“Derubati del suo volto quasi non ci riconosciamo” scrive Emily Dickinson nel 1882 all’età di 52 anni in occasione della morte dell’amatissima madre, accudita fino alla fine come fosse stata una figlia tra le più fragili. Quell’inversione di ruolo da figlia a madre di sua madre, negli ultimi anni della malattia materna aveva anche convinto la poetessa a rifiutare il matrimonio tardivo con Otis Phillips Lords, l’unico suo amante che forse, fatto quel passo, sarebbe diventato una presenza reale nella sua vita e non colui che la sua scrittura aveva elaborato come compagno assoluto nell’arco di un’intera esistenza mediando poeticamente tutti i suoi incontri maschili in un’unica figura racchiusa nelle definizioni del maestro, dell’assente, del padre o di uno strano dio, comunque un’entità sempre equiparata a una divinità pagana cui votarsi senza preghiera. Scrive in proposito Nadia Fusini “Emily è pagana, come dice di se stessa; e cioè incurante di ogni altro bene, se non del contatto, qui, della terra in cui coltiva il suo giardino e dove vorrebbe ogni pienezza e ogni gioia”.
Tuttavia la poesia di Emily Dickinson raggiunge vette di tale trascendenza che chi legge oggi fatica a credere possibile la sua umanità di allora, a credere possibile che la sua effettiva scelta di indossare, a un certo punto della vita, un abito bianco rinunciando a ogni possibile via di fuga da un’esistenza giocata da sempre e per sempre nello spazio ridotto di due case che si affacciavano sullo stesso giardino, fosse regolata da politiche molto più terrene di quanto la leggenda nata intorno alla figura di Emily Dickinson lasci supporre.
E’ singolare anche ciò che accadde alcuni anni dopo la morte di Emily, nell’ambito della disputa legale animata dalle figlie delle due persone che nella seconda parte della vita della poetessa avevano intricato ancora di più i già complessi rapporti che deregolavano l’andirivieni nel giardino Dickinson. Per Martha, la figlia di Austin Dickinson, fratello di Emily, quella stessa Martha che la zia appellava alla nascita con una sorta di ironia precognitrice “Marziale Martha tamburo e bandiera insieme”, la quale ambiva a accaparrarsi la curatela delle opere della parente, Emily è esattamente quello che la leggenda, tutelata dal rogo di molte lettere probabilmente compromettenti, afferma che sia: la donna castissima che abbraccia la poesia preferendola alla mondanità. Per Millicent, invece (la figlia dell’amante ufficiale di Austin, Mabel, alla quale Lavinia Dickinson, la sorella della poetessa, aveva affidato l’incarico di redigere la prima edizione delle poesie immediatamente dopo la morte di Emily) Dickinson è un’eroina moderna, una sacerdotessa pagana e disinibita, un’integralista che conduce fino alle estreme conseguenze il suo gioco.
Vista da qui Emily Dickinson si trova e rimarrà sempre nell’aura geografica della casa del padre, quel luogo però si trova nel Massachusetts non molto distante da quella Salem in cui poco più di un secolo prima della nascita di Emily, nel 1692 furono uccise 22 persone, quasi tutte donne, con l’accusa di stregoneria da un tribunale istituito legalmente. In una sorta di isteria collettiva in cui la realtà era stata mistificata forse intenzionalmente dall’uso ambiguo della parola Dio, furono infatti bollate con il marchio di strega alcune donne che vennero credute in diretti rapporti col diavolo in una comunità che nel diciassettesimo secolo, in quel luogo come in Europa, a detta di Margaret A. Murrey, viveva le conseguenze di un retaggio pagano (di cui la poesia di Emily mi sembra suggerire una vasta eco) ben radicato, che poteva ancora nutrirsi nelle piccole pratiche domestiche di riti tributati a culti di divinità non cristiane.
Quando Emily Dickinson incontra Susan, colei che sarà la moglie di Austin e la madre di Martha, ha circa 18 anni e si innamorerà perdutamente di lei che sarà la destinataria di 276 poesie scritte nell’intero arco di una vita, alcune delle quali vibranti di accenti erotici inequivocabili. Emily poco più che adolescente intorno al 1850 già gode di una singolare consapevolezza riguardo la natura dei propri desideri e delle proprie visioni che le perveniva non certo da un’esperienza che non poteva aver maturato ma da un temperamento completamente al di fuori dei parametri pubblicamente accettati in quel luogo e in quel tempo.
“Caro … mi sembra di scrivere al cielo … mentre altri vanno in chiesa, io vado alla mia chiesa, perché non è forse vero che sei tu la mia chiesa e siamo in possesso di un inno che nessuno al di fuori di noi conosce?”. Mi chiedo: le sarebbe stato davvero possibile, qualora avesse voluto, pubblicare e difendere pubblicamente versi che passavano disinvoltamente dall’amore omosessuale a dichiarazioni di ardore pagano nei confronti di una fantomatica figura maschile intercambiabile con quella di dio padre? Se avesse stabilito di fare ciò abbandonando le dinamiche nascostamente luciferine del giardino di casa sua, che pure le appartenevano, chi avrebbe salvato Emily dal rogo? Chi sarebbe stato così politicamente potente da tutelarla se su quella gogna pubblica, in quella stessa America, a meno di un secolo dalla morte di Emily era stato sul punto di soccombere anche Arthur Miller, già intellettuale accreditato al grande pubblico, che si era macchiato della colpa di essersi richiamato con un dramma teatrale ai fatti di Salem al fine di stigmatizzare metaforicamente l’atmosfera tra il pretestuoso e l’isterico che dalla caccia alle streghe, in quegli anni si era trasformata alla caccia legalizzata al comunista promossa dal senatore Joseph McCarthy. Miller astutamente si difese e accrebbe in reputazione propugnando come uno dei principali diritti di un artista la libertà alla rappresentazione di se stesso in funzione di quella che crede essere di volta in volta la realtà che poeticamente rappresenta attraverso l’opera. Ma Arthur Miller era un uomo e già famoso. Si trovava in procinto di sposare Marylin Monroe ed erano comunque passati tre secoli dalle vicende di Salem.
Nella poesia di tutti i tempi, raramente pensiero poetico e esistenza hanno raggiunto una simile prossimità come in Emily Dickinson. Che la sua esperienza umana resti avvolta nel mistero conta fino a un certo punto al cospetto del monumento incalcolabile che è costituito dalla sua opera poetica. D’altro canto però tutte le forme esplicite di ribellione diventano presto retorica della ribellione e mi piace credere che Emily abbia agito in un certo modo perché più di ogni altra cosa disprezzasse ciò che emana da quella particolare forma di volgarità che è la retorica dei ruoli, convinta quasi da subito che in ogni realistica mancanza di alternative, sia la separazione da ciò che serve, a abbattere in modo definitivo ogni forma di impotenza.
*
Io sono Nessuno! Tu chi sei?
Sei nessuno anche tu?
Allora siamo in due!
Non dirlo! Potrebbero spargere la voce!
Che grande peso essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana
che gracida il suo nome – tutto giugno –
ad un pantano in estasi di sé
*
L’anima sceglie i suoi compagni
e poi chiude la porta
la sua divina maggioranza
estranei non sopporta.
Impassibile, sente il cocchio che si ferma
presso il cancello esterno.
Impassibile, guarda un re protrarsi
dal suo tappeto.
So che da tutto il mondo
può scegliere uno solo:
chiudere le valve poi dell’attenzione
come se fosse pietra.
*
Date un po’ d’angoscia
e ogni vita si ribella.
Datene una valanga
e le vite si piegano,
si raddrizzano cercano prudenti
di riprendere fiato, ma non dicono sillaba –
come la morte
che mostra solamente il suo disco marmoreo:
segno sublime più della parola –
*
Troppo felice sarei stata, credo –
troppo in alto per il modesto accordo
che delimita il raggio di una vita –
Questa circonferenza nuova avrebbe
svergognato il mio piccolo circuito –
Biasimato l’angustia precedente
Troppo al sicuro sarei stata –salva –
troppo da me lontana la paura
per poter pronunciare la preghiera
che ieri conoscevo così bene –
quell’unica bruciante Sabachthani
recitata a memoria in questa vita –
La Terra sarebbe stata troppo –
e il cielo per me misera conquista –
avrei posseduto la gioia
senza il timore – per giustificarla –
la palma senza il Calvario –
E’ giusto Dio che tu mi crocefigga –
Dicono che la pena affini la vittoria –
e nel vecchio Getsemani gli scogli
raddoppiano la gioia dell’approdo!
Chi è stato mendicante apprezza il cibo –
e dall’arsura acquista i gusto del vino –
la fede piange – per poter capire!
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fattorina ha detto:
Veramente interessante questa ipotesi sullaq Dickinson che passa per una specie di suora laica e di devota, imperscrutabile innamorata di un pastore costretto dal padre ad allontanarsi.
Non avevo letto niente su questa eventuale possibilità omosessuale e pagana. Interessante . Mi pare giustifichi poesie e molti versi.
Grazie per l’esposizione.
Narda
vivianascarinci ha detto:
Sai Narda, anche per me è stata un sorpresa sfatare qualche leggenda intorno alla nostra eroina attraverso la lettura di biografie documenti e lettere. Emily resta comunque un vero e proprio caso da indagare e penso che continuerò. Un bacio, carissima Narda, sei nel mio cuore e lo è anche la tua poesia.
anna maria bonfiglio ha detto:
Bell’articolo, Viviana, da un po’ di tempo mi appassiono anch’io al “mistero” Emily. Penso che ogni ipotesi può essere plausibile nel caso di questa poetessa. Così come credo che non fosse una donna nevrotica e stravagante come alcune biografie lasciano credere. La sua omosessualità è incontestabile, basta leggere le lettere che scrive a Susan e ancora prima alla sua amica Abi. Direi che per lei “amore” era ogni persona con la quale entrava in empatia. Non dimentichiamo che anche per il fratello Austin dimostra di nutrire un sentimento che oltrepassa l’affetto fraterno. Posso tenere conto del tuo articolo per il lavoro che ho iniziato sulla Dickinson? Complimenti e buon lavoro sempre.
anna maria
vivianascarinci ha detto:
Grazie Anna Maria, mi fa molto piacere il tuo apprezzamento. Certo che puoi usare il mio articolo. Anzi visto che stiamo lavorando entrambe a un argomento così poliedrico e controverso come E.D. sarebbe bello trovare il modo di confrontarci. Il fatto è che a ogni epoca della vita che si ri-intraprende la lettura di questa poetessa tutto cambia e quello che abbiamo capito, sembra non aver più valore rispetto a questo pozzo profondissimo che sono i suoi versi. Questo spaesamento a me sembra l’unica condizione di una qualche utilità all’approfondimento, più che delle certezze che nel caso di E.D. non credo possibili.
Angela Siciliano ha detto:
Io lo sapevo già (voglio dire che ho letto di questa ipotesi da tempo) ma sono contenta lo stesso di questo post perché a volte si resta a lungo a conoscenza di qualcosa … in pochi, e allora saperlo sembra inutile.
Quanti amori omosessuali sono stati camuffati o negati nella letteratura!
Inevitabile e anche comprensibile se si pensa a quanto rischiosa può essere la verità in alcune circostanze.
Angela Siciliano ha detto:
La 112 in Stanze di alabastro (SE), traduzione di Nadia Campana:
Possedere una Susan tutta per me
è la beatitudine –
qualsiasi regno io possa perdere, Signore,
che io continui in questo!
(To own a Susan of my own
Is of itself a Bliss –
Whatever Realm I forfeit, Lord,
Continue me in this!).
scritto: nero su bianco, potremmo dire!
vivianascarinci ha detto:
Scusate in anticipo la pedanteria ma si impone una precisazione: l’ipotesi cui si riferisce il titolo di questo articolo non riguarda la presunta omosessualità delle Dickinson, le cui lettere e poesie con riferimenti di quel genere sono più che note ai biografi anche non contemporanei. Quello che mi interessa qui è l’influenza religiosa (e anche politica), e il peso che queste possano “ipoteticamente” avere avuto sia sulla biografia che sulla poesia di E.D.
Angela Siciliano ha detto:
Ha ragione!
r.m. ha detto:
non conosco a fondo la poetica della Nostra ma mi complimento con l’autrice per passione e intelligenza, amo auscultarla (la E. Dickinson) nello splendore dei suoi versi, poi che sia stata o meno omoerotica credo conti ben poco..
iole ha detto:
“…mi piace credere che Emily abbia agito in un certo modo perché più di ogni altra cosa disprezzasse ciò che emana da quella particolare forma di volgarità che è la retorica dei ruoli…”
condivido.
Emily era oltre ogni convenzione e schema.
probabilmente lo sarebbe anche ora.
Amor et Omnia ha detto:
trovo E.D. emblema di modernità che attraversa ogni epoca e cultura, libertà interiore di essere, è a pieno titolo nalla mia visione di “imperfezione dell’Amore”, una tensione verso l’assoluto che solo in alcune occasioni sono senza dignità di forma ma ebbre di sostanza…forme e ruoli non si adattano ai giardini privati… A,
gisy ha detto:
Bel lavoro Viviana, che ha letto con vivo interesse. A suo tempo, dopo aver letto molte sue poesie, scrissi qualcosa su di lei, che qui posto, per te e tutte le Belledonne…
Note sulla poesia di Emily Dickinson
Che senso possono avere queste mie annotazioni sulla poesia di Emily Dickinson, quando già tanto è stato detto e scritto? Comunque le tento, perché desidero in qualche modo razionalizzare, attraverso la riflessione e la scrittura, l’onda di piena delle emozioni che la lettura delle sue liriche mi provoca.
Che sia una grande, anzi una grandissima poetessa, balza agli occhi al primo approccio: per la fluidità, la sonorità, la musicalità dei versi; per l’originalità, la freschezza, l’immediatezza delle immagini; per la valenza filosofica, esistenziale, universale dei temi proposti.
Per quanto angusto fu il suo orizzonte fisico –visse tutta la vita, a parte brevi parentesi, a Amherst, una cittadina del Massachussetts non lontana da Boston- infinito fu al contrario il suo orizzonte spirituale, Sì, perché il paese diventa l’ombelico del mondo, la prospettiva da cui guardare all’esterno: anzi, forse proprio l’angustia, la provincialità di Amherst si trasformano in stimolo per vedere oltre: dove, a chi? Anzitutto alle creature che la circondano, delle quali condivide la sorte della vita hic et nunc, nella loro peregrinazione terrena, nella loro fatica quotidiana, negli scarsi e fuggevoli momenti di gioia e nelle ben più lunghe e complesse tribolazioni, in una girandola di estasi e sofferenza apparentemente inspiegabili, se non la soccorresse la fede tenace, seppure a volte problematica e vissuta fuori di ogni convenzione:
Per ogni istante estatico/ dobbiamo pagare un’angoscia /in netta e tremante/ proporzione all’estasi.
Per ciascuna ora amata/ crudeli spiccioli d’anni/ -centesimi amaramente contesi-/ e forzieri colmi di lacrime! (125)
[…] E poi, chi ha disposto i ponti dell’arcobaleno,/ e poi chi conosce le sfere docili/ con vimini di morbido blu?/ Che dita intrecciano la stalattite-/ chi conta le perline della notte/ per accertare che non manchi nessuna? (128)
La fede è una bella invenzione/ quando gli uomini vedono/ ma i microscopi sono più prudenti/ in caso d’emergenza. (185)
So che Egli esiste./ In qualche luogo -in silenzio-/nasconde la sua vita rara/ dal nostro occhio rozzo./
E’ il gioco di un attimo./ E’ un’imboscata amorosa-/ solo perché la gioia/ guadagni la propria sorpresa!/
Ma -dovesse il gioco/ rivelarsi dolorosamente serio-/ la gioia –si raggelasse-/ nel rigido -sguardo-della morte-
Il divertimento non parrebbe/ troppo costoso?/ Lo scherzo non sarebbe/ andato troppo oltre? (338)
Alcuni osservano la domenica andando in chiesa-/ io la osservo stando a casa-/ con un bobolink per corista/ e un frutteto per cupola-/
Alcuni osservano la domenica con paramenti- io mi metto solo le ali-/ e anziché suonare la campana per la funzione /il nostro piccolo sacrestano- canta.
Dio predica, un religioso di fama-/ e il sermone non è mai lungo,/ sicché invece di arrivare in Cielo, alla fine-/ ci vado tutto il tempo. (324)
E sullo sfondo, il mutare delle stagioni, il trascolorare dell’estate, tanto amata, nelle brume autunnali e queste nel gelo dell’inverno, fino, nuovamente, al trionfo della luce sul buio, della vita sulla morte con l’arrivo agognato della primavera:
C’è qualcosa in un giorno d’estate/ mentre lente le sue fiaccole ardono/ che mi rende solenne./
C’è qualcosa in un mezzogiorno d’estate-/ una profondità – un azzurro – un profumo- / che trascende l’estasi. […] (122)
Sarà estate – prima o poi./ Donne –con parasoli-/uomini a passeggio – con canne d’India -/e bambine con bambole -/ coloreranno il paesaggio pallido-/ come un luminoso mazzo di fiori […]
(342)
Oltre l’autunno che i poeti cantano/ alcuni giorni prosaici/ un po’ al di qua della neve / e al di là delle nebbie-/
alcune mattine incisive-/ alcune ascetiche sere/ […] Forse uno scoiattolo rimane-/ a condividere i miei sentimenti-/ Concedimi, Signore,una mente solare-/ per sopportare la tua volontà di vento! (131)
Un’aria mutata delle colline-/ una luce tiria riempie il paese-/ un’aurora più ampia di mattina-/ un tramonto più profondo sul prato-/ un’orma di piede vermiglio-/ un dito purpureo sul pendio-/ una mosca beffarda alla finestra-/ un ragno di nuovo all’opera consueta-/ un passo più energico del galletto-/ un fiore atteso dappertutto-/ un’ascia che suona forte nei boschi-/ odore di felci su strade solitarie-/ tutto ciò e altro che non so dire-/ uno sguardo furtivo che conosci bene-/ e il mistero di Nicodemo/ l’annuale replica riceve! (143)
Già, la morte. Quanto spazio essa ha nella poesia dickensoniana! E’ lì, pronta a ghermire in ogni momento, a strappare affetti familiari e amicali, fino allo scempio di prendersi l’adorato nipote. E resta allora il vuoto, lo sbalordimento, il disincanto, il dolore senza aggettivi.
[…] Una malattia breve ma paziente- un’ora per prepararsi/ e una quaggiù stamane/ è dove stanno gli angeli (18)
Eppure, anche per lei c’è un posto nell’animo di Emily, che non conosce il rifiuto: la morte è passaggio, soglia da oltrepassare per accedere a un’altra vita, ben più luminosa e agevole di quella terrena. Perché allora l’ansia, il turbamento, la macerazione dei pensieri? Perché la dolce e risoluta ragazza è pur sempre un essere umano e la paura, il timore dell’ignoto, del non sapere come avverrà tale passaggio sono la cifra stessa della sua umanità. Sull’oltre ci sono rari dubbi o tentennamenti: il Paradiso appare quasi a portata di mano; l’unica incertezza è il suo carattere, il suo paesaggio, le presenze, angeliche, terrestri, divine che conterrà, la modalità della nostra esistenza in esso.
Così una margherita/ oggi dai campi svanì/ Così molte scarpette in punta di piedi/ andarono in Paradiso/.
Così la marea calante del giorno/ stillò bollicine purpuree/ Fiorire-scalpicciare-correre-/ Siete voi dunque con dio? (28)
Andando in Cielo! Quando non so/ e non chiedetemi come!/ In effetti sono troppo stupita/ per pensare a rispondervi1/ Andando in Cielo!/ Come suona vago! Eppure si farà/ sicuro come il gregge torna a casa la notte/ sotto la guida del pastore!/ Forse ci andate anche voi!/ Chi lo sa?/ Se doveste arrivarci prima/ tenetemi un posticino/ vicino ai due che ho perduto./La “ veste” più piccola mi andrà bene/ e una “corona” minuscola/ perché sapete che non badiamo all’abito/ quando andiamo a casa. […] (79)
Qualsiasi aspetto della natura viene indagato e descritto: insetti, uccelli, fiori sono presenti in moltissime liriche; dai pettirossi ai bobolink, dalle rose selvatiche ai lillà, dalle margherite alle genziane, dalle farfalle alle api ubriache di nettare; tutte queste piccole creature partecipano della vita degli esseri umani e la arricchiscono. Gli alberi, i ruscelli, il bosco, le radure poi sono altrettanti scenari dell’attività quotidiana o dell’esercizio del pensiero e instillano gioia, specialmente quando s’accompagnano alla luce del sole:
Il mormorio di un’ape/ una magia mi dà-/ se qualcuno chiede perché- sarebbe più facile morire-/che dire-/
Il rosso della collina/ mi toglie la volontà-/se qualcuno ride-/ attento –dio è qui-/ nient’altro./
L’aprirsi del giorno/eleva il mio grado-/ se qualcuno chiede come-/ l’artista –che così mi disegnò-/
risponda! (15)
Fammi un’immagine del sole-/ che io possa appenderla in camera-/ e far finta che mi scaldo/ quando gli altri dicono “giorno”!
Disegnami un pettirosso sul ramo –sul ramo-/ così di sentirlo- sognerò,/ e quando la canzone dei frutteti cessa-/ di fingere smetterò-/
(188)
L’amore, poi, è protagonista nel discorso poetico dickensoniano: per i familiari, verso cui non mancano garbate e ironiche note di disappunto, per l’abitudine che ha il padre di svegliare talvolta i figli in ore antelucane, interrompendo il legittimo evolversi dell’avventura onirica; per i fratelli, per la cognata, per i nipoti; ma anche per gli amici con cui divide esperienze, ricordi e affinità elettive. Ma è dirompente l’amore passionale:
Cosa darei per vedere il suo volto?/Darei – darei la mia vita –ovviamente-/ ma questo non basta!/ Aspetta un minuto – lasciami pensare!/ Darei il mio bobolink più grande!Così sono due –lui- e la ita!/ Sapete chi è giugno-/ ecco darei lui-/ rose colte ieri a Zanzibar-/ e calicidi gigli –come pozzi-/ e miglia e miglia –di api-/ canali blu/che flotte di farfalle –traversarono-/ e valli screziate di margherite -/ […]
(247)
Notti selvagge –notti selvagge- / Se io fossi con te/ notti selvagge sarebbero/ nostra voluttà!/
Futili –i venti-/per un cuore in porto -/niente più bussola-/ niente più carta!
Remando nell’Eden -/ ah! Il mare!/ se in te -stanotte-/ potessi ancorare!/
(249)
Quanto eros, quanta modernità in questi versi, nei quali Emily canta il desiderio di perdersi nell’altro, porto in cui gettare l’ancora e trovare il Paradiso terrestre!
Davvero non appare una rassegnata zitella della provincia americana dell’800…C’è in lei una forza, una sincerità, una elevazione della sensibilità e dei sentimenti all’ennesima potenza!
Perché allora quella scelta di auto recludersi, d’appartarsi dal mondo, lei che gettava continuamente ponti ai suoi simili, che coltivava i rapporti interpersonali come i fiori nei suoi vasi?
Azzardo che sia stato per moltiplicare il suo tempo, coltivare i meandri dello spirito, intessere una trama così profonda di relazioni interiori, con se stessa e con chi amava –anche se la sua opera sarebbe stata postuma (pure questa una scelta ponderata!)- da impegnare in tale “mission” tutte le sue energie, senza disperderle nella banalità di una vita convenzionale.
In questa scelta estrema mi ricorda Proust, che per concentrarsi e ultimare la sua Recherche si fa insonorizzare le pareti della sua camera di sughero. Follia?! Per noi, forse, non per queste personalità eccezionali.
Probabilmente questa è stata la condizione estrema per sondare tutti gli abissi del suo spirito e renderne partecipi le generazioni a venire. Grande Emily, sacerdotessa della poesia e della vita, come la sua veste bianca suggeriva! Senza di lei saremmo più orfane e sole.
vivianascarinci ha detto:
Grazie Gisy! Leggerò con attenzione.