su Romanza di Zurigo di Francesca Mazzucato
Scrivere. Non è un caso parlare di scrittura in un romanzo di viaggio, se si intende lo scrivere come Francesca Mazzucato. O più che intendere la scrittura, ne si è vittima, come si sia vittima di un nomadismo di dentro e di fuori, che non ti fa stare nelle cose, se non scrivendone.
A voler forzare una definizione, scrivere può essere questo nomadismo deteriore e assillante, che espone a continui colpi di fulmine bugiardi (per usare un’espressione della stessa Mazzucato) che mimano l’assoluto,
impazzendo d’amore per un istante, anche solo per un nome, per una parola, o per una città: in questo caso Zurigo. Colpi di fulmine di cui la contropartita fatale è il continuo disadattarsi a luoghi e situazioni reali. Perché ciò che comunemente si intende come “istante”, cioè tempo espresso in un frammento, la scrittura lo moltiplica in una sorta di quadro divinatorio secondo una ritualità indiscriminata, imprescindibile e crudele. La divinazione è relativa all’assoluto che sta sulle cose come il cielo di Zurigo, che la protagonista di questo romanzo sembra non guardare. In realtà il cielo non serve di guardarlo in questa Zurigo onirica, atemporale. Perché il cielo esprime il tempo e lo fa attraverso la coloritura mutevole ma salda delle ore. E questo può essere un problema, come scrive la Mazzucato in uno dei passaggi più intensi del libro “Il tempo è sempre il nucleo del problema, tutto rotola, si srotola, si forma, si conforma, si strugge e si distrugge intorno al tempo. Com’è, come si manipola. Come si plasma come si inventa. Non ce n’è traccia se mi guardo indietro. Il tempo cancella. Si autoelimina”. È questa la trappola tesa sulla realtà, sui viaggi veri, sulle vere città, ed è la scrittura a tenderla traslando il tempo in una visione desiderata e futura, in una dissidenza disperatamente intima riguardo le cose.
Quindi al di là delle considerazioni che riguardano viaggio e scrittura, Romanza di Zurigo è qualcosa di più complesso di un diario di viaggio. La romanza, come è scritto a premessa del volume, è una composizione a carattere sentimentale, facile tecnicamente, tanto da aver avuto nei secoli, molta fortuna nelle esecuzioni private. Questa suggestione inizia a una lettura che dalla descrizione dei viaggi verso Zurigo e dai sipari ambientati nella città, sfocia senza difficoltà in quel pellegrinaggio alla volta di se stessi, come reliquia viva dei propri sogni. E anche quando il pellegrinaggio sembra davvero alla volta di Zurigo o alla volta di uomo così intensamente amato, da essere protetto addirittura dai propri stessi desideri, a tracciarsi, sembra quasi involontariamente rispetto alle intenzioni dell’autrice, è una sorta di onestà che rende alla perfezione, fede, colpa e espiazione, nel viaggio che anima il pellegrino, alla volta di una città trascendente e somigliante all’immagine più bella e pura che possa avere di se stesso.
Romanza di Zurigo
di Francesca Mazzucato
Cahier di viaggio, Edizioni Historia
Blumy ha detto:
la recensione è davvero invitante e il tema di quelli che mi attraggono: il tempo, la sua ‘non esistenza’ al di fuori di noi, i viaggi all’interno di noi stessi. un romanzo/romanza promettente e interessante.
Sara Ferraglia ha detto:
“Il tempo è sempre il nucleo del problema, tutto rotola, si srotola, si forma, si conforma, si strugge e si distrugge intorno al tempo. Com’è, come si manipola. Come si plasma come si inventa. Non ce n’è traccia se mi guardo indietro. Il tempo cancella. Si autoelimina”.
Mi è piaciuto questo concetto del tempo che si autoelimina, come l’inchiostro simpatico, a volte cancellando, come dice l’autrice ma più spesso trasformando in altro.
Personalmente credo che nulla si cancelli realmente. Ciò che è stato rimane, forse in un altro luogo o in un’altra forma o in un’altra mente, ma RIMANE.
Sara
vivianascarinci ha detto:
Effettivamente credo che il vero argomento di questo romanzo sia il tempo.
Ciao
v
antonella pizzo ha detto:
scrivere può servire a ritrovare quel tempo che si crede sia perduto; concordo, recensione invitante. ciao antonella
vivianascarinci ha detto:
Il tempo di questa narrazione non è lineare, perciò non esiste una vera e propria trama, con un inizio e una fine. Questo fa del libro un panorama sospeso che si tiene sul bisogno di scrivere come per sottrazione a un sogno. Tutto diventa circonfuso e emerge la sensazione, come indicato alla fine della recensione, che il libro sia fatto soprattutto del bisogno di inscrivere quella città in un tempo che esista piuttosto che confonderla col sogno che se ne ha. E credo che questa è un po’ l’urgenza che si ha sempre rispetto al tempo, quando scrivere è semplicemente una necessità.
Ciao Antonella.
lucetta frisa ha detto:
Molto bella e intensa la recensione di questo libro.
Sono miliardi le riflessioni sul tempo che cancella tutto, anche quello che occorre per scrivere di lui, in un inesauribile esorcismo che ci illude di tenerlo a bada.
ps: per favore, chi può correggere quel Charier in Cahier?