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lampedusalocandina“Spetta a noi, tutti insieme, vigilare

perché la nostra società sia una società di cui  andare fieri”

Stéphane Hessel

Da Modena, Simonetta Sambiase ci racconta le sue impressioni sullo svolgersi della manifestazione 100 Thousand Poets for Change svoltasi Domenica 3 novembre scorso nell’ambito degli eventi organizzati a Bologna e Modena per ricordare Lampedusa, morti e sopravvissuti. Con lei molti altri poeti hanno manifestato la loro indignazione nei confronti dei tragici eventi di Lampedusa leggendo Poesia per le vie del centro di Modena e Bologna. Per gridare a suon di versi il diritto alla dignità e alla vita stessa. 

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Si resta impigliati  dalla commozione. Si resiste  ancora commosse ma fino ad un punto delimitato perché altri sentimenti ti invadono e la ragione identifica quello che stai ascoltando in un sentimento d’indignazione. Sentire il racconto della verità dei funerali di Stato a Lampedusa, ad esempio,  t’indigna; I funerali  hanno aggiunto dolore su dolore ai familiari degli annegati , lasciati senza pace né salme, travolti dall’umiliante visione delle autorità africane invitate “sul palco”, quelle stesse autorità che qualcuno dimentica così spesso di chiamare tiranniche per questioni di interesse nazionale”. E chi ha  raccontato a Bologna  è somalo, è eritreo, conosce quel viaggio che ha causato i lutti, e tu ti interroghi sulle parole che altri hanno presentato sui mass media e ti (ri)chiedi: “ma davvero noi abbiamo gli stessi “interessi” con chi costringe a vivere il proprio popolo in una prigione perenne di paura e di fame? E perché dicono che tutto il Paese era rappresentato da quelle autorità che stringevano le mani e davano solidarietà a quelle autorità che hanno costruito il destino di fuga e morte dei trecento affogati a Lampedusa?  Ma sono responsabile anch’io delle leggi che spaventano i marinai siciliani dal salvare i migranti che affondano nelle carcasse delle navi più vecchie del Mediterraneo?”

No, non lo sono, questo non è il presente che voglio vivere,  è un presente che deve essere cambiato. Non è interesse della nazione, è amnesia generale del rispetto dei valori umani. Il giorno dopo Bologna,  sotto l’elegantissimo porticato del cuore di Modena, nella domenica del week end dei morti, sto ascoltando altre storie insieme ai poeti che hanno voluto dare voce all’altro presente, quello consolante e soprattutto libero che può diventare futuro, sebbene come nota di colore a margine  (a proposito di voci) ogni quarto d’ora le nostre voci si sovrappongono allo scampanio fortissimo del Duomo.

C’è ancora commozione fortissima quando si leggono i versi della giovane poetessa Warsan Shire, nata in Kenya da genitori somali. “Dovete capire\che nessuno mette i figli su una barca\a meno che l’acqua non sia più sicura della terra”. Cosa sia avere sotto gli occhi ogni giorno  il genocidio del  futuro di altri popoli, così vicini a noi, e lasciarlo in mano alla paura, in questo Paese da milioni di abitanti di che una volta andavano sui bastimenti e l’hanno dimenticato. I versi della Shire  li legge Pina Piccolo; li ha tradotti dall’inglese ma nonostante li conosca bene è emozionantissima quando alzando ancora di più la voce arriva ai versi “le parole\gli sguardi storti\ come fai a scrollarteli di dosso? \ forse perché il colpo è meno duro\che un arto divelto\ o le parole sono più tenere\che quattordici uomini tra le cosce\ o gli insulti sono più facili\ da mandare giù\che le macerie \ che le ossa\che il corpo di tuo figlio\ fatto a pezzi”.

Anche gli altri poeti, quelli che sono da circa due ore a leggere in tre gruppi nel portico, sono in ascolto. Sono versi potentemente semplici, senza complicate impalcature metriche perse  o sperse in  canoni egotici per il godimento del lamento del proprio ombelico innamorato. C’è la vita dentro.  Quella vita e quel dolore. Anche le altre poesie che da due ore i poeti stanno leggendo sono apportatrici di verità. Le poesie, tutte,  anche quella della giovane Shire sono distribuite in fotocopie su due tavolini, così quelli che vogliono prenderle e portarle a casa non hanno che da allungare la mano. Le poesie del Contenitore Lampedusa, dedicate ai morti per respingimento nel mare di Lampedusa sono anche scaricabili gratuitamente dal sito Glob011, ma più si diffondono meglio è. Sono state loro, le poesie, a creare i due giorni emiliani. I poeti dei 100thousand for change ma non solo loro, hanno creduto che “restare” commossi fosse necessario per cambiare, per trasformare questo presente in futuro, e per me, ottimista di natura,  l’atto del cambiare è solo nel “cambiare in meglio”.

E’una scelta di campo, con i mezzi che ognuno ha. I poeti hanno la poesia, una via naturale è quella di permettere alla poesia di esercitare ora ed ancora ora un impegno civile, perché le voci dei poeti restituiscono la vita, non l’accidia. L’accidia è  un modo di agire metabolizzato da parte dell’italiano qualunquista, questo, quello di liberarsi dalle voci dell’indignazione e della commozione lasciando agli altri la forma per costruire il futuro che alla fin fine liberi i mari dai fantasmi dei morti. Il futuro possibile siamo noi stessi e noi stessi ne siamo responsabili come individui, invece (parafrasando Sartre). Gli accadimenti di Lampedusa sono il passato? I morti in fondo al mare nella carcassa di una scafo sepolti sotto gli occhi televisivi da un funerale che teneva fuori il dolore degli affetti dei familiari in nome del gran pavese di Stato sono il passato? Quanto tempo è passato? Un mese? Un viaggio?

*

Casa
di Warsan Shire
(Traduzione di Pina Piccolo)

Nessuno lascia la propria casa a meno che

casa sua non sia la bocca di uno squalo

verso il confine ci corri solo

quando vedi tutta la città in fuga

i tuoi vicini che corrono più veloci di te

in gola il fiato insanguinato

il tuo ex-compagno di classe

quello che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine

ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo

lasci casa tua

quando è proprio lei a non permetterti più di starci.

nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo

fuoco sotto ai piedi

sangue che ti bolle nella pancia

non ti sarebbe mai saltato in testa di farlo

se non fosse per  la lama che ti stampa minacce incandescenti

sul collo

e nonostante tutto continui a canticchiare  l’inno nazionale

sottotono

e solo dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto

singhiozzando ad ogni boccone di carta

ti risulta chiaro il fatto che non ci tornerai.

dovete capire

che nessuno mette i figli su una barca

a  meno che l’acqua non sia più sicura della terra

nessuno va a bruciarsi i palmi delle mani

sotto i treni

sotto i vagoni

nessuno passa giorni e notti nel ventre di un tir

nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse

abbiano un significato diverso da un qualsiasi altro viaggio.

nessuno striscia sotto ai recinti

nessuno vuole essere picchiato

commiserato

nessuno se li sceglie i campi profughi

o le perquisizioni a nudo che ti lasciano

il corpo pieno di dolori

o il carcere,

perché il carcere è più sicuro

di una città che arde

e un secondino

nella notte

è meglio di un carico

di uomini che assomigliano a tuo padre

nessuno ce la può fare

nessuno lo può sopportare

nessuna pelle può resistere a tanto

Il

Tornatevene a casa neri

rifugiati

sporchi immigrati

richiedenti asilo

che prosciugano il nostro paese

negri con le mani tese

hanno un odore strano

selvaggio

hanno distrutto  il loro paese e ora vogliono

distruggere il nostro

le parole

gli  sguardi storti

come fai a scrollarteli di dosso?

forse perché il colpo è meno duro

che  un arto divelto

o le parole sono più tenere

che quattordici uomini tra

le cosce

o gli insulti sono più facili

da mandare giù

che le macerie

che le ossa

che il corpo di tuo figlio

fatto a pezzi.

a casa ci voglio tornare,

ma casa mia è la bocca di uno squalo

casa mia è la canna di un fucile

e a nessuno verrebbe di lasciare casa sua

a meno che non sia stata lei a inseguirlo fino all’ultima sponda

a meno che casa tua non ti abbia detto

affretta il passo

lasciati stare i tuoi stracci

striscia nel deserto

sguazza negli oceani

annega

salvati

fatti fame

chiedi l’elemosina

dimentica la tua dignità

la tua sopravvivenza è più importante

Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia

che ti mormora nell’orecchio

Vattene,

scappatene da me adesso

non so cosa io sia diventata

ma so che qualsiasi altro posto

è più sicuro che qui.

– Warsan Shire –