Lo Spazio e il tempo della scrittura

 leggi il quaderno Quaderno dello spazio e del tempo della scrittura

L’idea mi è venuta leggendo la rubrica/inchiesta Le librerie degli italiani su Vibrissebollettino, (che vi invito a visitare) scriverel’inchiesta ha lo scopo di conoscere le librerie degli italiani, uno spazio dove vengono riposti i libri letti o da leggere.  Lo spazio e il tempo dunque. L’evento è il leggere.

Per spaziotempo (indicato anche come spazio-tempo o cronotopo) si intende uno spazio quadridimensionale, composto dall’usuale spazio a 3 dimensioni con il tempo come coordinata aggiuntiva.

I punti dello spaziotempo sono detti eventi e ciascuno di essi corrisponde ad un fenomeno che si verifica in una certa posizione spaziale e in un certo istante.

L’evento è lo scrivere. Non vogliamo qui sapere perché scriviamo e come scriviamo, ma si vogliono prendere in considerazione solo le coordinate spazio temporali: dove scriviamo e quando scriviamo. Vi invitiamo dunque a mandare i vostri contributi, via e mail, viadellebelledonne@yahoo.it poesie, scritti, fotografie. Diamoci una scadenza temporale, diciamo entro un mesetto.

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Antonio Fiori per Lo spazio e il tempo della scrittura – n. 1

 Cominciamo a viaggiare con la nostra navicella blog spazio-temporale e  andiamo ad esplorare lo spazio e il tempo della scrittura di Antonio Fiori. Egli ci descrive il suo tempo, ed è un tempo notturno illuminato dalla luce del display, scrive in un pozzo di tempo. Il pozzo è dunque tempo e luogo. Lo spazio è un ufficio, due telefoni nemici, una scrivania, da lì parte la parola e si fa poesia.  a.p.

I

Che dirti, sorellina, se non che scrivo da due anni a notte fonda
senza una penna, allo scarso lume del display
se non che amo senza farlo o lo faccio senza amore sull’onda
del ricordo o del sogno dove c’era lei

II

Che altro ho da raccontarti che questi scampoli, scritti in qualche
pozzo di tempo sul misterioso desco dell’ufficio
con due telefoni nemici e una parola che all’improvviso parte
– piccola ancella, nunzia di scherzo o di cilicio.

Lunedì 17 settembre 2007

***

Carmine Mangone per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 2

Inserito Settembre 18, 2007 di antonellapizzo | Edit

Passare la misura

«Non bisogna mai scrivere se non per le passanti»

(Joë Bousquet)

Il luogo è un pervertimento dell’essere; un vertere del soggetto per il dove – attraverso lo spazio e l’idea dello spazio – che crea conflitto, concetti, congerie.

Il transito del soggetto è la qualità del luogo, ossia la necessità negativa dello spazio: il luogo che si sposta in noi che ci spostiamo in esso in quanto sua negazione – dove la negazione è la tensione stessa del movimento.

Negli attraversamenti di senso, e nei transiti attraverso gli ambienti, il luogo è una sorta d’infeudamento del pensiero. È il pensiero dello spazio che crea il luogo non comune del nostro transito: luogo di tutto ciò che può indurci alle più diverse comunanze.

Pensare lo spiazzamento, la dislocazione, lo spaesamento, allontana il pensiero dai luoghi comuni.

Il pensiero del luogo che viene a mancare, nel mentre passando lo si riconosca eluso o sfuggente, non può mai essere il pensiero dell’utopia – cioè di un non-luogo della comunità umana – quanto piuttosto il pensiero della comunità dovunque possibile (anche solo per il breve volgere di un transito).

Il collocare concetti, magari per farne pietre d’inciampo lungo i corsi e ricorsi storici, viene a mutuarsi nell’eterno ritorno delle parole. Parole che, ahimè, sono solo la schiuma della vita che trabocca dai corpi.

Pensare la dislocazione degli organi nello spazio per poter inventare un proprio corpo. Rifare i luoghi. Pensare attraverso per riflettere le tappe e non il traguardo. Tornare indietro, se occorre, e rifare i luoghi, incessantemente, serbandone il respiro e l’estensione nei propri corpi.

Mentre la merce disfa e rifà incessantemente la segnaletica dell’essere, io percorro la città delineando una mia personale archeologia della volontà. Ma il dramma è che non mi ci perdo più… Finisco infatti per ritrovarmi anche quando non voglio. E più desidero allontanarmi dal nulla incasermato nelle teste degli altri, più m’impastoio nelle cartografie sempre variabili della materia.

Potrà mai esistere un corpo che non sia destinato a farsi abitare dagli spazi che attraversa? La merce ha unificato i luoghi e i flussi che la riproducono allontanandone sempre più la realtà organica dei viventi. Gli attraversamenti del territorio sono vincolati all’acquisto di una singolarità virtuale da parte di tutti coloro che vi si spostano invano. A furia di misurare i passi, non si riesce più a passare la misura. La circolazione è dettata dal moto perpetuo del capitale. Ogni movimento è regolato sulle sistole e diastole della merce. E il potere non è altro che la gestione dei flussi univoci del demos.

Sto cercando solo un pretesto per sopravvivere alla comunicazione.

La città: sommario di luoghi senza più spazio; di luoghi gradualmente inagibili fuorché per la merce.

Neque ora neque labora.

Carmine Mangone

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Giancarlo Tramutoli per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 3

Inserito Settembre 19, 2007 di antonellapizzo | Edit

Scrivo di rado se mi alzo
dal letto e non cado
non scrivo se mi rado
versi barbosi o pelosi
scrivo sulla tastiera
come adesso
sentendomi
il solito fesso
per questo motivo ameno
scrivo sempre di meno.

***

Viola Amarelli per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 4

Scrivo nel cervello, davvero. Come gran parte, penso, almeno con i
versi. Poi ho bisogno del supporto – penna/tasti – per andare avanti. A
volte le parole vanno per conto loro, subito giuste. Altre penano a lungo,
macerano all’orecchio. Quando? Quando capita, per fortuna, se capita.
Diverso, immagino, per la prosa. Lì hai bisogno fisicamente di scrivania
e tempo, tanto. Tempo che non ho. Sì, la prosa è per fondisti se non
per maratoneti. E io sono una sprinter,come tutti i pigri.
Scrivo nel cervello, davvero. E nell’orecchio. E negli occhi. Nel
corpo, come ogni umano. E senza tempo, ma questo è orgoglio, sciocco, fiamma
di un divino. O un “quanto” fuoriuscito in supernova.

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Inchiostro e carta su foglie

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Passo su sabbia

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Mani su sabbia

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Daniela Raimondi per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 6

Inserito Settembre 23, 2007 di antonellapizzo

Per scrivere parole in questo buio, in questo modo

Un campo di papaveri.
Una pagina cancellata
che conteneva una collina, un albero
una casa e un gatto.

La bambina di carta scivola sotto l’albero,
contro il muro bianco della casa.
Ha atteso tutta la notte.
Conosce il luogo e il tempo,
non ha bisogno d’occhi.

Basta un suono e la parola prende forma.
Il verso entra il buio
come il gorgheggio di un uccello selvatico,
si fa spazio nella carne come una doglia.
La bambina ha la bocca chiusa,
le parole si accendono nel male del suo sangue.
(Sa che gli errori si pagano con il silenzio,
con croci rosse sul quaderno.)
Io non faccio poesia.
Parlo di un’acqua dolce,
di una saliva dolorosa.
Parlo del tempo e del rimpianto
come si parla ai morti.

(Da: Ellissi, Edizioni Raffaelli, Rimini, 2005

***

Antonella Pizzo per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 7

Nella mia casa vecchia, nella mia stanza
Antica scrivo forse di me
Scrivo nella tastiera uso due dita
Il terzo dito e l’occhio dentro
Lo svolto e lo rivolgo al mondo
alle previsioni del tempo, di un tempo
Unico, il mio assieme a quello
Che agli altri appartiene
In questo secolo tutto tondo
Che iniziò con molti zero
E poi finì quando l’uno
Mi si appiccicò davanti e mi cambiò
Tempo di torri e di sciacquette
Tempo di Macerie di miss italia
Di sbarchi e missili
Di muri e pianti
Spazi ristretti fra muro e muro
Quando i vicini fecero la strage
Quando ammaniti scrisse del comando
Quando il commando fece l’irruzione
e si divisero le ossa del maiale.
La mitraglietta sputa e sangue
Spande e mi riprende il verso
Lì dove ieri lo lasciai a marcire

***

Silvia Molesini per Lo spazio e il tempo della scrittura n.8

So già dove seguire le lepri
e mi perdo, é facile, sull’erba
quando suona un livido dio
sto limpida assorta lì
e dove resto mi divento grande
poi non ritorno facilmente
dal punto davanti al sole sceso
per così poco non so ripetere
l’andata scoccante.

***

Maria Pia Quintavalla per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 9

DEL NERO SPECCHIO

viste,

le spume lungo-scie sciogliersi sul nero
specchio apparire sezioni acquee
dal centro
dal tempo e da turchese inabissabile
spazio-tempo stretto su
un piatto pagina del blu lago.

Al mare!

Geografica memoria, quasi avessi patito
i ponti, le distanze
finite niente più stellari – Alberi
secolari i neri dei battelli, scavato il dentro
della nave che indietro e avanti mi ha sospinto
Al mare! la quintessenza dell’ inchiostro.
Movimento: delle onde, dell’erba, delle strade
della memoria, taciturna sesta percezione.
Ritorno a quelle braccia mute,
a quelle occhiate assorte – che mi vollero
studiare rotte, cannocchiali e scogli.

***

Antonio Sabino per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 10

SopraScrivere

Scrivere di giorno e perdere la sera
Tra le quattro  pareti bianche
Mentre fuori nessuno si chiede
Se quello che scrivi è cosa vera
E se quei fogli saranno mai conclusi
Prima che mutino foglie le piante

Scrivere la notte e attendere il mattino
Insonne come prima della gita
È nel suo letto il bambino
Fiducioso dei sogni che vedrà per strada,
Come ad uno specchio,
quei sogni strani e nebulosi
che si racconterà ancora da vecchio

Scrivere tutto il tempo
(sprecando la vita?)
spremendo parole come in un frantoio
chinato sul tavolo, un inginocchiatoio,
scrutando i segni appena scritti
come se fossero qualcosa di nuovo
e fantasticare che i tratti così fitti
aprano una strada tra il fitto rovo

***

Alberto Mori per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 11

Inserito Settembre 28, 2007 di antonellapizzo | Edit

 Vetri bus in appanno leggero  al risveglio della fermata

                     Mentre  il sole inizia la loro dissolvenza

                     la trasparenza torna allo zaino posato

                    ***

Sandra Palombo per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 12

Spazio

Scrivo quando una pulsione interiore mi porta a mettere nero su bianco idee e emozioni che possono poi essere poesia o semplici sfoghi o racconti. In ufficio, a casa, in case altrui, per strada  appunto il verso o traccio l’idea su quello che ho a disposizione, il pc dell’ufficio, lo scontrino di un negozio, una busta, un foglietto volante.

Tempo

Se lavoro a un racconto mi immergo nel testo e le ore passano in un attimo, se si tratta di poesia, pure. Lo scrivere è un uscire dal tempo reale per immergersi in quello interiore che non combacia con le ore canoniche. Perciò brucia la cena, salta la spesa, esco più tardi o non esco per niente.

Scrittura

Se fossi una scrittrice lascerei una parte della giornata per dedicarmi allo scrivere, per trovare un mio stile, per affinarlo, ma non lo sono e quindi i miei versi sono schietti come il vino dei contadini che può essere buono o avere uno spunto d’aceto, ma sicuramente sono genuini e provengono dalla terra che mi ha formata, umanamente e culturalmente ( il mio spazio ) e che li ha generati negli anni ( il mio tempo).

La mia scrittura autentica,
pudica, proietta
l’essenza del mio spirito

– la donna gelosamente difende la propria intimità –

alla sbarra, rigida s’imbriglia,
piroettando
tra le gabbie del linguaggio

– “Homo ludens” dalla lettrice è stato recepito bene –

talvolta, spinta da un poeta,
scopre alcune tele
del propriopaesepatriaisola

– Da soggetto a oggetto? Lui bisbiglia: non è oggetto –
infine allegramente suona
sillabe, a limitare
la malinconia anulare.

– La mia scrittura è una creatura viva che rifugge la pietà –

Tratto da Incontro con Alessandra Palombo” in ” Il volo dello struffello”, Genova, Liberodiscrivere, 2007.

***

Marina Raccanelli per “Lo spazio e il tempo della scrittura” n.13

Inserito Settembre 30, 2007 di marinaraccanelli

Il primo verso, mi viene scopando –
amici, parlo in senso letterale –
fra le nubi di polvere e gli stracci:
capovolto mi viene, qualche volta
ed il primo non resta sempre primo…

altre volte, mi scorre l’acqua ai lati
mentre scivolo sulla laguna
e non sento la folla in motoscafo:
vedo il cielo soltanto, l’orizzonte
e l’oscuro ch’è in me –
sui biglietti scaduti scarabocchio…

camminando son nati molti versi
nell’ascendere, i piedi ben piantati
sopra i sassi, fra prati e pascoli:
i polmoni chiedevano aria,
le parole ed i corvi svolazzando
tra le vette e le cime, là in alto…

quando torno, i miei versi copio-incollo
scrivo digito stampo, poi riscrivo:
così nascono, se c’è stato
un malessere in me, una catasta
di disgrazie nel mondo…
quando, invece, non vengono per caso
digitando distratta ed in diretta!

***

Blumy per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 14

Inserito Ottobre 1, 2007 di antonellapizzo

scrivo , seduta sul divano, nell’agenda o in un quaderno formato gigante, quando certe immagini, tradotte in parole, camminano nella mia testa.

***

c’è un foglio mai scritto
una pagina staccata
dal libro dell’Assenza
con occhi di vento gelido io l’ho letto.
so di viaggi lungo il percorso
degli uccelli migratori
ho udito canti spezzati dalle nubi,
voci di bambini che inseguono l’inverno

nella cipria di polvere
nel lampo degli occhi spaventati
ci sono libri aperti
dispersi nel profumo di magnolie
qualcuno li leggerà nella rotta del sole
prima che le ali dei gufi grigi
non li chiudano
quando la notte sale

***

Sergio Pasquandrea per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 15

ALLO SPECCHIO, 8 DI MATTINA

Già che ci siamo

cerchiamo anche qui la musica

l’harmonia mundi, non importa

né il tempo né il luogo

(anche qui, ora, con la barba fatta a metà)

l’importante è che il diapason

vibri sulla carne viva.

***

Maria Gisella Catuogno per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 16

Ottobre 3rd, 2007 ·

 

Spazio e tempo della scrittura

Vi ricordate l’Indovinello veronese, scoperto in un codice della Biblioteca della città, nel 1924?! E’ uno dei primi documenti del volgare:

Se pareba boves,/ alba pratalia araba,/et albo versorio teneba;/ et negro semen seminaba.

Spingeva avanti i buoi (le dita), arava bianchi prati (i fogli della pergamena), teneva un aratro bianco (la penna d’oca) e seminava un nero seme (l’inchiostro).

Un monaco burlone, lo immagino giovane e giocoso, si è divertito nel IX secolo, a vergare  questo indovinello a margine di un codice, forse per distrarre i suoi confratelli dal pesante e ripetitivo lavoro di amanuensi e rilassarli un po’. L’attività dello scrivano paragonata a quella del contadino, mi è tornata in mente in questi momenti di riflessione sulla scrittura e il suo spazio-tempo. Sì, per me, scrivere è anche questo: dissodare un terreno, ararlo, seminarlo, curarlo e aspettare il raccolto. Procediamo con ordine: dissodare il terreno equivale a mettere ordine nella congerie confusa dei pensieri, che si accumulano in testa, catalogarli, renderli pronti e disponibili  “all’azione”; arare significa ripulire le idee, alleggerirle della zavorra, tirarle a lucido; la semina è finalmente l’atto concreto della scrittura: prendere la penna biro, non d’oca come il nostro fraticello, e vergare dei segni o addirittura mettersi alla tastiera e batterne i tasti, per riempire di nero il foglio bianco. Operazione che sa quasi d’alchimia, di magia: penso a mago Merlino e ai suoi alambicchi;  penso al miracolo, in luoghi e tempi diversi, dell’invenzione di uno strumento comunicativo capace di colmare qualsiasi distanza e proiettarsi nel futuro, per le generazioni a venire.

Il mio tempo varia, come le nuvole in cielo e gli occhi di una donna innamorata. Può essere il pomeriggio, quando, calmato il vortice dei “devo” (lavoro, casa, famiglia, annessi e connessi), posso dedicarmi al mio piacere intellettuale per eccellenza, sedermi al computer e cominciare l’avventura; può essere la sera, dopo cena, momento di bilancio giornaliero, di sollievo per il riposo imminente, di programmazione del risveglio e della mattina che verrà: animo leggermente più quieto e inclinazione a “filosofeggiare”; talvolta è la mezz’ora che precede il sonno: foglio e penna sul libro appena chiuso, a disegnare parole che suggellino la giornata e la consegnino, decantata di scorie, al passato; quasi mai è la mattina, troppo concreta, troppo ansiosa di opere concrete, piuttosto che di riflessioni.

 Anche lo spazio ha mille sfumature e casualità, come il mare che soggiace al vento e ai suoi capricci: non ho una stanza tutta per me, come pretendeva Virginia Woolf, quindi  passo dalla postazione informatica ufficiale di casa, nel soggiorno, a  quella “di ripiego” del portatile, in cucina, trionfante sul tavolo per qualche ora sgombro di cibarie e stoviglie, al letto della mia camera, estremo angolo di privacy, più difficilmente di altri violato.. Ma talvolta, d’estate, lo spazio è la spiaggia, in qualche sprazzo di tranquillità (sua) o di particolare concentrazione (mia), coordinate che raramente s’incontrano, se non in rari momenti di grazia, fugaci come passeri spaventati.

E’ più o meno questo il mio spazio-tempo da funamboli, ma me lo tengo caro ugualmente, perché è l’unica corda che mi regala un precario equilibrio.

***

Marta Ajò per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 17

Ottobre 4th, 2007

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Pinzimonio

Lui sta giù, io su.
Lui sta in giardino, io al computer.
Lui su un vimini, io su una sedia.
Lui è pensieroso, io anche.
Perché entrambi sappiamo che stiamo per lasciarci.
Lui è il mio gatto, io non so cosa per lui.
Lui è silenzioso, io parlo e se non parlo, scrivo.

Lui è paziente, io impaziente.
Lui prende la vita con saggezza, io combatto sempre.
Lui sa che è inevitabile, io non lo sopporto.
Lui ha già preso le distanze e mi guarda sornione.
Io sono triste e lo guardo preoccupata.
Lui mi lascerà con grande pazienza, perché sa che è inevitabile.
Le mie viscere si torcono al pensiero.
E’ solo un gatto, ma è il mio gatto.
Stiamo insieme da diciassette anni.
In cui lui mi ha sopportato, ha condiviso, ha consolato.
Io, invece, mi sono limitata ad amarlo, da essere umano.

***

Morena Fanti per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 18

Ottobre 5th, 2007

Senza orologio e senza pareti

il tempo scende
e la parola sale.

Ovunque è il luogo,
tondo il silenzio
e acerba la frutta

ombra, poi luce
fotogrammi e nubi:
battito che assorda.

Lo spazio è la riva del fiume e la vista del mare, il rumore dell’acqua e il colore del cielo.
Il tempo non esiste, è mia creatura mentre si forma attorno ai miei pensieri e poi fugge lasciandomi nelle dita l’odore dei sogni e il bruciore dei graffi.

***

Dominica Villa Balbinot per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 19

Ottobre 9th, 2007 ·

PROPRIO QUELLA SERA

Era sera. Anzi notte, ed era silenzio completo, a lei serviva una concentrazione massima.
Stava per iniziare a scrivere, era molto indietro rispetto all’ intendimento originario, anche se era ormai entrata da un po’ di tempo in un ritmo alquanto disciplinato, da alcuni punti di vista rigidamente marcato, lei un’ austera monaca totalmente asservita al duro lavoro della scrittura.
Scrittura di sopravvivenza, la chiamava, e così intendeva tutto.
Stava per iniziare, tutto era pronto, rilesse attentamente ciò che aveva già scritto, del resto andava abbastanza bene, e comunque avrebbe dovuto completare il passaggio già scritto con ciò che le era frullato per la testa per buona parte del pomeriggio: la sua mente mai in riposo, i suoi pensieri come detriti da ripulire, piccole sculture filiformi passate dalle mani di Giacometti fino a raggiungere una sorta di affilatezza, pensieri spurgati e ridotti all’ essenza, ecco quello che cercava, con bramosia pure, una bramosia che nessuno poteva minimamente sospettare, lo sapeva lei sola.

Tutto era silenzio, le porte e le finestre chiuse. E lei era lì, immobile e come severa, concentrata al massimo davanti alla tastiera che l’attendeva. Iniziò a scrivere, e continuò per un poco, quasi macchinalmente, stordita da una furia vibrante, che però non compariva all’esterno in alcun modo: chiunque avesse potuto vederla- ma nessuno in quel momento la vedeva – avrebbe visto una persona calma, fin troppo calma, quasi asettica, imperturbabile.
Proprio nel momento in cui stava per apportare dei cambiamenti- lievi ma essenziali cambiamenti- al testo su cui stava lavorando, nel silenzio compatto della stanza chiusa vibrò, stordendola come fosse un pensiero molesto, lo squillo del telefono. Lo lasciò squillare per un po’, nonostante fosse posizionato vicino a lei. Prese infine con un gesto estenuato – un lungo gesto estenuato come se l’azione che stava per fare ( un atto così semplice, cosi tremendamente semplice e banale, e facile, e determinato da muscoli involontari) fosse sottoposta ad una suddivisione infinitesimale in milioni di piccoli spostamenti millimetrici – prese la cornetta, e rispose con un tono di voce leggermente impastato, in fondo l’ ora era piuttosto tarda, e lei era stanca…

[…incipit de il racconto PROPRIO QUELLA SERA]

***

Lucetta Frisa per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 20

Ottobre 12th, 2007 ·

Canzone dei trucchi

per Emily Dickinson

Scelgo i miei compagni
-il foglio bianco e la notte-
e poi chiudo la porta.
Conto i miei trucchi
-tavolo penna e calma
e l’abito assoluto che allude a sé stesso.
Solo le parole si muovono
strappano qualcosa
a qualcosa.
Qualcuno è morto
non so se fuori o nella stanza:
scrivo
il suo urlo perfetto.

da La follia dei morti ( Campanotto,1993)

***

Stefania Vassura per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 21

Ottobre 15th, 2007 ·

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Riflessi nello specchio
Vedo barlumi di vita
Scie luminose
Occhi sfuggenti
Anche nella luce assolata
non riesco a vedermi
Ho perso l’esistenza
Incedendo sempre sola
Forse per questo
Specchio ingannatore
Rifuggi la mia vita

***

  

Roberto Morpurgo per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 22

Ottobre 19th, 2007 ·

Un enigma per l’ultimo Edipo

Sono nato subito dopo Dio, che non è mai nato. Da allora vago nel mondo in cerca di un Autore: benché sappia che mai ne troverò uno. Non ho nome, eppure ho tutti i nomi, né sono solo, benché mi manchi ogni compagnia. Amo tutto, dunque anche il Nulla. Ai tempi di Mosè fui d’argilla, simile a un antico idolo di terracotta; poco dopo, Edipo mi scolpì nel suo cuore, dove mi diede un nome, Uomo, che non dimentico. Da allora, non faccio che ripeterlo, erro nel mondo in cerca di un Nome: un nome proprio, come dice l’Uomo. Non è questo il mio nome, né quello di Dio. Mio è il mio, dovrei forse esclamarlo? Sprecherei tre parole, che anzi ho già sprecato. La dissipazione è il mio principio e la mia fine, e, lo ripeto, l’alfa e l’omega, e cioè la aleph e la tav, della mia esistente vicenda. Non ho altri segreti che quelli di coloro che mi sfogliano, dolce cipolla, e su di me piangono come sulla lapide della Mater Aeterna. Ho in cuore un pensiero che vi confido, ed è la morte. La mia? Insensata parola: impossibile possesso. Oltre i pronomi e ben oltre ogni altra parola, Io Sono il Verbo e la luce stessa di una Tenebra che sì, si accinge a estinguersi. Illusi, pensaste che solo la luce potesse estinguersi. Illusi. Tornerò per andare, e allora per sempre, verso un luogo, credo una Stella, dove a Nessuno sarà più permesso contraffare il mio nome. Ai tempi di Edipo, o poco dopo, Ulisse mi prestò un soprannome che ho già dovuto evocare: ma lui è giunto, sia pure ultimo, fra i Beati che ebbero sepoltura. Io, non ancora.

***

Margherita Gadenz per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 23

Ottobre 20th, 2007 ·

 

   bello che l’estate sia finita
   la sabbia dentro la clessidra
   è senza sdraio

   guardo il mare

   margherita, 20 settembre

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Guido Tedoldi per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 24

Ottobre 24th, 2007 · 6 Comments

 

IL MIO SPAZIO E IL MIO TEMPO DI SCRITTURA

Il mio spazio e il mio tempo di scrittura sono qui e adesso. Nel senso che da molti anni vengo qui dove sono adesso: nella mia camera, seduto davanti al mio Mac, in queste ore della notte in cui sono sicuramente solo e indisturbato. Poi magari finisce che non scrivo bensì navigo in internet, che è un oceano di informazione vasto e spettacolare. Oppure leggo, leggo, leggo.
Però è qui e adesso che scrivo.
Quando ero ragazzo non era esattamente così. Il tempo era ancora come adesso, la notte in cui i giusti trovavano il loro sonno e io potevo partire alla ricerca delle parole giuste.
Ma il luogo era diverso. Non avevo una camera mia, e quindi stavo in salotto, in cucina, in bagno. Tenevo a portata di mano il quaderno, o l’agenda, o il block notes, e ovviamente la biro. Mi ero fatto l’idea che non avrei mai scritto altro che a mano, usando la biro. Quella era la mia velocità, o meglio la mia lentezza, pensavo. Quella era l’inesorabilità della scrittura: scrivendo a mano si fanno poche ripetizioni, le parole vengono subito scritte giuste senza errori, i ripensamenti e le modifiche costano tempo e fatica per cui cercavo di farne il meno possibile. Lo scrivere a mano è un lungo pensare seguito da un breve vergare.
Al massimo, mi sembrava, potevo battere in bella copia con la macchina per scrivere. Ma che pena, quanti errori di battitura, quanto bianchetto. Non erano esattamente belle copie, quelle che battevo a macchina. E se era così difficile scrivere con una tastiera, pensavo, be’, sarei sempre stato lento lento lento.
Il computer ha cambiato tutto. Niente più la pena degli errori di battitura, possibilità di ripensamenti, di riscritture parziali senza star lì a iniziare altri fogli. Possibilità di fare esperimenti.
E velocità. Un altro mondo. Non sarei potuto essere scrittore, senza il computer. Sarei rimasto uno da qualche pagina ogni tanto.
Quando ero ragazzo il tempo della scrittura aveva anche un prima: qualche minuto di videomusica in tv.
La musica unita a immagini che la raccontano produce nei miei neuroni cortocircuiti creativi. È come se schiacciassi un tasto, pac, e inizio a funzionare in modalità «creatore di storie».
Ne ho parlato un po’ in giro, all’inizio, perché mi sembrava un processo così automatico che non potevo essere il solo a sperimentarlo. Mi ero fatto l’idea che fosse una specie di dote connaturata a una parte degli esseri umani, come l’impulso a ballare che viene ascoltando certa musica, o il brivido di paura provocato da certi film. O magari la disinibizione verbale che segue il bere alcolici. Io non so ballare e raramente provo paura al cinema, ma essendoci in giro tanta gente con queste caratteristiche mi pareva plausibile che ci fosse chi inventava storie sollecitato dalla videomusica.
Invece no. Anzi mi guardavano strano quando lo dicevo.
Allora ho smesso. Magari è una roba da scrittori. Boh.
Il luogo dove scrivo non è, per la verità, il luogo dove desidero scrivere. La mia camera, intendo.
Se potessi (sto progettando di farlo) trasferirei il mio Mac e gli altri strumenti di scrittura (l’archivio e la libreria) in un capannone industriale. L’idea mi viene da due direzioni. La prima è un libro di semiotica che ho letto anni fa, «L’officina del racconto», di Angelo Marchese. La seconda è un articolo che ho letto sempre in quel periodo su una rivista letteraria, che raccontava di uno scrittore che aveva posto il proprio studio non in casa bensì in un capannone di una zona industriale; come gli altri lavoratori andavano in fabbrica, quello scrittore andava nella sua officina a scrivere, e quando veniva via lasciava là i suoi strumenti di lavoro e pensava ad altro.
Però non so se lo farò mai. Una cosa è progettare e un’altra cosa è fare.
Avendo un capannone, o comunque un posto dedicato alla scrittura lontano da casa, magari mi verrebbe voglia di fare come Stephen King, che in «On Writing» descrive il suo metodo di lavoro metodico e abitudinario, tot ore e tot parole ogni mattina.
Mattina, argh… mi verrebbe magari voglia di abbandonare la notte, il mio tempo d’elezione…
Questo testo, come quasi tutti gli altri miei, è nato di notte. E adesso che la notte è quasi terminata, invio.

 ***

Lucianna Argentino per Lo spazio e il tempo della scrittura n. 25

Ottobre 30th, 2007 · 22 Comments

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  Doppia esposizione. Luce di levante e luce di ponente. Giorno e notte. Scrivere dall’alto di un sesto piano dove, al mattino, il sole viene a leccare le piastrelle sorgendo non da monti o valli o mari, ma da dietro una facciata giallo- ocra, proprio alle spalle della donna, ancora in camicia da notte, con i gomiti sul davanzale del balcone, che sorseggia un caffé. Esco dal sonno e trovo un affollato silenzio. Ritrovo la doppia esposizione di me ai gesti consueti e al gesto, ogni volta nuovo e irripetibile, della scrittura. Doppia esposizione del corpo e dell’anima alla luce e al buio, al fuori e al dentro, all’essere e al non essere dove la parola si incunea perché al fondo siamo spazio vuoto e punti di luce. Scrivere nell’angolo di luce artificiale e carta, sopra il bisbigliare che giunge dai libri, nell’angolo che m’accoglie nella quiete, pronta io ad accogliere… Scrivere quando il buio avvolge, ma non nasconde, quando mi tiene desta e vigile il respiro dei bambini, il fiato croccante dell’infanzia. Così spopolo le notti e i giorni e li ripopolo, li incastro nella pagina, ma lascio aperta la porta così che, lontane dal mio sguardo, le parole possano lasciare la pagina e andarsene libere per il mondo. Perché scrivo non quando le cose accadono, ma quando si avverano.

Dice che non c’è addio nelle asole

e asola allora sia
poca materia intorno e vuoto,
e sia passaggio e allaccio,
sia lo spazio dell’abbraccio,
sia pertugio e rifugio,
sia il chiuso esposto alla parola.

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L’iniziativa, iniziata circa un mese fa, riguardante il nostro dire sullo spazio e il tempo della scrittura finisce qui. Molti e interessanti sono stati i contributi . Ringraziando tutti per l’attenzione e per l’entusiasmo vi invitiamo a scaricare il quaderno in formato pdf che raccoglie tutti i contributi e qualche piccola nota critica.

Quaderno dello spazio e del tempo della scrittura

5 risposte a “Lo Spazio e il tempo della scrittura

  1. L’ultima nevicata
    aveva nascosto tutte le case.
    Il bosco s’era fatto di cristalli e
    quando il sole ci passava
    all’ora solita del pranzo
    ogni parte risplendeva come dentro ad uno specchio.
    C’erano rami come diamanti
    bacche rosse come rubini.
    Un musetto di volpe e qualche traccia di volatile
    disegnavano in acquarello quella bianca
    cartolina.
    Solo noi
    fermi e stupiti
    non sapevamo come procedere
    in tanta magia di fiaba.
    Restammo bloccati qualche istante infreddoliti
    addirittura quasi congelati e,forse fu per questo,
    che un fagiano in livrea di gala
    ci passò davanti senza turbarsi alla nostra presenza
    senza un’abito all’altezza della sua eleganza.
    Fece quattro passi,lasciò anch’esso la sua firma nel disegno
    poi se ne volò, via di là, forse,
    pensammo,per qualche altra esecuzione

  2. bello questo sito complimenti ….

    buon anno!

    davide

  3. carlabariffi ha detto:

    Questa nuova veste grafica è veramente elegante!

  4. “Scrivere l’esperienza dell’infinito, un gesto pensato, un battito di ciglia, il ricordo e tutto prende forma per incanto. L’io subisce il fascino della magia indicibile del “SENTIRE”, abbarbicato nei meandri dell’anima.” – (G.Turiano)

    “SENTIRE”

    Nessuno risponde!
    Anfore di luna
    per un dannato giglio!
    Il brillio del filo
    di un venire e andare
    sente l’arsura
    e bevo nuda
    la desiata coppa.
    Ma tutto svanisce
    al trillìo d’un cellulare.
    Si spegne
    il brillìo del filo.
    Il giglio non è giglio
    e quel bel “gioco”
    d’anfore e di luna
    si frantuma.

  5. Flussi di coscienza che diventano parole, luoghi, sapori: una storia narrata dentro la storia e le storie, di una città, dei suoi luoghi, delle sue armonie visive e sonore, delle sue tentazioni; una storia d’amore che si rivela con timidezza, con il timore dell’abbandono che avviene, sì, ma non chiude un sipario, anzi fa intravvedere nuovi scenari, nuovi incontri in un continuum non solo temporale, ma anche contingente: un a storia che vive, che può vivere in un ampio contesto di lotta, per la giustizia negata ai singoli e ai popoli, per i quali, anche, la speranza è quella di conquistare quel lembo di terra dove i popoli saranno felici e dove l’ “io e il tu” anche, infine, si ritroveranno. Non un addio, allora, la scena, alla fine non si chiude con il calare del sipario, ma dà speranze e timori, paure ed entusiasmi, che sono la vita.
    Un linguaggio che è essenziale alla narrazione individuale e corale.

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