immagine: Dalì – Rosa Meditativa

Il sole del pomeriggio filtra dai vetri appannati e illumina il salone dell’Oratorio di Santa Scolastica. I suoi riflessi frugano fra i muri, riposano sugli affreschi, planano sugli austeri mattoni a scacchi bianchi e neri e rendono superflua la luce dei grandi lampadari di cristallo. Al centro del soffitto è disegnata la Stella di Davide. Forse l’artista che ha concepito e realizzato gli affreschi e i dipinti era ebreo o forse era un iniziato che manifestava attraverso l’arte i suoi legami con l’essoterismo. Penso ai costruttori di cattedrali, agli alchimisti, allo Zenone di Marguerite Yourcenar.
Intanto il Critico ha iniziato il suo discorso sulla poesia, infarcito di francesismi, interrotto da pause e pardon ogni volta che la sua scarsa potenza ottica gli fa saltare qualche rigo del malloppo di fogli che tiene davanti. Cita Verlain e Baudelaire, compie incursioni nell’alta letteratura e ci definisce “minori”. Ma senza malanimo, anzi con una sorta di predilezione atta a gratificarci. Minori, sì, facciamo parte di quella schiera di poeti che resteranno per sempre nell’oscurità. I nostri manoscritti non arriveranno mai sulle scrivanie della grande editoria, né figureranno mai fra i best sellers.

Il Critico continua il suo excursus. Prima di iniziare il suo discorso aveva chiesto a me, seduta casualmente al suo fianco, di concedergli una maggiore porzione di spazio. “Sono come gli orsi -ha detto- che hanno bisogno di molto spazio per muoversi” E ha scosso le braccia goffamente come quelle galline che starnazzano agitando le ali. Mi sono vergognata di questo paragone irriverente ma mi è salito alle labbra un risolino che ho cercato di mistificare alla meno peggio. Non so per quale stramba connessione sto pensando a mio padre. A lui che vada in giro a leggere i miei versi gliene importa poco o nulla, avrebbe preferito che fossi più pragmatica e meno astratta.
Il Critico continua a dissertare: di letteratura europea, di milieu, di background culturale. Ci informa che Sciascia è lo scrittore che tutta l’Europa ci invidia e che Tomasi di Lampedusa è considerato il Manzoni del ventesimo secolo. Sui nostri versi poche sparute parole. Quando smette di concionare il pubblico non può fare a meno di emettere un impercettibile sospiro, credo che gli applausi siano più di sollievo che di ammirazione. Infine, tocca a noi. Dapprima timidamente, poi sempre più rinfrancati facciamo sentire le nostre voci di poeti. Il pubblico è attento, qualcuno scarabocchia qualcosa su un taccuino. Il sole si è definitivamente ritirato. Quando finiamo, i pazienti ascoltatori si affollano verso di noi. E’ un grande stringere di mani, un sovrapporsi di frasi entusiastiche, un rosario di complimenti. Una ragazza in jeans e maglione cerca di farsi strada verso di noi. Me la ritrovo accanto, confusa ed eccitata. “Le tue poesie -dice- mi hanno emozionata, posso darti un bacio?” E avvicina le labbra alla mia guancia, scostando con una mano una ciocca dei bruni capelli che le arriva quasi agli occhi. L’abbraccio, grata per quel gesto che mi dice più di tante parole.
Fra lo sgranocchiare di patatine e i brindisi col vermuth ci scambiamo impressioni. Il poeta-professore di liceo, poco soddisfatto del tempo che ci è stato concesso (tre poesie, via, sono troppo poco per dare una giusta visione della propria produzione), si concede una sfilza di citazioni latine. Nel salutarmi il Critico mi dice:”Spero di leggere il suo libro, ma purtroppo ho tempi lunghi”. Beh, niente di male, sappiamo che la quantità di tempo a loro disposizione è inversamente proporzionale ai loro impegni e con ogni probabilità il mio libro non lo leggerà mai. Ma io risento sul viso la dolcezza lieve di quel bacio e mi pare di essere Leopardi.