Ci sono vite che si consumano lentamente, senza manifestare apertamente il proprio disagio o che, anche se lo rivelano, chissà perché rimangono apparentemente intatte finché non si esauriscono del tutto in una sorta di autocombustione. Se poi ci si accorge di avere tante cose da dire sulla vita e i sentimenti, descrivendoli per come sono senza che sia necessario rivestirli di fronzoli o imbellettarli fino a trasformarli in tutt’altro, realizzare tale proposito può diventare una vera condanna e il fuoco che distrugge dentro si alimenterà del vino amaro della sordità e dell’indifferenza di chi non è pronto ad ascoltare il grido della libertà.
Ma che vuol dire essere liberi?
In un lampo capii che cosa era quello che chiamano destino: una volontà inconsapevole di continuare quella che per anni ci hanno insinuato, imposto, ripetuto essere la sola giusta strada da seguire.
(Goliarda Sapienza, L’arte della gioia)
Libertà è una strana parola che ha sempre affascinato l’immaginario collettivo, che ha coinvolto l’umanità fisicamente e intellettualmente in battaglie appassionate, eppure è anche fonte di grande ambiguità, di continui fraintendimenti che possono trasformarla nel suo opposto. In campo letterario poi ci si perde tra le innumerevoli opere dedicate ad essa e non c’è genere che vi sia sfuggito, dal teatro alla poesia, dal saggio al romanzo, dal pamphlet ai graffiti fino ai testi delle canzoni. Tutti, prima o poi, sentiamo l’esigenza di manifestare il nostro canto in onore dell’indipendenza personale. Ma perché siamo costretti a lottare tanto per un bene che sembra essere un’esigenza che accomuna il genere umano? La risposta è palese. Non soltanto proprio in quanto necessità diventa automaticamente una debolezza e dunque su di essa si accaniscono tutti i prevaricatori privandone le vittime designate, ma l’intera società è costruita su un dedalo di obblighi e ristrettezze che tendono ad imbavagliare, opprimere e limitare al massimo l’autonomia individuale, imponendo delle direzioni precostituite come le uniche possibili e, soprattutto, le uniche legittime.
Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola amore esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco che cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… e poi, ripulirle dalla muffa, liberarle dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggiore frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.
Imparai a leggere i libri in un altro modo. Man mano che incontravo una certa parola, un certo aggettivo, li tiravo fuori dal loro contesto e li analizzavo per vedere se si potevano usare nel “mio” contesto. In quel primo tentativo di individuare la bugia nascosta dietro parole anche per me suggestive, mi accorsi di quante di esse e quindi di quanti falsi concetti ero stata vittima.
(Goliarda Sapienza, L’arte della gioia)
Cosa succede allora a chi decide di affrancarsi da tali pastoie e di volere liberare perfino le parole dall’oppressione delle convenzioni? A seconda del periodo storico e del luogo, si può finire sul rogo o sparire misteriosamente nel nulla, oppure si può venire prima etichettati come reietti per poi essere gettati nel pozzo profondissimo dell’oblio. Una morte senza spargimento di sangue certo, una morte in vita, ma proprio per questo ancora più terribile. Specialmente se chi viene ridotto al silenzio, abbandona tutto ciò che ha e si riduce perfino in miseria, per dedicarsi unicamente alle parole, alla scrittura. Parlare senza che nessuno ascolti, con il dito dello scherno puntato sempre addosso o la compassione di chi si crede superiore solo perché occupa un posto di prestigio in società, diventare invisibili, questa è la punizione per chi trasgredisce, questo il destino riservato ad una delle più grandi scrittrici italiane del Novecento, Goliarda Sapienza.
Si muore per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere. (E so che quando sarà per me, sarà giusto e utile, per me e per le persone che, amando, ho necessariamente oppresso). Hai ragione Ivanoe, non bisogna temere la morte, ma il delitto che c’è in natura, e che uccide a tradimento, prematuramente.
(Goliarda Sapienza, Lettera aperta)
Ma per essere davvero liberi, soprattutto per le donne, è necessario eliminare drasticamente gli stereotipi che relegano all’interno di ruoli prestabiliti che impediscono un’esistenza “reale” e bisogna lasciare dietro di sé gli strascichi di obbedienza che l’universo maschile ha confezionato abilmente in millenni di predominio. Per farlo diventa inevitabile ricorrere ad azioni estreme, anticonformiste, trasgressive e dunque ci si deve aspettare un prezzo altissimo da pagare. Goliarda riesce a vivere integralmente questa libertà attraverso la letteratura, e in particolare grazie a Modesta, la protagonista del suo capolavoro L’arte della gioia. Un libro coraggioso e quindi scomodo, al quale aveva dedicato molti anni della sua vita, senza riuscire però a vederlo pubblicato. Modesta non accetta il destino che le viene imposto e decide di farsene uno su misura eliminando gli ostacoli che nel frattempo le ostruiscono il cammino, per proseguire decisa, senza Dio né padroni. Certo i benpensanti storceranno il naso, ma sotto sotto proveranno invidia per il coraggio che si propaga in ogni pagina, per la forza che ci vuole per esprimere la vera natura che ci anima e che, a furia di tenenerla imbrigliata tra dogmi e regole, finisce con l’incattivire animi potenzialmente bendisposti.
Lei aveva cercato la morte affrontando Mattia quella notte, ormai lo sapeva, e forse solo chi è stato così vicino alla morte può dimenticare e poi rinascere come Modesta giorno per giorno… quella cicatrice che divide la fronte sta ora a dimostrare la saldatura del suo essere prima diviso. Rinasce Modesta partorita dal suo corpo, sradicata da quella di prima che tutto voleva e il dubbio di sé e degli altri non sapeva sostenere. Rinasce nella coscienza d’essere sola.
(Goliarda Sapienza, L’arte della gioia)
La sua colpa più grande è stata dunque quella di dire sempre la verità, trasformandosi in personaggio molesto per gli ottusi e pericoloso per i furbi, sì perché per dire la verità ci si deve innanzitutto denudare e poi esaminare gli abiti tolti, uno ad uno, per guardarli e soprattutto per vederli per quello che sono, ovvero il frutto di secoli e secoli di sovrastrutture culturali e religiose che nulla hanno a che fare con le reali esigenze dell’individuo. Scontrarsi con le ingiustizie sociali e con le credenze religiose dei più, non può portare a nulla di buono e l’eroe, si sa, combatte sempre una guerra solitaria, perché il primo nemico da sconfiggere è quello che gli abita dentro. Soltanto dopo un percorso che porti alla conoscenza di sé, un percorso che passa attraverso le tante spirali del dolore, della sofferenza che incide tacche indelebili nella carne e nello spirito, egli potrà avere consapevolezza di ciò che lo circonda e quindi combatterlo o accoglierlo.
Il bambino è il primo operaio sfruttato, dipende dai grandi e sempre per un tozzo di pane, si abbassa a “divertire”, leccare le mani dei padroni, si lascia accarezzare anche quando non ne ha voglia: così comincia la prostituzione: si lascia sbaciucchiare dagli amici e le amiche, con barbe puzzolenti e rossetti nauseanti, parla con le “vocette” che piacciono tanto alla mammina, esce dalla stanza con “mossette” tanto “aggraziate”. E così anch’io, sbattuta fra tutte quelle mani, come probabilmente lo siete stati voi, conobbi la prostituzione di cantare quando loro volevano, di imitare l’avvocato amico di mio padre, di far finta che loro mi amavano e non pensavano che a me. Di piangere, dato che piangevo spesso: di piangere qualche volta anche se non ne avevo voglia, perché loro orgogliosi, davanti agli amici dell’università: “Non ci credi? È di una sensibilità straordinaria, sta’ a vedere” e Arminio iniziava a suonare il pianoforte e Ivanoe a cantare fissandomi: Mamma mormora la bambina… “Vedi, vedi come piange?” Piangevo infatti per non perdere il pane, il favore di quei grandi capricciosi e potenti.
(Goliarda Sapienza, Lettera aperta)
Quanto veniamo influenzati dalle convenzioni? Fino a che punto siamo sottomessi? Ci sono norme che sono talmente radicate in noi che neanche ci rendiamo conto di “subirle” quotidianamente. E quanto ci costa sbarazzarcene? Ammesso che lo si possa fare del tutto, perché come si può conquistare la libertà se la prima lezione che il bambino impara è proprio quella sulla menzogna inevitabile? Sul fatto che devi dire e fare quello che gli altri si aspettano da te per essere riconosciuto come individuo, come parte di un tutto, di una società pronta a fagocitarti? È così che si cade nella spirale che impone l’uso continuo di una maschera, che ci stringe in una morsa soffocante, e pur sapendo di essere tanto altro, la maggior parte di noi, pur di farsi accettare dagli altri, finisce per trincerarsi dietro il proprio ruolo, vivendo da prigioniero, cieco e malcontento, per tutta la vita.
A Roma con la borsa di studio fra le mani, che mi dava la prova tangibile che ero diventata grande, senza capire che quei soldi erano il prezzo che paga la società per prepararci a passare dalla parte dei guardiani del campo, entrai nel compromesso, mi rattrappii nel servaggio di avere successo ai loro occhi, di piacere. Credevo alla loro serietà e alla mia, e per vent’anni rimasi anchilosata a servirli a dire parole ambigue. A fare finta di non avere paura e a non dormire per paura dei loro atti, delle loro decisioni che, come se le capissi e approvassi incondizionatamente (come giuste e ragionevoli), mentre l’antico terrore annidato nel mio sangue ancora bambino gridava la notte svegliandomi. Riuscii a farlo tacere, ad imporgli la mia volontà di adulta: e cominciò una lotta di vent’anni fra questo bambino e il grande conformista nascosto nelle mie vene, nel mio intestino, riducendomi a una agonia che mi invadeva piano piano le gambe, le mani, i pensieri, spingendomi alla morte vera, in clinica. Là mi svegliai cadavere con quei due dentro di me che ancora lottavano e non riuscivano a mettersi d’accordo. Davanti a tanta lotta cominciai a dubitare di me, degli altri. Pensai di dover fare un po’ d’ordine, lavarmi la faccia, soffiarmi il naso, rovesciare il cassetto, mentendo o no.
(Goliarda Sapienza, Lettera aperta)
r.m. ha detto:
testo da non perdere direi..
icittadiniprimaditutto ha detto:
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
fattorina1 ha detto:
Mi pare che sia un libro non banale nè effusivamente sentimentale. Interesante e forse coraggioso..Lo cercherò.
Narda
Villa Dominica Balbinot ha detto:
posto in evidenza un atteggiamento controcorrente e dalle conseguenze potenzialmente pericolose, una consapevolezza coraggiosa, ammirevole
margherita ealla ha detto:
il passaggio sulle parole che mentono (“Mentiva la parola amore esattamente come la parola morte. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte[…]”) e che quindi occorre studiare, sezionare,togliervi la muffa,ecc.., è veramente interessante (e illustrativo anche dell’autrice), ma soprattutto mi ha colpito quello sul “bambino”, lo trovo profondo, vero, rivelatore-
Grazie della segnalazione e delle attente note di Maria D’Ambria.
cristina bove ha detto:
Ringrazio Maria D’Ambra per avermi dato il permesso di pubblicare questo sua nota critica, davvero eccezionale e di avermi fatto conoscere questa immensa scrittrice, misconosciuta dall’intellighentia italiana.
In Francia ha ottenuto quel doveroso riconoscimento che le fu negato. Adesso però si sono decisi a pubblicarla anche da noi.
Forse una delle più grandi scrittrici del novecento: ma ha osato scoperchiare troppi altarini, indicare la menzogna e l’inganno, talmente ben celati che bisogna avere polmoni d’acciaio per resistere all’asfissia del soffocamento.
“Scontrarsi con le ingiustizie sociali e con le credenze religiose dei più, non può portare a nulla di buono e l’eroe, si sa, combatte sempre una guerra solitaria, perché il primo nemico da sconfiggere è quello che gli abita dentro. Soltanto dopo un percorso che porti alla conoscenza di sé, un percorso che passa attraverso le tante spirali del dolore, della sofferenza che incide tacche indelebili nella carne e nello spirito, egli potrà avere consapevolezza di ciò che lo circonda e quindi combatterlo o accoglierlo.”
Un caro saluto a Maria
e a tutti voi
cb
maria d'ambra ha detto:
Ringrazio tutti per l’attenzione, con la speranza che i libri di Goliarda Sapienza possano finalmente avere il riconoscimento che meritano… del resto il destino di chi precorre i tempi è sempre stato quello di un oblio forzato, per quanto si sollevi la voce non si viene ascoltati, e questo è infatti accaduto a Goliarda e alla sua opera, che (dopo tanto inutile patimento da parte dell’autrice) soltanto in questi ultimi anni è stata riscoperta e valorizzata.
maria d'ambra ha detto:
Cristina, sono io che ti ringrazio per avere voluto pubblicare qui il mio articolo e per le parole con le quali lo hai accompagnato. Un abbraccio affettuoso.
marinaraccanelli ha detto:
il più grande nemico è dentro di noi, siamo noi stessi quando abbiamo paura di dire le parole che veramente pensiamo
Fiammetta Giugni ha detto:
Ho letto l’anno scorso L’arte della gioia. Ho comperato il libro a scatola chiusa (non lo faccio mai!), affascinata dal nome dell’autrice. Non mi sono per nulla pentita, anzi!
L’ho consigliato a diverse persone e prestato (infatti adesso non è più nella mia biblioteca…) e tutte lo hanno apprezzato. E’ veramente un’autrice da diffondere. Personalmente sono molto in sintonia con “il percorso che porta alla conoscenza di sé”, è l’unica strada per poter guardare il mondo.
Grazie per la segnalazione della sua Lettera aperta.
Un saluto affettuoso a tutte le lettrici di Goliarda
Fiammetta
gisygisy ha detto:
Goliarda Sapienza
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Goliarda Sapienza (Catania, 10 maggio 1924 – Gaeta, 30 agosto 1996) è stata un’attrice teatrale, attrice cinematografica e scrittrice italiana.
Indice
1 Biografia
1.1 Cinema
1.2 Letteratura
2 Opere
3 Filmografia
4 Prosa televisiva RAI
5 Bibliografia
6 Collegamenti esterni
Biografia
« Sicuramente voi che leggete state pensando che la mia conquista comportava di necessità qualcosa di molto sgradevole: dormire con un essere menomato, se non mostruoso molto brutto. Il fatto è che voi la leggete questa storia, e mi anticipate, mentre io la vivo, la vivo ancora. »
(L’arte della gioia)
Figlia di Giuseppe Sapienza e Maria Giudice (sua madre è stata la prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino), Goliarda crebbe, per volere dei genitori, in un clima di assoluta libertà da vincoli sociali: il padre ritenne opportuno non farle nemmeno frequentare la scuola, per evitare che la figlia fosse soggetta a imposizioni e influenze fasciste.
Cinema
A sedici anni si iscrisse all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, dove si era trasferita nel frattempo la sua famiglia. Per un periodo intraprese anche la carriera di attrice teatrale, distinguendosi in ruoli di protagoniste pirandelliane. Lavorò saltuariamente anche nel cinema, spinta inizialmente da Alessandro Blasetti ma in seguito si limitò a piccole apparizioni da figurante, spesso non accreditate, come in Senso di Luchino Visconti. Si legò sentimentalmente al regista Citto Maselli, ma sposò poi, anni dopo, lo scrittore e attore Angelo Maria Pellegrino.
Negli ultimi anni della sua vita fu docente di recitazione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Letteratura
Lasciò la carriera di attrice per dedicarsi alla scrittura. Il suo primo romanzo fu Lettera aperta (1967), che raccontava l’infanzia catanese, seguito da Il filo di mezzogiorno (1969) resoconto della terapia psicanalitica con il medico messinese Ignazio Majore.
Nel 1980 finì tuttavia in carcere, per un furto di oggetti in casa di amiche. Sempre in carcere, ma anche successivamente, continuò l’opera di scrittrice pubblicando però molto poco, fatta eccezione per alcune sue opere come L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, pubblicato grazie all’incontro con il conterraneo poeta ed editore Beppe Costa, che si batté a lungo per lei: tentò senza successo di farle assegnare il vitalizio della Legge Bacchelli, né riuscì a ottenere la ristampa delle sue opere. Sapienza riuscì comunque a pubblicare, con la sua casa editrice Pellicanolibri, Le certezze del dubbio, 1987, e fu premiata successivamente in occasione del Premio Casalotti 1994.
Il suo romanzo L’arte della gioia rimase a lungo inedito. Rifiutato dalle più importanti case editrici italiane, fu più tardi pubblicato postumo da Stampa Alternativa, dapprima in un’edizione non integrale (1998) e poi integralmente (2003). Ripubblicato da Einaudi nel 2008, ebbe successo di critica e di pubblico. Einaudi sta ora pubblicando anche l’opera inedita dell’autrice. Sono già usciti postumi il romanzo Io, Jean Gabin (2010) e una selezione di pensieri tratti dai diari della scrittrice, raccolti nel volume Il vizio di parlare a me stessa (2011).
Opere
Lettera aperta, Garzanti (1967); Sellerio (1997)
Il filo di mezzogiorno, Garzanti (1969); La Tartaruga (2003)
L’Università di Rebibbia, Rizzoli (1983 e 2006); Einaudi (2012)
Le certezze del dubbio, Pellicanolibri (1987); Rizzoli (2007)
L’arte della gioia, Stampa Alternativa (1998) (postumo); Einaudi (2008)
Destino coatto, Empiria (2002; Einaudi (2011)
Io, Jean Gabin, Einaudi (2010) (postumo)
L’isola dei fratelli, testo teatrale inedito
Appuntamento a Positano, romanzo inedito
Il vizio di parlare a me stessa, Einaudi (2011) (postumo)
restano ancora da catalogare circa 500 poesie (raccolte in parte della silloge Ancestrale)
Filmografia
Un giorno nella vita, regia di Alessandro Blasetti (1946)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
Senso, regia di Luchino Visconti (1954)
Ulisse, regia di Mario Camerini (1955)
Persiane chiuse, regia di Luigi Comencini (1950)
Altri tempi , regia di Alessandro Blasetti (1951)
Gli sbandati, regia di Francesco Maselli (1955)
Lettera aperta a un giornale della sera , regia di Francesco Maselli (1970)
Dialogo di Roma, regia di Marguerite Duras (1983)
gisygisy ha detto:
Mi è sembrato utile inserire qualche nota biografica…grazie della bella presentazione:-)
Gisella
maria d'ambra ha detto:
Per ulteriori informazioni, oltre alla nota inserita da Gisella, si può accedere al sito dell’enciclopedia delle donne. La pagina su Goliarda Sapienza è stata scritta da Giovanna Providenti autrice della biografia della scrittrice dal titolo “La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza”, ecco il link:
http://www.enciclopediadelledonne.it/index.php?azione=pagina&id=108
Ancora grazie a tutti.
Maria
Sara Ferraglia ha detto:
Di Goliarda Sapienza conoscevo solamente L’arte della gioia.
In questa presentazione di “Lettera aperta”, in particolare il brano “Il bambino è il primo operaio sfruttato” rende bene la forza della sua scrittura, la sua capacità di sconvolgere e scuotere nel nome della libertà.
Sara