Nell’estate del 1978, in vacanza a Fonni presso l’Hotel Cualbu, ebbi modo di ammirare la vastissima collezione di quadri – tutti di grande spessore artistico – di proprietà dei padroni dell’albergo. A distanza di tanti anni mi torna alla mente un quadro in bianco e nero, di cui non ricordo l’autore, che mi era sconosciuto. Mi fermavo più volte a guardarlo, attratta dall’intensità espressiva della figura di donna raffigurata. Quella donna era la rappresentazione del Dolore. Il titolo del quadro era La madre dell’assassino.
Chi aveva riprodotto in maniera così precisa la cupa fissità di una madre il cui figlio si porta addosso il peso di un omicidio, doveva certamente aver presente un’opera analoga, in cui veniva rappresentata non la madre dell’assassino, ma La madre dell’ucciso, una delle opere più grandi dell’arte scultorea sarda, di Francesco Ciusa.
La scultura, riprodotta in quattro copie, di cui l’originale in gesso è proprietà del Museo civico di Cagliari e quella in bronzo è patrimonio della Galleria d’Arte moderna in Roma, vinse nel 1907 il primo permio alla Biennale di Venezia.
Francesco Ciusa aveva appena vent’anni e, dalla natia Nuoro si era trasferito a Firenze per studiare all’Accademia di Belle Arti, dove ebbe maestri come Domenico Trentacoste, Adolfo De Carolis e Giovanni Fattori. Visse nella città d’arte a contatto con i più grandi artisti del tempo, dei quali assorbì l’insegnamento e fu influenzato dalle ideologie anarchiche e socialiste che animavano la vita politica di Firenze.
Nel 1904 ritornò in Sardegna e si fermò a Sassari, ospite di Giuseppe Biasi. Nello stesso anno espose alcune sue opere in gesso a Nuoro, dove si stabilì l’anno successivo. Nel 1906 Francesco Ciusa cominciò a lavorare alla Madre dell’ucciso, spinto dall’improrogabile necessità di dare vita artistica ad una immagine di donna che aveva messo radici nella sua memoria. Nel clima di faide e di delitti legati al banditismo che insanguinavano la sua terra, Francesco Ciusa ricordava d’aver visto una donna, seduta accanto al figlio ucciso, immobile, statica, asserragliata nel suo dolore.
La madre dell’ucciso è vestita di dolore. Tutto di lei lo racconta: la fissità dello sguardo, l’ombra che il fazzoletto che le copre il capo le proietta sul viso, il taglio amaro delle labbra, le mani che stringono le ginocchia a protezione da quella sofferenza estrema cui non può sottrarsi, perchè la Madre è il Dolore. E’ una Pietas solitaria che niente e nessuno può liberare dall’ombra che l’avvolge.
Nel 1908 Francesco Ciusa si trasferì a Cagliari dove realizzò diversi lavori tra cui il Dormiente, premio città di Firenze 1909. e costituì le manifatture in ceramica SPICA. In quello stesso anno cominciò a lavorare al busto del suo grande amico Sebastiano Satta, che avrebbe completato tre anni più tardi.
A Cagliari gli fu assegnata la cattedra di disegno presso la facoltà di Ingegneria. E a Cagliari si spense nel 1949.
visionidiblimunda ha detto:
Dinanzi alla Madre dell’ucciso io mi inchino. Totalmente.
Non c’è altro da aggiungere se non un grazie a Blumy per averla rievocata in questa notte senza sonno.
Antonio Fiori ha detto:
Grazie blumy per l’autore scelto e l’opera che ne proponi.
La madre dell’ucciso è davvero una Pietà tutta sarda, che fissa per sempre un dolore che per la Sardegna, soppratutto dell’interno, è stato la base antropologica di terribili codici non scritti, fonti di ulteriori dolori, ma forse inevitabile conseguenza storica di isolamento e ingiustizie.
Maestosa comunque, rispettatissima, la figura della madre nell’isola.
Antonio
visionidiblimunda ha detto:
Ieri notte la visione della Madre dell’ucciso mi ha davvero scioccato, mai pensavo di trovarmela davanti e mai sul blog delle belledonne…questo fa crescere solo la mia stima.
La madre dell’ucciso è la violenza paralizzante e inaudita; troppo forte da sopportare…nell’essere rannicchiata e tanto afflitta, il capolavoro di Ciusa rappresenta in modo splendido e inarrivabile, cosa sia la sardità nel suo elemento crudele…cosa sia quel nodo e quella maglia di dolore inestricabile, tanto quanto le stesse viscere, che le donne sarde hanno portato nel grembo. Sebbene La Madre abbia una connotazione molto forte che si capisce per esempio leggendo il Codice della vendetta Barbaricina di Antonio Pigliaru, trovo che il dolore di una madre per la perdita di un figlio non abbia davvero nessun colore e nessuna appartenenza. Questa madre sarda è tutte le madri del mondo, uccisa anche lei dal dolore inesprimibile, quello che ti spezza le gambe.
Un saluto a voi e in particolare a Blumy 🙂
morenafanti ha detto:
Una scultura di sconvolgente impatto. Un pugno nello stomaco come spesso lo è la vita.
Non conoscevo questo autore ma ne sono molto colpita, forse proprio in virtù dell’opera che ci hai mostrato. Grazie Blumy
Blumy ha detto:
a visionidiblimunda un grazie particolare, per aver non solo letto l’articolo, ma fatto una recensione attenta e precisa della scultura, ampliando il discorso che io ho appena abbozzato. 🙂
Blumy ha detto:
ad Antonio un grazie ed un saluto, con la consapevolezza che leggere della nostra terra, in qualunque direzione si vada, non possa che fargli piacere.
Blumy ha detto:
La madre è uno dei tanti nostri orgogli, Morena. Abbiamo degli artisti grandissimi che, inspiegabilmente, sono poco conosciuti o sconosciuti affatto nella penisola.
michele ha detto:
Il senso della cupezza traspare dal disegno, il lamento interiore è nei tratti: gli occhi bassi, le vene delle mani e dei piedi, il sedersi accucciata come quando di vuole dondolare, addormentare un figlio prima di dormire. Commovente.
Michele
luisa ha detto:
Un atto di dolore, un senso di apparente rassegnazione, una durezza che traspare nitidamente, ma anche una umiltà muta.
Blumy ha detto:
analisi precisa, Michele.
Blumy ha detto:
umiltà, rassegnazione (no, la rassegnazione, in qualche modo, rasserena) , durezza , umiltà.
Solitudine nel dolore. La madre è tutte le madri, come dice visionidiblimunda; è quindi anche la Madre per eccellenza, la Madre del Cristo ucciso.
Rina ha detto:
Il dolore di una madre che perde un figlio come spesso accade, purtroppo, per ritorsioni sociali di cui siamo al corrente, è un dolore senza tempo che ferma la vita, e che solo la memoria del figlio può permettere che avvalori i credi validi di cui si veste per continuare.
Blumy ha detto:
brava, Rina: è proprio come se per La Madre il tempo si fosse fermato all’istante della morte del figlio.Tutto il resto è fermo, non ha più vita. Niente più scorrerà come prima, ma il tempo, la vita, la Madre si sono pietrificati.
Rina ha detto:
Se mi prometti che leggerai posterò una mia che ho da tanto tempo, scritta per una mamma coraggio di cui ho sentito il dolore.
marinaraccanelli ha detto:
questa statua mi ricorda, per la sua posizione rannicchiata e la soluzione stilistica di estrema sintesi, i custodi in forma di cubo seduti per sempre davanti alle tombe egizie per allontanare gli spiriti maligni
marina
antonella ha detto:
E’ sasso, è pietra, è roccia.
Un capolavoro, senza dubbio. antonella
Blumy ha detto:
certo che la leggerò, Rina.
Blumy ha detto:
non ho presenti i custodi delle tombe egizie, Marina. Anzi, confesso che non ho proprio memoria di queste figure. Però voglio fare una piccola ricerca e poi ti dirò se l’accostamento è valido.
Blumy ha detto:
x Antonella – la copia che ho postato qui è quella in bronzo , che io preferisco in assoluto alle altre perchè il colore scuro accentua il senso di morte, di peso, di dolore.
La copia in gesso traduce un pò meno tutto questo.
Ma tu , dicendo sasso pietra roccia, vuoi significare che il dolore ha pietrificato la Madre.
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blumy ha detto:
😯 ?
antonella ha detto:
blumy il commento 20 è il pingball del mio sito 🙂
antonella ha detto:
@ 19
il dolore è così. ciao antonella
Blumy ha detto:
mi piace l’@ come punto di riferimento.
Il dolore estremo è proprio così.
cia’
alivento ha detto:
La stessa madre, pietrificata dal dolore, sembra la rappresentazione della morte.
blumy ha detto:
perchè è scura, Ali. ma la copia in gesso* è meno ‘tenebrosa’.
io non la vedo così.
*cercala nel web e poi dimmi.
alivento ha detto:
Grazie del suggerimento Blumy, ho copincollato il miglior link che ho trovato della statua in gesso.
In effetti Blumy così la statua appare meno tenebrosa, tuttavia, io nel mio commento intendevo riferirmi a quel viso disseccato, agli occhi spenti e infossati e particolamente alla bocca serrata tra le guance scavate di pelle sulle ossa e dire che lei dentro in quel momento si sente come morta e nel viso questo credo abbia inteso rappresentare Ciusa.