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Friedrich Nietzsche: filosofo del disincanto e della ricerca. Seconda metà dell’ottocento: il suo pensiero esplode come dinamite e i suoi fragori si possono udire ancora oggi, forse perché rimasti ancora inascoltati o forse perché fraintesi e mal interpretati.
Friedrich Nietzsche e la sua scrittura: un viaggio inesauribile e affascinante, nascosto e misterioso a volte, limpido e chiaro altre ancora, un viaggio ai confini tra verità apollinee e misteri dionisiaci, alla ricerca del Senso fondamentale di una storia del tutto speciale, quella dell’uomo.Nietzsche compone molte delle sue opere in aforismi: un pensiero in viaggio non può esprimersi, infatti, se non per tappe brevi e feconde, per strati di esperienze e sensazioni dentro le quali bisogna addentrarsi lentamente, con occhi attenti e orecchio acuto ed allenato ad ascoltare anche i silenzi.
Da viaggiatore egli pretende lettori in grado di mettersi in gioco, capaci di rischiare per vedere ed osservare ciò che per loro lui stesso ha cercato e scoperto, un paesaggio sotterraneo e sconosciuto, accessibile a tutti e a nessuno. Chi viaggia, osserva, ascolta, si inoltra, si perde, diventa così: pretende per sé persone capaci di essere come lui, alla sua altezza, come se esistesse una scontata corrispondenza tra come si viaggia e come si è. Da viaggiatore della parola Nietzsche riesce ad esprimere come nessun altro questo concetto in un aforisma di una sua celebre opera, UMANO TROPPO UMANO II, nell’aforisma dal titolo Viaggiatori e loro gradi:
«Si distinguano i viaggiatori in cinque gradi: quelli del primo e più basso grado sono coloro che viaggiano e vengono visti viaggiare – essi propriamente vengono viaggiati e sono per così dire ciechi; i secondi sono essi a vedere realmente il mondo; i terzi fanno delle esperienze in conseguenza del vedere; i quarti rivivono dentro di sé le esperienze fatte e le portano via con sé; infine ci sono alcuni uomini di massima forza che devono da ultimo necessariamente anche rivivere fuori di sé, in azioni e opere, tutto ciò che hanno visto, dopo averlo sperimentato ed internamente vissuto, non appena siano tornati a casa. Simili a queste cinque categorie di viaggiatori vanno in genere gli uomini tutti per l’intero pellegrinaggio della vita, i più bassi come mere passività, i più elevati come coloro che agiscono e muoiono senza alcun residuo inutilizzato di fatti intimi.»
Potremmo forse affermare una verità contraria a questa? Non è forse vero che ognuno di noi ha occhi diversi per paesaggi all’apparenza identici?
Non è forse vero che ognuno di noi ne coglie diversi colori, particolari nascosti, ne sente profumi e odori, che invece altri non sentono? È proprio vero che ognuno di noi, nel viaggiare,mette in gioco tutta la propria personalità, senza veli, nascondimenti. Così allora il viaggio, per terre, che non conosciamo ci mette a nudo e ci fa sentire diversi o forse semplicemente autentici. Il viaggio, come puro occhio sull’identità, smaschera pregi e difetti di chi ci accompagna, illuminandone all’improvviso tratti del carattere, gesti, modi che prima ignoravamo del tutto.
Il viaggio è un’esperienza per tutti e per nessuno, direbbe Nietzsche.
Tutti possono farsi viaggiatori di terre, di luoghi, pensieri, per pochi o molti giorni, ma quanti sono poi in grado di rimanerlo anche dopo, quando il tempo dell’estraneamento è finito e si torna alla vita normale?
Riusciamo forse ad assaporare ogni giorno come se non fosse scontato, senza lasciarne inutilizzato nessun istante o singolo momento?
È Nietzsche stesso a suggerirci la risposta:
«Ci sono comunque ancora un’arte e uno scopo del viaggiare più sottili, che fanno sì che non sempre sia necessario andare di luogo in luogo e percorrere migliaia di miglia. […] Chi, dopo lunga esercitazione in quest’arte del viaggiare, è diventato un Argo dai cento occhi, accompagnerà alla fine dappertutto la sua Io – voglio dire il suo ego – e riscoprirà in Egitto, in Grecia, a Bisanzio e in Roma […] le avventure di viaggio di questo ego divenente e trasformato.»