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controreazioni, dramma degli esclusi, gregorio sorgonà, Il Vangelo secondo Matteo, messaggio evangelico, Paul Sweezy, pier paolo pasolini, profeta, religione, spazio scenico
Regia: Pier Paolo Pasolini
Interpreti: Enrique Irazoqui, Margherita Caruso, Susanna Pasolini, Marcello Morante, Giorgio Agamben, Mario Socrate, Settimio Di Porto, Otello Sestili, Ferruccio Nuzzo, Giacomo Morante, Ninetto Davoli, Paola Tedesco
Paese: Italia 1964
Presentato al Festival di Venezia del 1964 e vincitore del Premio speciale della giuria, “Il Vangelo secondo Matteo” riproduce fedelmente la narrazione “sinottica” della vita di Cristo attraverso la testimonianza maggiormente intrisa di venature politiche. Da un Vangelo politico un film altrettanto politico, centrato sulla predicazione “umana” di un Messia dai tratti rivoluzionari ma niente affatto riducibile a una riproposizione strumentalizzata a uso del presente del testo sacro.
La trasposizione di Pasolini è estremamente fedele e nella sua fedeltà non risparmia nemmeno le contraddizioni presenti nel Vangelo, quali quella contrapposizione tra un Dio del perdono e un Dio vendicativo che si accentua proporzionalmente alla politicità – ovvero all’umanizzazione – del Cristo che minaccia inferni di fuoco a chi non lo seguirà. Al tempo stesso la fedeltà al testo non solo non impedisce di guardare al presente ma, nella sua pretesa di universalità, racchiude quel presente in una prospettiva epocale segnata da una contrapposizione tra oppressi e oppressori che, proprio nella figura messianica, trova l’identificazione attiva e militante del primo elemento contro il secondo. La presa di posizione politica dalla parte della povertà coincide con una presa di posizione stilistica del regista che riproduce l’essenzialità del messaggio evangelico attraverso lo spazio scenico in cui viene rappresentata la sua vicenda drammatica.
Il Cristo di Pasolini viene dal mondo degli esclusi. Sarebbe facile richiamare il parallelo tra questa figura e quell’emersione del Terzo Mondo che negli stessi anni si imponeva attraverso il processo di decolonizzazione. Tuttavia la condizione di “esclusi” non va in questo caso radicalmente contestualizzata, come del resto tutto in questo film, poiché è della memoria collettiva dei “senza ricordo” che il regista e scrittore friulano si fa portavoce. L’espressione del silenzio è, in questo caso, il primo modo in cui appare Cristo e il mondo di cui si fa portavoce. Non primariamente nelle parole, quanto nei visi, traspare la poetica pasoliniana. I visi sono consumati, storici anch’essi nel senso in cui la storicità coincide con l’eternità. Sono visi di lavoratori che preludono a un Cristo che non si è fermato ad Eboli per il semplice fatto che dentro Eboli e ovunque nel mondo esso è nato. Nei volti di questo passato traspare l’immagine di un’Italia contadina crepuscolare che, come un uomo crocifisso, mostra sé stessa al martirio, ma si dà a vedere soprattutto una condizione universale di sfruttamento tale da accomunare gli uomini oltre le nazioni. All’interno di questo mondo statico irrompe la gioventù messianica con la sua carica rivoluzionaria. Il Cristo di Pasolini ha del rivoluzionario il ruolo avanguardista, contrapposto alla menzogna istituzionalizzata del potere. Ancora immatura, conseguentemente, la figura delle masse che attendono un profeta, ma di per sé non riescono a rappresentare una coscienza che non sia “condotta” dall’esterno. La polarità resta conseguentemente doppia: bene-male, verità-falsità, nuovo ordine-potere costituito.
Il potere costituito si presenta con il viso di Erode e attraverso la figura del genocidio. Il potere è dittatura, controllo della parola e annichilimento di ogni possibile opposizione: la strage degli innocenti, nella dimensione universale del messaggio, vale per ogni innocente, vale per gli ebrei gasati e per i libri mandati al rogo. Il potere è intollerante di ogni verità che non sia la sua falsità, preferisce ucciderla nella culla oppure corromperla, come tenta di fare la seconda figura del potere: il Satana del deserto. Satana non è lo shaitan della cultura desertica, è un satana metropolitano, indossa un mantello e promette possesso, potere al prezzo di un patto che è la perdita della propria libertà. Il rifiuto del Messia è l’inversione di senso più radicale che irride la mondanità orfana di limiti di un satanico espanso al punto da cercare nuovi spazi anche al di fuori della città degli uomini. Questo Satana ha molto della modernità corrotta che Pasolini duramente stigmatizzò nelle sue pagine scritte, sebbene sarebbe superficiale leggere il messaggio in termini divisi tra l’apocalitticità del presente e la nostalgia del passato. Pasolini non era questo, così purtroppo lo vogliono descrivere, perché è facile, troppo facile, fare parlare i morti con i vivi a fare da ventriloqui.
Il Messia di Pasolini non è un profeta “disarmato” o privo di speranza, la sua è una norma attiva. Il motto suona “Fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi”, la sua riproduzione perde la connotazione negativa del “Non fare agli altri ciò che vorresti non fosse fatto a te”. L’amore come passione attiva è la forza pensata per cambiare il mondo attraverso la superiorità del vero sull’artificioso. Artificioso è il palazzo del re e il tempio del sacerdote, vero il rapporto con ciò che è libero dalla convenzione e dall’inganno circolare di un potere nato per difendere la propria riproduzione. Se Cristo vive dentro il tempo, dentro il tempio si vive fuori dalla storia, la si annega nella conservazione di un presente la cui assolutizzazione è il centro di ogni peccato. La città degli uomini, difesa da mura tetragone, che Cristo attraversa per vedersele restringere attorno alle mani sotto forma di chiodi e di croce, costituisce il consolidamento di questa conservazione e rappresenta la parte finale del dramma. Ogni stabilità sociale, nel Messia che entra in città, viene meno, la sua radicalità rivoluzionaria si sviluppa secondo logiche conseguenze ed abbatte tutte le mura del particolarismo: abbatte il concetto di famiglia genetica e quello di osservanza dell’ordine istituzionale, abbatte il focolare e il tempio insieme, rivendicando il superamento del particolarismo in una comunità di senso più ampia. Abbatte la sacralità del denaro, rivendicando per un Dio che è carne dei viventi la centralità usurpata dal denaro di Cesare. Questo Cristo, tranne che per aspetti marginali, non conosce contraddizioni e lo svolgimento della sua vita è lineare: nasce per morire, ovvero per essere ammazzato.
La libertà e la verità non coincidono necessariamente con la felicità, quanto semmai con la condizione che la rende possibile. Il poeta nella figura di profeta viene ucciso non solo dall’istituzione ma dalla stessa folla a cui si è donato. In una disperata e dannata profezia del poetare un’amara legge scolpita nel legno della croce isola chi ama nel senso più grande del termine e lo uccide. Che ciò avvenga sul Monte Calvario o sotto la violenza squadrista a Ostia, in fin dei conti la differenza è davvero minima. Presiede al meccanismo della mutilazione l’assoluta assenza di pietà del potere, anch’esso logico nel seguire le proprie passioni tristi al punto da calcolare ogni atto della sua violenza e del suo inganno. Eppure l’assenza di compromesso appartiene a Cristo, non ai suoi discepoli che già con Pietro sperimentano la contraddizione di chi, per paura, nega la verità più evidente e rinnega sé stesso al fine di sopravvivere. Contraddizione che salva la vita ma cede alla paura, che della vita, questo l’insegnamento più brillante del Messia, è l’assoluta nemica. Non è certo la Chiesa, l’istituzione conservata, il recettore possibile del messaggio rivoluzionario. Il Cristo di Pasolini risorge altrove dalle immagini che gli dedicano i nuovi costruttori di templi. Per sapere dove, basta non chiedere ma vivere come se non fosse necessaria l’assurdità cui quotidianamente ci costringiamo: che l’uomo viva facendo dell’altro uomo un proprio mezzo.
A Pier Paolo Pasolini, sommessamente, con affetto, da compagno a compagno.
Gregorio Sorgonà
L’articolo è rintracciabile qui, nel sito Controreazioni di cui ci avvaliamo,attraverso i responsabili, della cortese collaborazione
Blumy ha detto:
brava ferni: il Gesù di Pasolini è in assoluto il più bello che ho visto, sia in tv che al cinema. si tratta di tanti anni fa, ma ho un ricordo nitido di un Cristo non biondo con gli occhi azzurri, come non poteva essere essendo ebreo; un Cristo dolce e umano, con tutte le debolezze e le nevrosi dell’uomo. indimenticabile.
Subhaga Gaetano Failla ha detto:
Cara Fernirosso,
“Il Vangelo secondo Matteo” è uno dei film che più amo, tra tutti i film, di qualsiasi regista, da me visti. Di Pasolini amo anche in particolar modo il meraviglioso “Che cosa sono le nuvole?”. Da quando “Il Vangelo secondo Matteo” è apparso sugli schermi, l’avrò visto, negli anni, forse una diecina di volte. La sua visione è stata per me una occasione ripetuta di rinnovamento spirituale. Un Cristo mediterraneo, qual egli era, fatto anche di carne e sangue, un Cristo pieno di fuoco come può esserlo un uomo di trent’anni ricco di vera vita, giunto alla sua suprema liberazione.
Non mi ha appassionato l’articolo di Sweezy, l’ho trovato superficiale e un po’ stereotipato, seppur nel suo tentativo di essere controcorrente. Ma il discorso si farebbe davvero lungo.
Un abbraccio e grazie davvero per l’interessantissima proposta (insieme alla splendida foto a commento),
Gaetano
paolarenzetti ha detto:
Bello l’articolo: restituisce l’immagine di Gesù che oggi non va per la maggiore.
Pasolini non ricorre al sensazionale e presenta la persona di Gesù nel suo contesto, portatrice di un messaggio che sovverte le categorie del tempo e insieme di portata universale, attuale e stridente.
controreazioni ha detto:
Una lettura stereotipata presuppone, ovviamente uno stereotipo. Vorrei quindi sapere a quale stereotipo mi associ, anche per “difendermi” da un’accusa di banalità che non penso di meritare. Banalità per banalità, penso sia banale arrestarsi di fronte ai “discorsi lunghi”, così come è banale esprimere giudizi senza argomentarli. Soprattutto non ho mai fatto “dell’essere controcorrente” una ragione di vita o una ragione estetica nella scrittura delle mie riflessioni. Sarò comunque felice di rispondere alle tue argomentazioni quando le proporrai.
Grazie Fernanda per lo spazio che mi hai concesso, vorrei muoverti solo un piccolo appunto, che in fin dei conti non è nemmeno tale. Anche se mi firmo Paul Sweezy su controreazioni, mi piacerebbe che l’articolo fosse firmato con il mo nome reale, Sorgonà Gregorio.
fernirosso ha detto:
Per chi non avesse inteso:l’articolo non l’ho scritto io,ma Paul Sweeze, una persona che ritengo dotata di un’ampia capacità di lettura e analisi profonde il cui nome al secolo è appunto Gregorio Sorgonà. Mi dispiace Gregorio.Rimedio subito e scrivo il tuo nome, ho usato l’altro per non creare confusione tra il nome che appare in controreazioni e qui. Quanto alla lettura ritengo che quanto ha proposto Gregorio, che ho scelto proprio per la qualità delle osservazioni, e per la posizione da cui osserva non solo l’opera ma un intero percorso, sociale, politico,non solo religioso, non soffra di stereotipia alcuna. Se a qualcuno interessa approfondire altre direzioni di indagine, allora esprima con chiarezza cosa e come vede e legge nel film, partendo dai chiari riferimenti di Gregorio o aggiungendo i propri, non facendo riferimento solo alla pelle-pellicola di una pizza cinematografica.Trovo sia interessante allargare il discorso e non lasciarlo cadere. Quale altra sede se non questa di un incontro e non solo di abbracci e saluti.Che dici Failla? Ringrazio ancora una volta Gregorio Sorgonà per avere offerto una lettura attenta e partecipata di una delle opere fondamentali, a mio avviso, di Pasolini e ringrazio Gaetano che spero e penso interverrà ancora,come di solito fa, puntualizzando le sue posizioni.
Ringrazio anche gli altri lettori che hanno lasciato il segno della loro lettura.ferni
controreazioni ha detto:
Prima o poi ce la faremo, il nome è Gregorio non Gaetano ^_^
Chissà come sarebbe stata la mia vita se mi fossi chiamato Gaetano.
Ti ringrazio per quello che dici Fernanda. Concordo molto con quanto ha detto Paola Renzetti. Vorrei aggiungere che, proprio perchè siamo interni a degli spazi di discussione, bisognerebbe esplicitare le proprie riflessioni. Altrimenti si rischierebbe il mutismo. A Gaetano Failla consiglio, ad esempio, un passaggio sui commenti al pezzo di Pasolini nel sito mio e di Chiara. Le riflessioni di più persone hanno dato vita a una discussione che ritengo interessante e a cui vi invito a partecipare. Oltre ovviamente a invitarvi a continuare a scrivere e riflettere sulle pagine di vdbd. A presto. Gregorio ^_^.
fernirosso ha detto:
MI sono messa ai ferri …perchè ho scritto Gregorio nella risposta e poi,pensando a Gaetano ho scritto il suo nome in testata. Ancora perdono.Ho già corretto.Grazie della pazienza GREGORIO,oggi è una giornata così. ferni
controreazioni ha detto:
hehe, figurati. ^_^
Subhaga Gaetano Failla ha detto:
Caro Gregorio,
mi dispiace davvero se le mie parole di rapida critica ti abbiano creato fastidio. E poi, figurati, credevo di riferirmi a un vecchio articolo del Paul Sweezy studioso marxista (morto pochi anni fa, apprendo ora da Google)…
Provo a precisare: il tuo articolo propone, a mio parere, enfatizzando forse le intenzioni di Pasolini, una querelle già consunta sulla figura del Cristo storico. E qui sta, secondo me, lo stereotipo, in quanto modello ricorrente d’un discorso. Almeno vent’anni di onesta critica marxista (e non solo) hanno cercato di dire, tra i tanti aspetti che tu tratti, riferendoti al film, quel che giustamente tu ripeti qui: “Non è certo la Chiesa, l’istituzione conservata, il recettore possibile del messaggio rivoluzionario”. D’accordo, Gregorio, ripetere giova, ma io parlavo dell’articolo di Sweezy che non mi appassionava proprio perchè ho digerito da molto tempo ormai (più di trent’anni) questo tuo discorso (e anche gli altri aspetti che tu tratti, sulle tracce di Pasolini). Dicevo “superficiale” del tuo saggio, perchè per me ormai tale riflessione riguarda la superficie del discorso, già affrontata da più parti in passato (cito un libro, tra i tanti: lo splendido “L’assassinio di Cristo” di W. Reich). Su tale riflessione mi interesa un passo avanti, per me vitale, non solo per la mia sfera intellettuale: riflettere su un Cristo il quale, come tutti i Maestri, ha raggiunto la più alta Liberazione, non solo liberandosi dalla Storia, ma liberandosi perfino da sè stesso. E per me ciò non è quel che nel maxismo viene inteso come idealismo, ma una mia esigenza esistenziale.
Caro Gregorio, dicevo d’un discorso che si faceva lungo perchè lo pensavo davvero, e se ti va di continuarlo puoi chiedere il mio indirizzo e-mail in redazione. E infine, sono certo che il tuo essere controcorrente non sia motivo di vita o ragione estetica per te, e ti ringrazio tanto per il tuo contributo. Un abbraccio affettuoso,
Gaetano
Subhaga Gaetano Failla ha detto:
Cara Fernirosso, ho appena spedito un lungo commento a Gregorio: non è qui però apparso. Ti prego di recuperarlo se puoi. Grazie.
Caro Gregorio,
spero che appaia tra poco il mio precedente lungo commento.
Tanti abbracci,
Gaetano
fernirosso ha detto:
Non era per mano mia che l’articolo non era comparso, la piattaforma di wordpress lo aveva bloccato come spam,non chiedermi il perchè,ora l’ho recuperato e, come vedi, appare in chiaro per la lettura.ferni
Subhaga Gaetano Failla ha detto:
Sì, lo so, Ferni; in questi giorni ho incontrato ripetutamente questa difficoltà a inviare commenti. Grazie ancora,
Gaetano
fernirosso ha detto:
Ti ringrazio Gaetano, sapevo che saresti tornato e non avresti trascurato lo scambio del dialogo.ferni
controreazioni ha detto:
Caro Gaetano,
Tu tratti come decisivo quello che nella mia interpretazione è un aspetto marginale, ovvero la polemica sul ruolo dell’istituzione Chiesa. A dire il vero, l’intento del mio saggio è anche quello di riflettere sulla carnalità del messaggio cristiano, a fronte di una sua paradossale riduzione metafisica che, eliminandone il contatto con la storia del futuro, ha usato cristo come mezzo per veicolare la difesa di un’istituzione e , con essa, di una posizione di potere. Tuttavia, il saggio riflette anche sull’idea di dono e sul suo limite, ovvero sul confine che si pone tra dono e sacrificio. A dire il vero non mi risulta che l’analisi marxista recente, nè tantomeno quella passata, abbia riflettuto sul tema del dono, nonostante avrebbe ragione per farlo. Le riflessioni più interessanti, da questo punto di vista, son venute, se non vado errato, dal neo-aristotelismo. In questa ottica, che non è un ottica solo e soltanto marxista, il Cristo di Pasolini è un invito alla riflessione sul concetto di libertà e di liberazione. Come ho scritto fra l’altro in uno dei miei commenti al pezzo sul sito, la centralità del discorso pasoliniano si basa sull’idea di libertà. Alcune delle riflessioni più interessanti dello scrittore friulano non a caso riguardano il suicidio e il ruolo che questa scelta riveste in una “economia estrema della libertà”.
Non sono d’accordo quando sostieni che il Cristo ha raggiunto la sua più alta liberazione liberandosi di sè stesso, mi sembra un punto critico, dal momento che il Cristo, nella versione estremamente fedele di Pasolini, fino all’ultimo vorrebbe evitare la morte, dal momento che parla in nome della vita.
Ora, non so se questi argomenti sono triti e ritriti, oppure superficiali, ma io sono abituato a valutare l’attualità e la complessità di un argomento anche in base ai tempi che viviamo. Se ho riproposto questo pezzo e se ho posto al suo centro il tema della libertà, almeno questo era il mio intento, ciò dipende da una precisa ricognizione dei nostri tempi in termini in cui, appunto, è l’assenza di libertà a determinare i rapporti umani. Il Pasolini più attuale, che per me resta quello che critica radicalmente la società dei consumi, trova in questo film una delle sue espressioni migliori. E non perchè esso rappresenti un vagheggiato Eden nel passato, ma proprio in base al ruolo che in esso svolge la centralità della scelta radicale.
Sempre in tema di messaggi che non necessariamente perdono di senso anche quando vengono riproposti, vorrei farti notare un gioco sottile. In fin dei conti anche lo stesso Pasolini non fa altro che riproporre un testo antico in modo estremamente fedele. Ciò nonostante l’opera resta originale e non solo in funzione delle “trovate sceniche” del film, ma prevalentemente in funzione della forza della sua parola che resta originale “in grado proporzionale” al contesto in cui viene detta. Lo scandalo e l’originalità della verità sono più forti se più forte è la menzogna circostante, il contesto non è neutrale.
Detto questo, penso di continuare a rispondere qui, è importante restiuire le nostre riflessioni a uno spazio pubblico. E’ un modo che ci può garantire una crescita comune. In ogni caso non è che io mi sia arrabbiato, sono una persona che difficilmente si arrabbia (mi capita solo se ho davanti chi ci governa attualmente). Facevo solo notare l’opportunità di argomentare un giudizio, senza nessun astio. A presto, Gregorio.
controreazioni ha detto:
Anche io ho mandato un messaggio, ma non penso che lo abbia postato il server, non vorrei averlo perso.
fernirosso ha detto:
No, Gregorio, sono andata a cercare e non ci sono altri commenti “in scuro”, ciò che è qui è anche ciò che è passato, non trovo altri commenti tuoi. ferni
controreazioni ha detto:
si, poi lo ha pubblicato, mi riferivo al commento 14, in realtà aveva pubblicato prima il 15. Inversioni matematiche ^_^. Tutto a posto.
fernirosso ha detto:
…”Lo scandalo e l’originalità della verità sono più forti se più forte è la menzogna circostante, il contesto non è neutrale.”
Riprendo dalle tue osservazioni questa che manometto così:
Lo scandalo è l’originalità della verità che, in ogni tempo, si mantiene intatta,in questo senso originaria e originante ogni altro evento e per questa sua forza non catturabile molto ingombrante, non digeribile, non oscurabile,da nessun tipo di potere, che,se la facesse propria , metterebbe in risalto, per contrapposizione, la decadenza di ogni sua forma che sarebbe visibilmente un accidente qualunque che tenta solo l’aggregazione.ferni
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Subhaga Gaetano Failla ha detto:
Caro Gregorio, da dove iniziare? Sento la difficoltà nel trattare così su video un argomento tale, dove le parole possono avere diversi significati soggettivi. Ci provo, per un poco.
Quando una esperienza viva si cristallizza in istituzione, l’esperienza rischia di spegnersi. Non così forse con le “scuole”, le quali tentano di rinnovare l’esperienza del Maestro (che è essa stessa “messaggio”) attraverso l’indicazione del fare esperienza in prima persona.
Vi è un pericolo nei “libri sacri” veicolati dalle istituzioni: è quello di sostituirsi alle reali esperienze, di divenire, tali libri, alibi, “dogmi”, per evitare il viaggio più affascinante e rischioso: quello d’una vita vissuta intensamente. Ogni istituzione religiosa ha i suoi dogmi, punti cruciali da accettare senza poter fare domande, le stesse che farebbe un bambino non ancora indottrinato. La ricerca della verità viene così inibita dal sapere preso in prestito. Ma, anche a prescindere dalle “scuole”, il fondamento della ricerca della verità è la fiducia, verso la vita, verso la terra.
***
A me non interessa il contrasto della verità con il contesto. E comprendo, spero, il tuo disagio verso la mancanza di libertà nell’attuale contesto politico nazionale e internazionale. Piccoli uomini censurano la meraviglia di questa esistenza, censurando e mutilando la loro stessa vita. E il piccolo uomo è in ciascuno di noi, il più pericoloso da affrontare, quello che ci ritroveremo davanti alla fine dei nostri giorni, se con esso non abbiamo fatto amicizia. Il nostro minuscolo io. L’ombra.
***
Tu scrivi che Cristo “fino all’ultimo vorrebbe evitare la morte, dal momento che parla in nome della vita.” Cosa dire? Dico solo che non mi sento in sintonia con queste parole. E sento già, inoltre, risuonare l’insensatezza di altre mie possibili parole scritte qui su questo schermo, per argomentare una eventuale risposta.
Ti ringrazio ancora Gregorio e ti auguro una buona serata,
Gaetano
P.S.
Di Pasolini ho visto forse tutti i suoi film, anche quelli più introvabili (oltre ad aver letto quasi tutte le sue opere). Ti dicevo che l’altro film che io amo di Pasolini è “Che cosa sono le nuvole?”. Ti piace?
controreazioni ha detto:
Si, probabile nel nostro caso si tratti di due fedi differenti, al fondo, così che potrebbe risultare insensato una discussione sul senso della nostra fede.
Solo alcune osservazioni.
Non sono convinto che le esperienze fondative di un’istituzione siano destinate a scomparire o a essere invertite dall’istituzione che hanno creato. Questo capita se alla funzione istituzionale si sostituisce quella individuale. Per questa ragione le istituzioni, alla loro nascita, devono prevedere dei meccanismi interni di assicurazione, saltati i quali il rischio di un utilizzo interessato delle “fedi” diventa molto più probabile. Nel caso dell’istituzione Chiesa il corso della storia ha stabilito un primato autoritario della figura del Papa e una struttura gerarchica che separa i fedeli secondo uno status. Non si tratta più di vedere in che grado ciò sia fedele o meno ai Vangeli, si tratta di un utilizzo della religione come strumento di governo da parte di infedeli. Non ho alcun problema a dire che il nostro Papa attuale ha un’altra fede rispetto quella cristiana, così come un’altra fede ha Ruini, un’altra fede aveva Marcinkus o Pio XII. Non riesco davvero a capire cosa c’entri con Cristo questa Chiesa correntizia, ricca, ipocrita e sleale. Chi tumula Pinochet in Chiesa e vieta l’ingresso a Welby, non compie un atto di osservanza verso una norma, officia il rito dell’indulgenza verso i nuovi Erode. Arriviamo al presente.
Il mio disagio non è tanto ascrivibile al contesto politico nazionale e internazionale, se con questo si intende chi ci rappresenta, quanto semmai all’opera di creazione del consenso, sia politico che economico, attraverso l’annullamento delle voci differenti. Non è un disagio senza speranza, sono convinto, come Pasolini fra l’altro, che non potranno mentire per sempre, al tempo stesso sono convinto del fatto che lo faranno solo se noi decideremo di mutilarci o di ridurci al silenzio. L’informazione televisiva di massa e la propaganda hanno costruito un cittadino senza cittadinanza, nel senso peggiore del termine, ovvero un cittadino privato poichè si priva della possibilità di agire pubblicamente. Di contro al messaggio appassionato di Cristo, ciò che oggi mi sembra anti-cristiano è proprio questo regresso nella caverna di un privato molecolare. Si sa che la bocca di Dio non è fatta per i tiepidi.
Su Pasolini, non amo particolarmente il Pasolini regista, preferisco le sue pagine scritte. Per questa ragione “Il Vangelo secondo Matteo” mi ha sorpreso. Cercherò il film che mi hai indicato e ti farò sapere cosa ne penso dopo averlo visto.
A presto, Gregorio.
fernirosso ha detto:
Potremmo addirittura definire Cristo il primo sindacalista di una attività che è politica-economica-sociale, e diventa re-ligio nel momento in cui cerca la gente,da legare insieme in un solo luogo, non tanto in una sola nazione o in uno stato come li concepiamo da sempre, dentro territori dell’avere e dell’accumulo di avere,si tratti anche di pensiero. Il pensiero di Cristo è diretto, ma non è espresso con la logica e il raziocinio, chiama in causa la persona,suona dentro la parola viva, non come merce di scambio. Cristo si pone interamente come uomo, come singolo davanti alle istituzioni, ne scoperchia la radice, mette in luce ciò che è la base: ancora una volta l’uomo e il suo essersene sradicato attraverso un’astrazione collettivizzante che abiura la verità (e l’unica è la nostra ignoranza)in cambio di un potere costruito sul dolo e sul dolore. Egli si pone in mezzo agli uomini di etnia e pensiero differente non come divinità pre-potente,agisce con tutta la forza e l’incisività e la debolezza dell’uomo, non mette in ombra nulla del suo piacere d’essere uomo. La morte credo sia un’ombra a parte, è riprendere un potere che la vita non ha.Sembra strano ma credo appunto che sia la morte,vita anch’essa nella sua forma primitiva, il luogo in cui non è necessario che ci sia l’uomo o la distinzione. La morte travalica l’essenza e traguarda altri segni della vita in una eternità di cui non so nulla e di cui non mi è concesso altro che l’invenzione per parlarne.
Trovo i punti di vista di Gaetano e Gregorio non così distanti come sembrano, la diversità sta nel numero:da un lato Gregorio cerca la persona collettiva, un noi, prima persona plurale di singolare fattura che non si è, a mio modo di vedere, ancora formulata e formata,dall’altra la prima persona singolare di Gaetano, con una pluralità di esiti e percorsi che potrebbero portare alla formazione di quel noi nell’uno. Credo però che sia questa la molla propulsiva:quel chiaro del bosco di cui parla la Zambrano nel suo libro di volta in volta vestendolo di ciò che è l’essere appartenenti alla società, ma anche ad un credo che è pensiero e rende l’uomo “un essere”. Ringrazio vivamente sia Gregorio, che leggerò sempre con piacere qui e nel sito che cura,Controreazioni, che Gaetano per lo scambio che hanno vissuto e agito in un dialogo che ha acceso molti punti su cui continuare a misurarsi. ferni
Ilaria ha detto:
Le faccio i miei complimenti Ferni: eccellente riassunto di posizioni diverse e similari. Con stima, Ilaria.
roberto matarazzo ha detto:
forse, ma per me lo è, la pellicola più intensa del mio “amico” pasolini: con lui ne parlai e, ancora oggi, una piccola lacrima (simbolica) sgorga dal mio sentire matera ove lui girò con pathos e senso ideativo altissimo..
roberto
ps: amico ma poi, con un post, spieghrerò bene..