Lucy
1.
Vigilia in luce etiopica
adorna mondi per commedia d’uomini
ricurvi su un proscenio informe della vita:
reincarnando tracce stazioni erette
reami a dislocare
che genitrice oscura,
madre irsuta dal cuore indecifrabile
caduta tra le melme o forse un lago
in un cielo risorta all’improvviso
di acustici diamanti
allucinati voli
bizzarri idiomi e ciglia a spennellare,
tornando adombra un grembo di sequenza
ad archiviarci in ossa e cranio calibrato
ornati per frammenti
canini i denti ed altre connivenze
2.
ovunque sia… ovunque sia la faglia
il peso della razza
figliastro di placenta
sfiguro nella teca
che passeggio coevo per Laètoli
per quel mare tranquillo di basalto
con passo primordiale
ad incrostarmi cenere
con balzo d’allunaggio
a congedarmi fossile pedestre
inverno della specie
impronta di natura ristagnante
orma di sangue congelato
bastione di biosfera
a ruggine terrena
a mordere nel vento
cinquantadue segreti di memoria
compresi i sogni ed altre ridondanze
*
3.
Oh Denkenèsh tu sei magnifica
di vita in ogni istante viva
di sguardo acuto che assedia l’orizzonte
sull’ardua cresta degli arbusti in passerella
sull’orlo di savana che si accalca
e non si eleva all’alba o cade nel crepuscolo
ma ogni viva essenza
conduce a suo barlume
quando il buio rapisce la materia
e ovunque brilla l’occhio della fiera.
Oh Denkenèsh sprofondo di sorgente
antro corallino della mente
gola stretta all’origine del tuono
lampo di voce roca d’un cielo muto
vuoto d’immagini e divine somiglianze
meravigliosa Lucy
in piedi al centro della scena
compresi i polsi ed altre militanze
*
4.
Caducente madonna delle ossa
perdona il mio cordone ombelicale
avvezzo a trasudare
umane screziature
antropiche fratture solchi di safena:
esose mappature della psiche.
Perdona di grazia l’invaso
limite di salvezza
il furto delle stelle
da parte della mano
perdona con riserva d’estuario
la strenua resistenza delle cose
all’occhio che distilla
al moto ondulatorio della lingua
bacino brulicante
del nocciolo corrente
compreso il logo ed altre supponenze
*
5.
Se inferno o paradiso era l’istante
l’organico scorrente
l’instabile confine tra le foglie
oh esigua matriàrca della specie,
di pelle e muscoli scimmieschi
tracimata sull’incrocio progredito
delle tibie dei femori smaltati
sulle quattro patelle d’ossa in oro
e argento, sul granello dell’altare
vessillo della polvere
che dentro questo vento di tumori
questo teschio roboante
obliquo sventola,
conforta di grazia l’eretto
elettrico cosciente
assiso sotto l’albero di luce
comprese le falene ed altre provvidenze
*
6.
Che sia groviglio fitto di radici
o ramo che biforca all’infinito
che sia linfa o latte del tuo seno
corteccia fiore o frutto maturato
fogliame di giaciglio
albero del nostro bene
ovvero l’albero del nostro male
invero resina
ambra che ingemma i tuoi pensieri arcaici
residua dottoressa del pliocene
insegna dalla cattedra selvaggia
a questi corpi tossici
a questi lombi passeggeri
a questi spazi inconsistenti
l’onere inconsolabile del transito
che ad ogni passo l’alluce si piega
dal mondo ci solleva
per ricondurci a terra
compresi i troni e nuove tracotanze
*
7.
Pendolo magico dell’andatura
e baricentro l’àncora che dondola
creatura eretta
tra scorza e vento
barcolla la stazione
nei corpi stride intera la colonna
e incognito destino,
che sogni liquido tra fondo e superficie,
è privo della lisca
vescica e cartilagini inattese.
Neppure un corpo di mollusco, polpo
attinia o verme. Dispersione pura
informe alla corrente:
fosfene sillabario
rumore bianco di nevischio
nomignoli del fuoco
comprese le tempeste ed altre luminarie
dalla prefazione di Stefano Guglielmin:
Se da un verso il proposito che guida L’ordine bisbetico del caos sta nel convertire «l’organico scottante alla sua brace», dall’altro, il processo alchemico qui sotteso pare governato da un mago debordiano, tutto teso a salmodiare l’introspezione, spettacolarizzandola con «sonagli luminosi, sussurri ottici, radiosi strepitii». Approfondendo la linea tragica di Parking Luna (ARPANet 2002) e Di corpi franti e scampoli d’amore (LietoColle 2004), ma con maggiore attenzione all’effetto complessivo, quest’ultimo libro fa seriamente i conti con lo sfacelo contemporaneo, effetto, ci dice, di una progressiva secolarizzazione che ha sradicato i moderni dall’insegnamento primo degli antichi: quello che riconosce all’uomo una natura essenzialmente mortale. La Madre arcaica che ci deve guidare in questa rieducazione alla caducità, in quest’esercizio di umile riconoscimento, è Lucy, l’australopitecus Afarensis, che diventa, in Pepe, la «madonna delle ossa», la «genitrice oscura», l’«esigua matriarca della specie / di pelle e muscoli scimmieschi», cui egli si rivolge affinché c’insegni «dalla cattedra selvaggia» appunto «l’onere inconoscibile del transito». […]
dalla postfazione di Luigi Metropoli:
[…] Non deve suscitare scalpore la scelta del poeta di racchiudere questo «elettroshock verbale» (Gianni Turchetta) e questi liquami decomposti in compiute gabbie metriche, di ricercato rigore formale non solo per quel che riguarda il singolo componimento, ma per l’intera architettura del libro (è lecito scorgere, in questi versi, dei tratti comuni a diversi autori operanti tra gli anni ’80 e ’90, a partire dalla Valduga e Raboni, fino a Frasca e Ottonieri, senza dimenticare un’eredità neo-avanguardista). Si tratta, ad ogni modo, di uno stile personale, tutt’altro che una fusione a freddo, fin da subito riconoscibile nel panorama odierno. La forma perfetta è una strategia di resistenza alla decomposizione e al disfacimento dell’io; nello stesso tempo è metafora dell’argine posto dalla forma (dal corpo) alla bruta materia pulsionale e, trasferita in un ordine di grandezze macroscopiche, è la tensione tra le forze che presiedono all’ordine dell’universo e la sua inesorabile deriva entropica.
Per concludere, poiché il suono è la materia principale dell’opera, la si può ascoltare come un brano musicale all’insegna dell’anarchismo punk eseguito con la perizia del tocco progressive.
violaamarelli ha detto:
ripeto quel che ho scritto giorni fa su questo nuovo libro: gabriele pepe lo apprezzo da sempre e questi testi ne confermano la voce peculiare, ha la sua strada e il suo sguardo, queste sonorità barocche dove il logos tagliente si illimpidisce e taglia acuto il “reale” e il “surreale”, con una visionarietà ancorata al concreto che (mi) prende e arriva al centro, come un sermone “loico” con una tensione etica e figurativa altissima, a cui Pepe mai – giustamente- rinuncia. Aggiungo che questo quasi inno narra con precisione rigorosa un tracciato di caos anche acre della razza umana dove comunque trapela misteriosamente intatto l’affetto di Pepe per la Gran Madre paleontologica.
Viola
Gabrielepepe ha detto:
Ehi ma che ci fa un bruttone doc come il sottoscritto in mezzo a cotanta beltà? :o))
Ringrazio Viola per le troppo generose parole ma come i fatti dimostrano la poesia diventa sempre più marginale e inutile. Vedi Birmania, Borsellino e quant’altro. E la domanda che mi faccio è sempre la stessa: ma perché sto a perder tempo a scribacchiare cose che interessano praticamente a nessuno, a parte i pochi cultori, mentre fuori c’è tutto un mondo di dolore che reclama presenza, pensiero e buona volontà? E non so rispondere.
Grazie per l’ospitalità Antonella.
pepe
violaamarelli ha detto:
caro gabriele chi è sfilato in “processione” e sta subendo in Birmania per me è anche poesia; nulla è inutile se fatto con cuore puro, autenticità e sensibilità, neanche la poesia, anch’essa pensiero come dimostrano inequivocabilmente questi tuoi versi (e poi non è mai troppo tardi per provare a diventare “illuminati”…o essere ad ogni modo, in ogni giorno d’ausilio a qualcuno anche nel piccolo quotidiano di ognuno di noi)!!). un abbraccio, Viola
antonellapizzo ha detto:
gabriele caro ci fai che il post l’ho rubato e copiato paro paro da vocativo apposta per costringerti ad uscire allo scoperto 🙂 non so rispondere alla tua domanda perchè è una domanda che anch’io mi faccio da tempo inutilmente, di fatto c’è che continuo a scriverne e che tu, come hai dimostrato con questa raccolta, continui a scriverne. ciao antonella
Antonio Fiori ha detto:
Lucido trasporto e versi rifiniti con maestria. Gradevole la variegata ripetizione del verso di chiusura di ciascun testo.
Guardiamolo pure in faccia Gabriele questo pianetino, solleviamo lo sguardo dopo ogni verso e riempiamoci pure d’amarezza e di rabbia; sappiamo bene che la poesia non può cambiare il destino del mondo…ma quello d’un singolo uomo si, lo può cambiare. E ti par poco? 🙂
Complimenti
Antonio
Blumy ha detto:
questi versi li leggo domani.
draimondi ha detto:
Bella scrittura. Uno stilo denso, immagini elaborate eppure il tutto magistralmente controllato dalla penna dell’autore, fluido e ‘pulito’.
Molto molto bene.
daniela
croquignolle ha detto:
compro il libro.
pepe è incredibile.
grazie per la segnalazione.
Carlotta ha detto:
La Redazione di ARPANet ti applaude… siamo fieri di averti pubblicati con Parking Luna! In bocca al lupo e tutto il meglio per te e per questa nuova creatura!
antonella ha detto:
la lettura dei versi di gabriele stordisce, io ho il suo ultimo libro e vi assicuro che sono stordita 🙂 e se sapessi dar forma di parola al mio pensiero ne scriverei, direi che davvero arpanet può essere orgogliosa di aver pubblicato gabriele pepe. antonella
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