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tardivo_prodigio[1]

Anna Maria Bonfiglio, nella sua ormai vasta produzione poetica, ci ha educati alla sua poesia raffinata e corposa, in un connubio di leggerezza e concretezza privo di stridore, d’altronde in linea con lo spirito mediterraneo di tanta poesia siciliana, che sa mescolare tratti ben definiti con sfumature delicate, pennellate grumose con aeree contemplazioni. E non deve stupire questo costante ossimoro degli scrittori siciliani, che portano in sé il DNA letterario di un territorio così ricco di contrasti e di movimenti. Gli umori terragni possono benissimo dilatarsi in magiche sospensioni, in un’alchimia di rarefatte visioni, la cui scaturigine è sempre e comunque un lussureggiante scenario di sapori e colori.
Anche questa silloge di Anna Maria Bonfiglio presenta un alternarsi di concretezze e di sfumature, sullo sfondo di un paesaggio, interiore ed esteriore, denso di immagini e sensazioni molto incisive. Nella prima parte, “Stagioni”, l’umanità della voce poetante si intreccia alla natura in una fresca simbiosi che produce stillanti metafore. Abbondanti sinestesie (“Ride di rosso l’allegra melagrana”) si alternano con immagini ossimoriche (“Fresca di erba e secca di carrubo”) con un gusto lessicale per le assonanze che ritma elegantemente il verso, classicamente fuso con questa scenografia naturale ricca di cromatismi e di sensuali richiami.

C’è quasi un rilievo plastico nei colori e nei sapori che la Bonfiglio sa evocare, in una dimensione malinconica orientata all’emozione, al frastagliarsi dell’animo nella coralità delle realtà naturali. La presenza costante dei fiori – soprattutto la ginestra, eco di leopardiana tristezza – degli alberi, dello scirocco, del mare sostanziano questa inclinazione al contatto dolente con la natura, in un tasto poetico di empatica malinconia, che pure non ignora la pesantezza del raziocinio, quell’”indagata geometria”, che comunque si rivela sempre “irrisolta”.
La seconda parte del libro “Per tardivo prodigio” è invece una sorta di diario amoroso che spicca per i tratti apertamente erotici, seppur levigati dallo stile elegante dell’autrice. La netta sensualità di questa sezione, che indaga il corpo nella sua prorompente capacità di darsi senza riserve (“Chino sul corpo-offerta”) e insieme di farsi simbolo, si nutre, anche qui, di un repertorio naturalistico. E’ infatti un ricco corredo di metafore botaniche ed animali ad accompagnare le immagini degli amplessi che questi versi descrivono, con una concitazione di desiderio che muove il ritmo in caduta libera. Ancora fiori (stavolta predomina il gelsomino), frutti, acqua, luna e altri richiami a una realtà naturale, libera, non addomesticata. L’unione corpo-natura si fa metafora di un pensiero, di un’opzione esistenziale. La quale è presente anche nella terza sezione, “Epigrammi”, la più breve e la più malinconica. Nella coloritura nostalgica dei versi risaltano anche qui echi naturali (“Avevo il mare negli occhi”) e un desiderio di spazi aperti che richiamano al tono generale della raccolta, che è quello di un’ indomita predisposizione a vivere fino in fondo il contrasto delle emozioni e a gustare il succo dell’esistenza, senza sottrarsi alla sofferenza e senza abdicare alla propria libertà di innaffiare il personale paesaggio interiore.

Daniela Monreale