Tag

, , ,


zanzotto

Il percorso poetico di Andrea Zanzotto si dipana attraverso un progressivo lavoro sulla lingua. Dal lirismo dominante nei primi scritti passa all’ermetismo, tocca il surrealismo e le avanguardie fino a superarle. Dominando completamente il linguaggio arriva a creare, a inventare il nuovo dissodando la nostra esperienza linguistica nelle sue unità prime fino a trovare, in un percorso di decostruzione e ricreazione di senso, il morfema da cui il bambino incomincia, attraverso il balbettio e la lallazione, la sua partecipazione al mondo impadronendosi di quell’insieme di significati socialmente condivisi di cui il linguaggio è il sunto, l’esempio e il veicolo (“bambucci-ucci“;”gnam gnam“;”yum yum“;”cloffete cloffete ch ch“;”fru-fruire“;”pini-ini-ini“;”fa-favola“). Un veicolo artificiale nato all’interno di un patto sociale e che vede nell’uomo il creatore e lo sfruttatore unico del mezzo usato per creare un senso che dia ordine all’esperienza.

Proprio in virtù delle sue caratteristiche intrinseche la langue è in continuo movimento. Si muove insieme alla società e ne è lo specchio. Zanzotto anticipa alcuni dei cambiamenti, introduce termini scientifici e tecnici talvolta inventati dalla sua fertile mente creatrice ( “incellulisce“; “riavviticchiarsi“; “torotorotix“; “torotorotorolililix“; “sbozzolato“; “psicanalessi“; “retorizzamento“; “irriccirti“; “argenteizzare“; “illinguo“; “immicrobirsi“). Sostanzia così l’evidenza di un lessico non dato come fatto compiuto, universale e immutabile ma soggetto a spostamenti che vanno di pari passo con il tempo in cui “l’uomo di un momento” si trova a vivere. Per cui, aggiungo io, sarebbe forse cieco nell’era del globale fermarsi al polo della scrittura classica o considerarla superata (le radici non si possono negare mai) e così, in questa summa poetica, capita sovente un’incursione latina o di veder intervenire un’omega. Allo stesso modo sarebbe cieco considerare la propria  espressività come l’unica possibile quando le comunicazioni sono, anche grazie al web, sempre più aperte ad altri universi simbolici e si contaminano, cambiano in una continua ibridazione per cui la lingua madre è già, a tutti gli effetti il linguaggio del mondo, senza alcun confine nazionale.

Andrea Zanzotto cerca la comunicazione assoluta, quella che va oltre la lingua, ancor più oltre “la lingua di un momento storico”. Le sue incursioni nelle avanguardie della poesia visiva rientrano perfettamente nella ricerca di una comprensione che vada oltre il qui e l’ora giacché non si può dimenticare, e certamente il poeta sa benissimo, che il segno è, anche storicamente, il modo primo usato dall’uomo per cercare la comunicazione-comunione.

Zanzotto non è solo un poeta contemporaneo ma un creatore di linguaggi e linee di pensiero che saranno pietra di paragone per molte generazioni di scrittori.
Un poeta totale che, al di là di qualsiasi definizione, ha esplorato e superato il tutto delle potenzialità espressive. Attraverso quello che può essere visto superficialmente come un non sense, ha dissodato la lingua per metterne in evidenza il prima, l’ora e il poi. Le infinite combinazioni che possono derivare dall’infinità di contratti sociali a cui ogni epoca può, per lo più inconsapevolmente, aderire. Zanzotto mette il lettore davanti al dato di fatto di un senso non dato una volta per tutte ma in continua contrattazione così com’è per il suo veicolo, il linguaggio.

Personalmente, e per totale supposizione, penso che questa fondamentale ricerca linguistica sia, in parte, mossa da un profondo pessimismo (sono evidenti, specie nelle prime raccolte, le linee di congiunzione con il pessimismo cosmico leopardiano) , da un dolore personale “terroristico” che necessitava di uno spostamento dal soggetto all’oggetto per garantire la sopravvivenza dell’uomo e che Zanzotto abbia trovato nello studio, nell’anticipazione, nella totalità linguistica, nella poesia anche la sua personale salvezza.

Ma questo è il campo della pura speculazione.

IV

L’archi-, trans, iper, iper, (amore)(statuto del trauma)
individuato ammonticchiato speso
con amore spinta per spinta
– a luci basse e filo di terra,
a sole a sole perfino –
spallate gomitate
come in un pleonastico straboccante
canzoniere epistolario d’amore
di cui tutto fosse fonemi monemi e corteo,
in ogni senso direzione e varianza,
babele e antibabele
volume e antivolume
grande libro verissimo verosimile e simile,
grembo di tutte le similitudini: gremito di una sola similitudine:
talvolta un’identità ne effiora
una specie più specie e suggelli,
e c’era in vista tutta una preparazione
un chiamarsi e chiamare in causa: o, O:
assodare bene il vocativo
disporlo bene e in esso voi balzaste
ding ding ding, cose, cose-squillo, tutoyables à merci,
non le chantage mais le chant des choses,
con crismi eluardiani fortemente amorosi
tutte come a corona intorno a noi, note animelle,
e tintinna nell’eterno la collana.
Ammiravo il collo la collana la vocale e la voce.
Allora: ma, vezzo, persisto e sento il linguaggio
come un una uni salire dentificare leggermente caramente.
Vacuoli d’oro, se si permette: un momento-movimento.
Vacuolare libertà nel grosso, nel grasso.

Da “La Beltà” (1961-1967)

Questa breve nota di lettura deriva dall’analisi di “Poesie (1938-1986)”, Mondadori 2009.