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(Kapuscinski fotografato da M. Kubik)

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Perché l’esperienza del viaggio arriva così profondamente a modificarci? E fino a che punto dobbiamo spingerci per giungere alla reale conoscenza dell’”altro” che incontriamo sulla nostra strada?

Ryszard Kapuscinski è di sicuro l’autore che più di tutti può fornirci la risposta a queste domande.
Viaggiatore insaziabile, giornalista originale e innovatore, a lui dobbiamo alcuni dei più bei libri-reportage del Novecento. La sua originalità sta nell’avere elaborato un racconto che parte dal reportage ma che sfrutta anche gli strumenti del romanzo e del saggio.
“L’altro” è un piccolo libricino di poco più di 70 pagine. Vi è raccolto il materiale di sei conferenze il cui tema dominante è appunto “l’altro”. L’argomento riveste un’importanza personale per Kapuscinski perché l’interesse per l’altro gli fornisce la giustificazione, almeno in parte, di quella sete di conoscenza e di quella irrequietezza intellettuale che sembrano aver indirizzato la sua vita verso i viaggi.

La comprensione di chi è diverso da noi – per sesso, religione, razza, nazionalità, generazione – passa, chiaramente, per la sua accettazione. Accettare l’altro significa, già di per sé, ammettere che esiste una ricchezza che non appartiene solo a noi, ma che è di tutti.
Dai suoi viaggi Kapuscinski ha imparato una lezione fondamentale: che l’essere umano si somiglia ovunque, anche se intervengono a differenziarlo usi, costumi, abitudini climatiche, religioni, la sua storia, le sue vittorie e sconfitte. Ma la sostanza resta quella. E per capirlo, per capire l’altro (e renderlo comprensibile agli altri che siamo noi lettori) è necessario partire da questo fondo comune, e non smettere mai di osservare.
Facendo proprio l’insegnamento di Erodoto, secondo il quale “per capire meglio se stessi bisogna capire meglio gli altri, confrontarsi e misurarsi con essi”, Kapuscinski ribadisce che solo attraverso l’incontro con la diversità è possibile scoprire alcuni tratti di noi stessi che non vediamo più, perché diamo per scontati.

L’uomo ha scritto nel suo corredo genetico la sua natura sedentaria. Quando intraprende un viaggio volontariamente – ossia non scacciato dalla guerra, dalla siccità, dalla carestia – lotta contro la sua stessa natura. A spingerlo, in parte, è la curiosità, ma non solo. Secondo Kapuscinski a questa virtù basilare, indispensabile ad un giornalista, bisogna unire un profondo amore per il prossimo, per l’altro, perché solo con l’animo bonariamente predisposto si può giungere alla comprensione di altre esistenze, diverse dalla propria.
Dalle pagine di questo libro la sua lezione ecumenica arriva ai giorni nostri ancora più forte e convinta, e ci spinge a combattere contro la tendenza naturale di ogni civiltà verso il narcisismo ed il dominio, per affrontare quella che è la nuova sfida del XXI secolo: l’incontro e la convivenza con l’altro.

“Chi sarà questo nuovo altro? Come si svolgerà il nostro incontro? Che cosa ci diremo? In quale lingua? Riusciremo ad ascoltarci e a capirci a vicenda? Riusciremo insieme a trovare, come dice Conrad, ciò che parla alla nostra capacità di provare meraviglia e ammirazione, al senso del mistero che circonda la nostra vita, al nostro senso della pietà, del bello e del dolore, alla segreta comunione con il mondo intero e, infine, alla sottile ma insopprimibile certezza della solidarietà che unisce la solitudine di infiniti cuori umani, all’identità di sogni, gioie, dolori, aspirazioni, illusioni, speranze e paure che lega l’uomo all’uomo e accomuna l’intera umanità: i morti ai vivi e i vivi agli ancora non nati?”

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Stefano Crupi, casertano, giornalista, oltre ad occuparsi della rubrica letteraria e della sezione “Economia” per il giornale online Tuttiinpiazza.it, scrive per il mensile campano “Fresco di stampa”. Gestisce il blog  “Voce Narrante”

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