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figli

 

Vincenzo D’Alessio
FIGLI
(Pref. Emilia Dente)
Ed. G. C. “F. Guarini”
Montoro Inferiore (AV)
2009

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Lascia che la terra dove dormono
anime sincere nella notte

apra le porte all’amore
al futuro della sincerità

(Vincenzo D’Alessio)

E’ uno sguardo sul futuro e sulle nuove generazioni ciò che ci regala Vincenzo D’Alessio con questa nuova raccolta poetica dal titolo “Figli”. Il poeta irpino, interprete appassionato delle problematiche politiche e sociali del Sud, inizia la sua attività letteraria nel  1975 con la raccolta La valigia del meridionale. Farà seguito a questo felice esordio, una fitta e appassionata produzione letteraria, di cui cito brevemente solo qualche titolo Un caso del sud (1976), Costa d’Amalfi (1995), La mia terra (1996), Versi di lotta e di passione (2006), I padri della terra (2008). E bastano questi brevi accenni, per leggervi dentro le tracce e il filo conduttore (comune) delle origini e delle radici.
Accanto alla lotta e alla denuncia per i soprusi, le mancanze, gli oltraggi subiti, convivono in questi versi la solidità della memoria e dell’identità, l’impotenza e lo sconforto, la passione e la bellezza. Una poesia civile quella di D’Alessio che pulsa al centro, contro un’arretratezza storica mai sanata, il malgoverno, le carenze infrastrutturali, i ritardi, l’emigrazione, lo sfruttamento selvaggio del territorio, il dilagare della malavita organizzata.

Sud che mi urli dentro e
mi disperi non voglio più saperne
delle belve assetate di potere
animali senza regole contro
uomini inermi (p.13)

e ancora:

Che gridi tra queste montagne
falco pellegrino qui non c’è
più vita: grani di tormento (p.24).

Eppure quella stessa terra amara che invecchia, è la terra conosciuta e benedetta di cui D’Alessio, prima come uomo, poi come poeta, conosce e sa i ripidi corsi che giungono fino al mare, i vicoli, i fossi, le strade dell’amore, i cuori che hanno formato menti, il cammino dei padri e dei migranti mai tornati:

Benedetta terra
verde di ogni bene forte ad
ogni sofferenza terra che
la politica uccide negli occhi
della mente (p.30)

Si tratta di emergenze vecchie e nuove che pongono il poeta di fronte a un ancoraggio, quasi una resa dei conti: da I padri della terra lo sguardo si sposta sul futuro delle nuove generazioni, i figli, quelli che vanno e  quelli che restano.  Perché a volte i figli vanno senza più ritorno…
Ecco che questa silloge diventa allora  una preghiera e un’invocazione di accoglimento alla terra-madre oltraggiata e svenduta, ma pur sempre benedetta, così come benedetta è ogni sofferenza, ogni  lacrima di dolore e di sudore che un  padre lascia germogliare nella zolla, perchè è lì che “verranno i figli nel tempo del perdono/ a cercare  gli avi (p.20). Il poeta con voce corale, che si dispiega tra passione e amarezza, speranza e delusione, sembra ricordarci che la memoria e gli affetti per una comunità non hanno prezzo; un popolo che ignora il proprio passato, diceva infatti Idro Montanelli, non saprà mai nulla del proprio presente…  né del proprio futuro.

Maria Pina Ciancio

(dalla raccolta Figli, una poesia)

La mia parte d’America

la porto in sogno negli

occhi chiari di mia nonna

varcò l’oceano settanta giorni

in mare non finivano mai

La mia parte di Camel

l’ho fumata a pochi anni

sotto il letto dei nonni

C’è stato un tempo che

Parlavamo d’America tra

Stracci neri accanto al focolare

Mia nonna sorrideva incerta

La guardavo il sogno infranto

Nella vecchia casa

(p.36)