Il treno dell’ultima notte
Dacia Maraini
Rizzoli, 2008
pag. 430, euro 21
Il treno dell’ultima notte di Dacia Maraini è un romanzo che elogia la libertà, denuncia le efferatezze perpetrate dai totalitarismi del Ventesimo secolo e definisce il senso della giusta memoria: i fantasmi malvagi del passato non sono sconfitti; si può costruire il futuro solo se i criminali sono condannati e le colpe espiate.
Emanuele Orenstein è il figlio di una facoltosa coppia di ebrei viennesi. Gli Orenstein, che da diverso tempo risiedono a Firenze, nel 1939 decidono all’improvviso, e con molta ingenuità, di rientrare a Vienna. Intanto, però, anche in Austria le vessazioni nei confronti dei giudei stanno diventando, celermente, Olocausto: i tre, quindi, finiscono dentro le brutali persecuzioni naziste senza quasi rendersene conto.
Amara Sironi, l’amica dell’infanzia fiorentina di Emanuele, possiede le lettere che il giovane le ha inviato da Vienna (la prima è del 1939) e “un quaderno scolastico con le missive non spedite” – prevenutogli anonimamente dopo la guerra – compilato da Emanuele fino al maggio 1943, nel ghetto di Łódź, l’anticamera di Auschwitz.
Il ragazzino descrive – in una sorta di calendario a ritroso verso la tragedia – i manifesti razzisti, in cui i discendenti di Abramo sono ritratti con una “faccia disgustosa” e un atteggiamento ladronesco. E, nel settembre del 1941, la stella: “La mamma mi ha cucito una bella stella gialla sulla giacca. (…) Anche lei ha la stella. E anche papà”. Poi i passaporti requisiti e l’impossibilità di ritornare a Firenze. Infine, il sequestro della casa e l’internamento nel ghetto.
Nel 1956 Amara è a Vienna per rintracciare quel bambino ”enigmatico”, vitale e coraggioso, che è stato “il primo amore della sua vita”. “Un amore inaspettato e senza rimedio”. Infatti “quel piccolo intreccio di nervi, muscoli e sangue” è un’icona impressa nella sua mente in modo indelebile. Amara è certa che egli è ancora vivo. Ma “si può pretendere di scoprire l’arcano e trovare chi si nasconde nelle pieghe del passato?”.
No. Non si può. E Amara – “anzi amarissima“, come il periodo fascista nel quale è nata – paga duramente (e più avanti lo vedremo) la sua chimerica cocciutaggine investigativa, mentre è costretta a viaggiare in treno – tra l’Italia, l’Austria e la Polonia passando per l’Ungheria – alla ricerca di Emanuele. La accompagnano Hans, uno strano signore di origine magiara e semita (“con una fila di gazzelle che gli corrono sulla maglia”), e Horvath, un vecchio allampanato che pare “un profeta dell’Antico Testamento perplesso e stanco”.
Diversi piani storici fanno da cornice alla trama: il nazismo, il fascismo e l’antifascismo, l’Olocausto – “un quotidiano feroce dato per norma” -, i campi di concentramento dove, vicino ma non troppo, si trovano le “casette tutte fiori e tendine vezzose” che ospitano le famiglie degli ufficiali tedeschi; i forni crematori da cui esce “un turgido fumo grigio striato di bianco, (…) gonfio e unto” che ricopre cose e persone “come una pellicola appiccicosa”; la campagna di Hitler in Russia, la ricostruzione postbellica dell’Europa, il sionismo e le radici del conflitto arabo-israeliano, il comunismo di Kruscev, la guerra fredda, la rivoluzione ungherese del ‘56’ e l”’onda funesta” della repressione sovietica.
L’autrice non espone direttamente gli avvenimenti epocali. I personaggi ne raccontano gli aspetti salienti, filtrandoli con precise e differenti visioni psicologiche: i nazisti pentiti – “eravamo ubriachi fradici e innamorati di un criminale” -, gli ex nazisti che, dopo la caduta di Hitler, continuano a godere dei beni sottratti ai deportati; gli ebrei sopravvissuti al genocidio o fuggiti in Palestina, i reduci, gli ungheresi che subiscono la dominazione di Mosca. La rivoluzione di Budapest è scandita dalla voce delle radio nazionali, gestite prima dal regime, poi dagli insorti e, con l’arrivo in città dei carri armati dell’URSS, nuovamente dal Partito Comunista. Come in Tolstoj e in Dostoevskij, sullo sfondo vi sono le vicende collettive, in primo piano risaltano invece i ragionamenti ossessivi ed esasperati dei protagonisti, i quali sembrano tragiche marionette, obbligate a recitare all’interno di una congerie di eventi che le travolge. È una vera e propria vox populi che si eleva a denunciare la verità.
E, in analogia con i maestri del romanzo russo, Maraini dedica un’attenzione scrupolosa ai particolari, si ferma a lungo su una stessa scena e ancor più su una stessa inquadratura storica, indugia tra le creature della sua fantasia, ne carpisce i segreti. Le digressioni frequenti, mai distoniche rispetto all’intreccio narrativo, non allentano la tensione, bensì permettono di riflettere e di elaborare i drammi registrati. I dialoghi, fluidi e trascinanti, accostati nella forma diretta e indiretta come preziosi pezzi di un puzzle, i personaggi, realistici, terrificanti, sublimi, commoventi, segnano uno dei più bei libri dell’autrice – il cui genere potrebbe essere definito suspense-storico – e di questa fase della letteratura italiana.
Alla fine Amara, giornalista poco convinta, donna sognatrice, ostinata, cauta e riservata, deve fare i conti con un’amara sentenza: “i morti non parlano ma se parlano, sputano e se sputano, avvelenano”. E affrontare un avanzo d’uomo, un’ombra malefica, una controfigura in negativo dell’Idiota che “innocente, perseguitato e ferito”, appare come uno spettro, “con un fare canino”, “gli occhi gonfi, le palpebre grinzose, una guancia deturpata da un profondo buco”. È il momento, cupo, del dolore e della disillusione. L’identità effettiva di quest’ombra nefasta la scopra il lettore. Noi ci fermiamo qui, con gli occhi fissi “sui resti degli orrori”, in rispettoso silenzio.
Adele Desideri
* Pubblicato ne il Quotidiano della Calabria, il 15 settembre 2008, rubrica Libri e letture, pag 61.
antonio ha detto:
interessante
Abdelmalek Smari ha detto:
Se è possibile, la prima versione è da cancellare perché sbagliata. Grazie! Malik
E dire che solo Dostoevskij sapeva scrivere come Dostoevskij; e Tolstoj come Tolstoj! Sicuramente Dacia Maraini avrà capitalizzato le grandi ed originali esperienze scritturali dei due illustri autori russi. Sicuramente avrà aggiunto una parte sua, la propria, ed arricchito quindi il patrimonio letterario dell’umanità come hanno fatto gli autori russi e non russi… Fonte generose e preziose dove avranno bevuto a lungo la sensibilità e anche l’arte della Maraini… Adele, penso, ha messo il dito su questa originalità e le ha trovato anche un nome: suspense-storico. Devo dire che una presentazione come quella di Adele mi ha ricordato personalmente di onorare una promessa un po’ vecchia: leggere qualcosa di Maraini Dacia… “Adesso… sì… adesso…” per riprendere l’espressione di Aurelio Agostino… E’ ora. Malik
ciccinafica ha detto:
molto interessante, mi serve per la scuola grazie di avermi fato trovare pronta la recensione…no skerzo anke se…
ciccinafica ha detto:
Bugia cmq ho 20 anni e mi è sembrato interessantiximo.