa.
Narda ha detto:
Grande artista e grande donna, Artemisia Gentileschi. Il tono della risposta al padre rivela una completa conquiostata parità con l’altro sesso, senza nessun assoggettamento, neppure verso il padre. Chissà perchè si parla poco di lei…
Grazie Lucetta per questo dono.
Narda
sylvie durbec ha detto:
Bello! Voglio traddurre in francese queste lettere…
gisy ha detto:
La sua pittura incanta e stupisce. Grandissima!
Bella idea Lucetta, complimenti
Gisella
baci ha detto:
Ringrazio moltissimo Dominica( che, oltretutto, si prende sempre la briga di postarmi) Fiorella, Narda, Sylvie e Gisy per i loro interventi che peccano di generosità nei miei confronti.
Intendevo mettere in risalto non solo il senso d’indipendenza della Gentileschi conquistato attraverso la sofferenza, ma soprattutto la sua capacità alchemica di trasmutare un evento negativo vissuto ” sulla propria pelle “in una realtà estremamente positiva: un’arte,un duro lavoro che la riscatta comunque da uno stato di sudditanza dall’uomo, in un’epoca così drammaticamente difficile per le donne,in genere.. E quindi anche l’amore per il denaro che la rende libera, padrona della sua vita e della sua arte: una concretezza tutta femminile, di chi vede le cose senza veli e maschere. Anche se la sua tracotanza è, prorpozionalmente reattiva alla violenza subita e a quelle, in genere, subite, per secoli, dalle donne.
margherita ealla ha detto:
strepitoso questo “fare i conti” in modo crudo e senza alcun velo (“devo fare i conti, primariamente, con me stessa e cioè capire in fine qual’è la cosa più conveniente, sia per i cordoni della mia borsa e sia per la mia fama”), davvero ben reso nel linguaggio e reso ancora di più alla luce del tuo commento Lucetta.
Eh questi nodi del quipu cuore!
un abbraccio
baci ha detto:
Grazie, Margherita, mi piace molto il tuo sfarfallìo d’oro…
lu
nuska ha detto:
Grande Lucetta, l’orgoglio di Artemisia è ben messo in luce dalle parole che hai saputo metterle in punta di penna. Storia oscura e affascinante, quella della Gentileschi, donna tenace e forte, appassionata e calcolatrice, figura di antesignana della dignità femminile e della sua capacità di autogestirsi. Una domanda: tu scrivi Aurelio Lami ma le fonti alle quali ho attinto per una monografia che ho scritto sulla pittrice mi dicono Aurelio Lomi, quale sarebbe il nome esatto?
baci ha detto:
grande AnnaMaria, sono molto contenta che le parole messe in bocca e sulla penna della grande Artemisia(lei si) ti abbiano convinto. Ma la tua domanda mi imbarazza un po’ :lo zio di Artemisia è indubbiamente Aurelio Lomi e io ho fatto un errore di trascrizione. Hai fatto bene a rilevarlo.
Grazie del tuo passaggio
una distratta Lucetta