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Nel 1956 Solomon Asch condusse un esperimento atto a individuare in quali condizioni e perché gli individui cedono alla pressione del gruppo e fanno delle affermazioni contrarie alla loro esperienza percettiva.
Già prima di Asch, Moore (1921) aveva condotto delle ricerche che mostravano come persone che dovevano esprimere delle valutazioni in campo linguistico, etico, musicale erano significativamente influenzate da opinioni presentate loro come il parere della maggioranza o quello che pensano gli esperti.
Un’altra indagine interessante fu condotta da Sherif (1936): egli presentò a un gruppo di persone diversi brani, tutti tratti dalle opere di Robert L. Stevenson attribuendoli falsamente ad autori di diverso valore e notorietà. Chiese poi a quelle persone di metterli in ordine di preferenza secondo il proprio gusto. Il risultato fu che la classifica dei brani seguiva la classifica della notorietà e della stima attribuita agli autori putativi.

Nell’esperimento condotto da Asch per ciascun individuo, che era il vero soggetto di studio, venivano mobilitate da 7 a 9 persone istruite dallo sperimentatore a comportarsi in modo prefissato. Essi avevano più o meno la stessa età del vero soggetto e venivano presentati come altri studenti che si sottoponevano allo stesso esperimento.
Lo sperimentatore annunciava al gruppo che si sarebbero effettuate delle prove di discriminazione visiva e mostrava due cartoni bianchi: su uno era incollata una striscia nera, sull’altro tre strisce nere di lunghezza diversa, una delle quali era di lunghezza uguale alla prima (le linee sperimentali sono riportate nell’immagine).

Ad ogni gruppo venivano date le seguenti istruzioni: “si tratta di una prova che richiede di discriminare la lunghezza di linee. Vedete di fronte a voi due cartoni bianchi. Su quello di sinistra vi è una sola linea; su quello di destra vi sono tre linee di diversa lunghezza, che portano i numeri d’ordine 1,2 e 3. Una delle linee di destra è uguale alla linea campione di sinistra: voi dovete decidere ogni volta qual’è la linea uguale. Inizierò dalla persona seduta a destra e proseguirò nell’ordine della fila verso sinistra”(ogni gruppo sperimentale era costituito da un massimo di 9 persone di cui solo una, il vero soggetto ignaro dell’esperimento, veniva sempre posto a sedere all’estremità sinistra della fila).
Il compito percettivo era della massima facilità perché le differenze da discriminare erano notevoli. Inizialmente i collaboratori di Asch diedero delle risposte esatte così come faceva spontaneamente anche il soggetto. A partire però dalla terza prova, i collaboratori unanimi cominciarono a indicare come linea uguale a quella standard una che non lo era affatto, anzi che era vistosamente diversa. Come si può immaginare in questa situazione il soggetto sperimentale si ritrovò in una situazione psicologicamente pesante. Da una parte, il confronto fra le linee sembrava molto facile e si vedeva senza ombra di dubbio quale linea era uguale alla linea di confronto; dall’altra parte, tutti gli altri sembravano pensarla diversamente. Così, quando veniva il proprio turno, il soggetto che doveva esprimere il proprio parere, quando tutti quelli che lo avevano preceduto avevano risposto in maniera uniforme e sbagliata, si trovava di fronte ad una scelta cruciale. Dire quello che vedeva e riteneva giusto mostrandosi in disaccordo con il gruppo, oppure dare la stessa risposta degli altri? In altre parole cedere alle pressioni del gruppo, pur avendo delle informazioni percettive chiarissime sotto agli occhi?
Sul totale delle risposte date dai soggetti il 33,2% si allinearono con quella sbagliata che era stata data dal gruppo. Nell’insieme 25 persone su 31 cedettero almeno una volta alla pressione del gruppo dichiarando di vedere e valutare le linee in modo diverso da quello che pensavano effettivamente.
Risultati ancora più interessanti sono quelli relativi al comportamento di queste persone di fronte al dilemma. La maggior parte dei soggetti colloca la causa del disaccordo non negli altri ma in se stessi e, in generale, le persone cominciano a dubitare delle loro facoltà percettive. Mano a mano che gli altri davano i loro giudizi, diminuiva nel soggetto che si sentiva diverso dagli altri la fiducia in se stesso e nelle proprie capacità di vedere giusto.
In un altro esperimento di Asch invece l’unico collaboratore dello sperimentatore aveva il compito di dare sempre la risposta sbagliata dopo che i veri soggetti, che  erano la maggioranza, avevano dato la facile risposta giusta. Cos’è successo a questa persona che poteva avere mille ragioni per vederla e pensarla in modo diverso dagli altri? I soggetti dell’esperimento lo hanno sbeffeggiato e, non mettendo i dubbio la sua buona fede, lo hanno crudelmente trattato da stupido.

Ho riportato questa serie di esperimenti perché, dimostrando il ruolo coercitivo della maggioranza sul singolo, si possono spiegare sia i fenomeni di creazione dei regimi totalitari (anche se la loro formazione è legata storicamente a più fattori e sarebbe riduttivo liquidarla così superficialmente)* sia l’omologazione di pensiero attorno a una linea mediana. Fenomeno che ci interessa ogni giorno anche nel campo dell’arte dove un’opera tendenzialmente considerata pessima difficilmente verrà affrancata mentre un lavoro storicamente iper valutato difficilmente incontrerà una nuova analisi critica in dissonanza con anni, talvolta secoli di plausi.

*E’ interessante osservare il fenomeno di creazione di un gruppo con la conseguente emarginazione, anche violenta, di chi non ne fa parte nel film “L’onda” (Dennis Gansel, Germania, 2008).