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Da “Il Lavoro del Luogo” (Fara Editore 2007)

si taglia il sonno a poco a poco, come
per formare l’uomo notturno, il ladro

per eccellenza. sangue in testa e nel sesso
non si scavalca il dio, pena la malattia
pedaggio alla trascurata età, devota tassa.
il nero di fronte sentivi eccede la forza
  assorta.
***
occorre morire prestino
pensavi, e lasciarti erede del bene
di noi nella storia, tra gli argini dove

libero è il nostro fiume, raccolte le pianure.
prestino, così da permetterti ogni codardia
così che non lasci debiti sul contatore
sullo scatto dei numeri, sul computo
dei registri del pianto e non i figli come
appoggio, ma i nasturzi sul terrazzo,
ed il vecchio galantuomo che sa
di latino e di greco, rimasto a tenerti
  le mani.

***

si tratti di questo sterno o meno, dell’intralcio
in petto, intralcio allo sfollamento dei corpi, dei moti.

sentivamo il rumore dello svilimento, il sangue
occulto illuminarsi nel corteo delle pance.
eccoci dunque ancora alla somministrazione
del calvario, tubi su tubi su tubi, aste
imposte, alte le dosi addentrarsi in corpo storto,
alla ricerca di sé. quale sostanza aderente
alla scelta dell’impianto di cui fare parte,
di quali termini e terapie essere diffusori
  incerti.

***

Inediti

maria conta i dagherrotipi
d’isole esposte ai venti, e illumina
l’impasto d’uomo reso infante
con linee rette di azzurro d’occhi
e
se in amore non piange mai di fuori
le acque reflue del petto che smotta,
s’alza, e come il bandoneón impera
nel giorno che si sfrangia
sugli angoli, su danze di spigoli già fatti,
su ali di vuoto e canti.
maria va e nell’andare si accende,
poi si blocca e desidera mani
a sfiorarle i fianchi della montagna.
non sai se davvero maria uscirà dal maglione
che la trattiene; è sarta di sé, è guerriera
che colpisce d’ascia, e sa di giardino buono
la sua pelle quando il suo bacio ti mesce.

****

a Roberto Cogo

andare per fossi, come se vedesse
in alto oltre i lecci e perdesse di vista
la menta odorosa rimasta e non spiccasse
il salto per lui che infonde al passo il tempo
che ci vuole a raccogliere equiseto.

plastiche, sacchetto, latta
allora…scatta ! lancia le bacche
a pelo d’acqua e corre di là
del ponte a tagliare il traguardo
del rosso che galleggia più sotto.

si tufferebbe, se fosse fosso, dalle rive
giù a cascata a scavare il greto,
ad ospitare pesci dal dorso spinoso
in quel buco di lenta corrente, di ghiaia
da tirare addosso. sporchi di roggia e di gioia,
ultima spiaggia prima che sia la noia del giorno.

Notizia

Giovanni Turra Zan, vicentino, è nato nel 1964. Laureato in Psicologia dell’Educazione e diplomato al Conservatorio Musicale di Vicenza. Lavora nei servizi sociali e, in qualità di counsellor, facilita gruppi di mutuo aiuto al lutto. Vincitore nel 2005 del concorso “Poeti per Posta”, promosso dalla trasmissione radiofonica di Rai Radio 2 “Caterpillar” e da PosteItaliane, è stato inoltre finalista in alcuni concorsi poetici nazionali. Nel 2005 ha pubblicato la sua opera prima “Senza” (Agorà Factory Editore), con prefazione di Stefano Guglielmin. Recentemente ha vinto, con “Il lavoro del luogo”, la VI edizione del concorso “Pubblica con Noi”, indetto da Fara Editore di Rimini.