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La raccolta “Patria e amore”, pubblicata a Torino dall’editore Bocca nel 1861, raccoglie tutta la produzione della scrittrice napoletana Laura Beatrice Oliva Mancini (Napoli 1821 – Fiesole 1869) che, dopo aver partecipato con il marito alla rivoluzione del 1848, fu costretta a lasciare la propria città, andando in esilio a Torino.

La prima sezione della raccolta comprende sia poesie patriottiche sia testi dedicati ad alcuni scrittori contemporanei, la seconda sezione invece, intitolata: Ricordi d’amore. Al mio sposo, ricostruisce in versi la storia tra la poetessa e il marito, lo scrittore napoletano Pasquale Stanislao Mancini, una storia che era stata inizialmente contrastata dalla famiglia della scrittrice, ma che si era conclusa felicemente con un matrimonio celebrato nel 1840.

(F. LOPARCO, “Laura Beatrice Oliva Mancini – Dall’amore contrastato al felice imeneo con Pasquale Stanislao Mancini – ” in “Rivista d’Italia”, 9, XVI (1913), vol II.).

ALLA LIRA. ODE

(dalla raccolta “Patria e amore” – 1861)

T’affidai d’umil prego il mesto accento:

Deh seconda or, mia lira, il pregar mio!

Per te di novo l’aleggiar del vento

Il rechi a Dio.

Ei già l’udia, già mi rendea secura,

Tornava in pace a respirar quest’alma;

Dal caldo e il gel di mia prigione oscura

Sorgea la calma.

Chi mai, chi mai quell’armonia dolente

Ch’io ritentai sulle tue corde, o lira,

Udir potea?… chi rispondea? La mente,

No, non delira!

Limpida voce al pregar mio rispose,

Qual di pietade soavissim’eco

E l’alto accento in mesti lai compose

Per pianger meco.

Allora diss’io: quel fremito segreto

Del tuo plorar, mia cetra, ormai sospendi.

Quel suon t’invita; ormai di speme un lieto

Carme mi apprendi.

E tu che scoti vivide favelle

Pur da fievol vapor non interrotte,

Più lungamente a scintillar di stelle

Prosegui, o notte.

Prosegui, almo respir d’aure leggere,

Né vi sperdan le preste ale de’ venti,

Mentre a me sussurrate lusinghiere

Que’ dolci accenti.

Oimé! già tutto nell’oblio profondo

Torna in silenzio! Illusion fallace!

La sola, ohimè, che m’arridea nel mondo

Aura già tace.

O mesta cetra! Del gioir s’appanna

Per me quel lampo… altro non fur che larve!

Balen che presto l’uman core inganna

Presto disparve!