Niente di nuovo
È facile quadrare il cerchio come
Richiudere il passato sotto il mare o
Soffiare sulle stesse candeline
Per tutti i giorni del tuo compleanno!
In fondo anche le lettere son some
Che gravano il pensiero nel parlare
E non puoi dislocare le sue mine
Nei soli luoghi in cui non fanno danno.
Lo spazio della mente ti commino:
Le tue paure accentri nell’addome
Ma mai porrai la morte al suo confino.
Forse nel tempo avverso puoi contare
Sui ritornelli delle canzoncine
(Poche parole e note basteranno).
Determinismo relativo?
Tu sai chi sono io e che non siamo
Fungibili esponenti delle ère
Descritte da scienziati indeboliti
Di cui ci si propina la visione.
Le stesse posizioni che occupiamo
Necessitano solo di un dovere
Restare in alto come gli stiliti
Capaci di reale comprensione
Del destino: è responsabilità
Di tutti noi, l’azione che piazziamo
Nel vivere la convivialità.
Non è forse stocastico il sapere?
Eppure ci apre mondi non uditi
E assolve forse un’utile funzione.
Economia biologica
Cerchiamo by default le vie più semplici
Per dare ai nostri calcoli l’effetto
Che limiti lo slancio del respiro
Ad un corretto grado di entropia
Rendiamo i nostri atomi un po’ complici
Dello sconvolgimento a cui l’assetto
Climatico risponde con un giro
Di stagioni inusitate, miopia
Conclamata di un occhio intelligente,
Errando pervicaci per gli identici
Deliri… ci acquietano la mente:
“Fortuna che la vita non è aspetto
Di mera superficie, ma un bel tiro
Che ha per bersaglio il corpo ovunque sia!”
Stabilità franose
Quantificare è uguale a possedere
Un numero con cui varcare i luoghi
Comuni: municipio per i moti
Effimeri del muscolo sonoro
Che modula la bocca a persuadere
E a volte fa da esca a immani roghi:
Né può aiutar la dea dei ciprioti
Le menti obnubilate di coloro,
Così presi dalla foga di potenza
Da istigare le persone ad avere
Il coagulante plus della violenza:
“Scompaia il sé, nel me tutti si affoghi,
Non è poi meglio vivere da idioti?”
Con false qualità, non c’è decoro.
Attimi in divieto
Costringiamo le nuove sensazioni
Nel parcheggio minuscolo del carpe
Diem (fra staccionate assurdamente
Costruite da noi che ci rendiamo
“Liberi” in questa gabbia da pavoni
Con ruote che funzionano da sciarpe
Al collo di una prassi incoerente):
È la breve follia in cui ci illudiamo
Di estinguere il timore della pena
Che ci aspetta di fronte alle emozioni
così spesso inficiate dalla scena.
Mettiamo i nostri piedi dentro scarpe
Non sempre adatte al ruolo che uno sente
Prossimo a quello che ci immaginiamo.
antonella ha detto:
Ringrazio Alessandro per questi sonetti.
Alessandro Ramberti è nato a Santarcangelo di Romagna il 10 giugno 1960. Laureato in Lingue Orientali a Venezia ha vinto una borsa annuale (1984-85) del Ministero degli Esteri presso l’Università Fudan di Shanghai. Nel 1988 ha conseguito, con altra borsa, il Master in Linguistica presso l’Università di California in Los Angeles e ha concluso i suoi studi con il dottorato in Linguistica presso l’Università Roma Tre (1993). Da allora lavora in ambito editoriale.
Ha vinto il premio l’Astrolabio con Racconti su un chicco di riso (Tacchi Editore, Pisa, 1991) e vari riconoscimenti per opere poetiche (recente la segnalazione al Premio Agostino Venanzio Reali 2004) e il II premio al Città di Mestre 2005 con la poesia Già c’è. Con la poesia Tracce indistruttibili ha vinto la prima edizione del concorso Versificando 2005 sez. poesia singola: in giuria Walter Mauro, Elena Clementelli, Aldo Mastropasqua, Elio Pecora, Silvio Ramat. Con la poesia Dietro le spalle ha vinto a fine 2005 il premio Ad un passo dalla poesia. Ha pubblicato le raccolte di poesia In cerca e Pietrisco (Fara editore) con lo pseudonimo di Johan Thor Johansson ha pubblicato La simmetria imperfetta.
Blog personale farapoesia.blogspot.com
sandrapalombo ha detto:
Una poesia orginale. Tra tutte la mia preferita è ” Attimi in divieto”.
Alessandro ha detto:
Grazie ad Antonella e a Sandra
in effetti la forma chiusa del sonetto è particolarmente ardua da praticare oggi (rischia di rusultare artificiosa o del tutto improbabile, oppure la si deforma in vari modi sia metricamente che nel gioco delle rime) io ho cercato di utilizzare il timbro di ironia a volte amara e in genere antilirica anche attraverso l’uso di un lessico quotidiano con rare incastonature letterarie per produrre un effetto sornionamente straniante, inoltre le rime, pur intenzionalmente rigorose, non sono sempre eminenti perché è forse preferibile una lettura ad sensum, che tenga conto della punteggiatura e delle cesure. In che grado sia riusciuto a fare qualcosa di accettabile è ovviamente negli occhi dei lettori.
Alex
antonella ha detto:
diciamo pure che quello che hai cercato di “fare” c’è tutto ed è tutto davanti ai nostri occhi. in effetti l’utilizzo del sonetto suona un po’ anacronistico, così come le forme metriche tradizionali, anche se pare che ultimamente qualcuno stia riprendendo la tradizione, vedi aldo nove che ha scritto un poema su Maria organizzandolo in trenta canti di quartine di endecasillabi, così come tu hai fatto visto che hai scritto dei sonetti 🙂 complimenti dunque. sono d’accordo con te, credo che sia più difficile scrivere in rima e seguire la metrica perchè c’è pericolo di incappare nella cantilena o nella canzonetta ma tu hai scongiurando il pericolo perchè non è il tuo caso. grazie ancora. ciao antonella
Alessandro ha detto:
Grazie Anto
😉
A
sonetti ha detto:
ohibò!
Samuele Zerbini ha detto:
Ale!
Che sorpresa trovarti qui! 🙂
Tutto bene?
Samuele Z 🙂