– b. viola- five angels
ho visto ciurme riparate sottovento
canzonarsi col dito al mento
per zittire il mare
poi lontano un fiore s’annegava
a pelo d’acqua camuffandosi lo stelo
con le chele dipanate delle onde
io non c’ero
mai ci sono quando il verde ingoia
tutti i miei colori e mi trasforma in alga
per la croce di non essermi spogliata
del mio dolore.
salgono dal fondo granuloso le mie radici
inne(r)vate di sangue a chiazze
come fosse il mistero che più mi taglia
non riconoscere né la soglia né la maglia
della mia catena.
quando saprò la parola santa che ti fa tornare
quella che sul volto inamidato
ha inciso rivoli di terra
– io dico t’amo ma non lo dico nel modo giusto
e lo ripeto pazientemente ad ogni ramo
che sorregge la mia caduta –
scoprirò che cosa sia l’inferno
se una gabbia a cielo aperto
o la sagoma delle dita che non toccano
le mie
gli abeti incappucciati mi trafugano
le stelle con teli immacolati
come sindoni senza dio
ma poco conta
se da un regno ormai deserto
assorbo cicli di stagioni fuori tempo
dove morti e vivi si confondono
in nuvole di nebbia
io lo so
che non sono un canto
ma un cenno sbalordito del mio Signore
margherita, 14 maggio
fernirosso ha detto:
la visionarietà dei versi non permette al lettore di vedere con chiarezza un unico paesaggio.Tutto nasce e si forma come accade nei sogni, senza un momento preciso e un tempo di consecutive.Le cose sono così in un presente sempre vivibile così da vicino da ritrovarcisi dentro, in immersione, come accade nella vita. Il fatto è che te ne accorgi quando…ormai sei fradicia di quell’acqua che ti nasce il viso.L’ho dovuta leggere più volte e ogni volta la lettura cambiava.Questa è una tra quelle che mi hai formato. Grazie, ferni
marinaraccanelli ha detto:
ha ragione ferni, la tua poesia, Margherita, va letta e riletta, cantilena sottotraccia che ti ripeti, hai conquistato il ritmo della tua caduta molto molto lentamente, sfrondando tante ore vuote tante parole superflue, è rimasto questo rimbalzare dalla piattaforma di un vago sorriso ironico (le “ciurme riparate sottovento” con la loro rima), giù , più giù, mare alga radice, pazienza rallentata di ramo in ramo, ma
tu non c’eri
non amavi con parole giuste
la sindone è senza dio
tutto si confonde, in una nebbia senza stagioni
morti e vivi si confondono
ma chi legge sente una forza dura, palpitante, in questo sapientissimo e desolato dipanarsi di parole – aggiungo che a me è piaciuto tanto questo confondersi di paesaggi montani e marini – fino al finale, sorprendente arresto della caduta fonica in un’impennata che stupisce: prima le nagazioni, ora si scopre infine quello che sei:-)
marina
Molesini ha detto:
mi è lontana questa fine ma la tessitura, il polso, “io dico t’amo ma non lo dico nel modo giusto”, insomma, porgi una signora poesia, la sua struttura problematico-estetica, una roba fatta bene
antonellapizzo ha detto:
quel “io non c’ero” arriva come uno schiaffo perchè viene dopo un “ho visto”
margheritagadenz ha detto:
paesaggio/passaggio onirico, ferni, come ben dici.. questi versi
sono scesi o meglio risaliti da un mondo interiore senza che io li pensassi. capita che non sia un io cosciente a parlare. capita
che tutto si rovesci all’esterno e si faccia mare. spesso sommerge.
grazie per esserti fermata
margherita
margheritagadenz ha detto:
il tuo leggermi, marina, va sempre in profondità..
le negazioni, sì, ma fino all’ultimo, anche nell’ultimo
disperato ‘cenno’ in aria di un Dio che non sa
‘governare’ le sue creature, perché non esiste
appartenza se non nel miraggio che Dio ci sia.
grazie, marina
margherita
margheritagadenz ha detto:
grazie, silvia.. come vorrei che la fine di questi versi
realmente mi appartenesse e non fosse un grido.
margherita
margheritagadenz ha detto:
io non c’ero..
è la mia sostanza, antonella.
sempre alla finestra a guardarmi vivere.
margherita
Blumy ha detto:
ecco che torni, potente, con il tuo grido di dolore, affogata dal dolore che ti annichilisce, che ti fa una cosa inesistente, dopo tanto precipizio; e quella negazione continua di Dio – non solo in questa, ma in molte tue poesie – mi fa pensare che tu lo voglia, che lo cerchi perchè si giustifichi della sua assenza, se c’è; e , soprattutto, che giustifichi quell’assenza pù grande che ormai da anni ti ha svuotato l’anima. tutto questo con una sapienza innata di poesia alta, molto alta.
domaccia ha detto:
un testo drammatico, nella sua accezione più profonda e “nobile”
lucaniart ha detto:
di una bellezza “suprema” questi versi. Mapi
Antonio Fiori ha detto:
La poesia come parola dettata misteriosamente da una voce dentro/fuori di noi. Lo stato di straniazione permenente, lo stare sempre a tentare di capirsi guardandosi come si guarda una altro, stando sempre alla finestra di se stessi (‘davanzale da cui mi guardo dentro’ è un verso che usai per definire la poesia e mi colpisce questa coincidente visione di Margherita).
Insomma, ‘una roba fatta bene’, come dice Silvi Molesini; con l’aggiunta, per quanto mi riguarda, che condivido anche il verso finale 🙂
Antonio
Josè Grilli ha detto:
Profonda, intima, viscerale.
Margherita , la tua poesia scava
dentro e fuori , riemerge
si accosta e alfine si tuffa
nell’animo di chi legge.
Josè
margheritagadenz ha detto:
blumy, dio con la minuscola e poi con la maiuscola in una sorta di conflitto senza soluzione, è ‘assenza’, sì, come dici tu, assenza che deve giustificare, che io dovrei ‘giustificare’. per non cercarlo dappertutto incessantemente . spesso arresa e come tale mutilata.
ti ringrazio per le tue parole.
margherita
margheritagadenz ha detto:
grazie a te dominica e a mapi, per esservi fermate ed aver apprezzato i versi.
margherita
margheritagadenz ha detto:
a volte, antonio, mi viene da pensare che la poesia sia quanto di più misterioso possa nascere da noi, una commistione di
‘protagonismo’ del subconcio e del guardarsi ‘vivere’ come se non ci appartenessimo. credo sia in questa fusione di essere e non essere, di ‘dentro e fuori’ , come ben dici, che la parola poetica si fa voce riconoscibile.
grazie per esserti fermato e per quanto hai detto.
margherita
margheritagadenz ha detto:
grazie, josè, per il tuo commento. ‘ondivaga’ sempre, ma oltre la superficie, la parola scava anche quando la teniamo in noi e
non ne facciamo poesia.
margherita