Mi accosto ai “Canti dell’amore coniugale” (inediti privati che Stefano Guglielmin mi dona in segno d’amicizia e ci dona con estrema generosità) con il rispetto che è dovuto al sacro, giacché sacro è l’amore coniugale e l’unione fra due esseri che si uniscono in stretto legame e promettono che mai lo spezzeranno; è un impegno solenne, i due saranno uniti nella buona e nella cattiva sorte, in salute e malattia, in ricchezza e povertà. Con nessun’altra persona al mondo i due fanno una promessa così impegnativa e sconvolgente, non con un amico fraterno, né con un fratello, non con i genitori. Questa esigenza di legame esiste da quando è nato l’uomo.
“… accucciato sulla roccia, un antico Camuno con la punta dello scalpello incideva la scena che ancora oggi ci appare lampante, come appena fatta: un uomo e una donna in coppia, e accanto i loro due bambini, un maschio e una femmina. In una parola: una famiglia. L’arte preistorica, si sa, ricorre molto spesso al simbolismo: «E infatti simbolica è la linea che unisce i piedi di marito e moglie, come un giogo. Non scordiamo che è questo il significato di “con-iugi”: uniti dal giogo, legati stabilmente».” (Emmanuel ANATI. Il matrimonio? Viene dalle caverne.)
Le tre poesie che qui pubblico ci dicono di mesi crudeli, di aprili generanti, di nozze, di unioni, di luce, di acqua e di parola.
Molto è il visibile quando c’è la luce, come molto è il dicibile tramite parola. Ma a volte la bocca diventa muta e l’amore, approfittando di un’occasione fortuita, chiede un gesto che esprima. “Come l’ala sfrutta il peso, chiedi un gesto/ che porti in tavola o a dormire.”
Tutto passa attraverso la parola, che può essere scuotimento e tuono, ma orrendo nell’eterno bla bla bla dei salotti televisivi, nei salotti del mondo che conta, ma che può essere anche salvezza, luce, acqua che chiarisce e schiarisce (deve essere salvezza, parola onesta e non scrofa) “con la platea da fare e la scrofa che tiene il mondo in moto.” La parola può operare anche la liberazione di ingorghi, “ E non c’è altro/ infatti: autobomba, ladro, lavoro, amante/scarico dell’iva, tutto, dalla bocca /scuote le tende e nasce.”e quando manca l’esistenza sembra quasi un buco nero “Pare allora che il corpo consista/in tante piccole buche, in vuoti vicini,/in imbuti, dove la vita si versa/e scompare.”
Nella terza poesia c’è un desiderio espresso, voglia e necessità della parola che tutto placa, che tutto arrotonda, che tutto quieta, la parola radiosa, parola primitiva di bambini e giochi.
“e una parola ancora, là dove il fiume/ abbuia, dove due fa infinita lacerazione/e il corpo tace.
La poesia di Guglielmin è sempre riconoscibile, lo è per l’armonia dei versi, per la purezza, per il suono cristallino, lo è per quel suo particolare modo di trattare delle cose di tutti i giorni, del prosaico, dei problemi quotidiani e della società, vuoi incomunicabilità, vuoto esistenziale, solitudine, vacuità e vanità, inserendo fra le pieghe dell’orrenda materia la luce che chiarisce e l’acqua che dilava, operando una purificazione, trasformando la spazzatura in volo d’angelo, in soffio puro. Poesia leggera, poesia liquida, fluida e trasparente, poesia che scorre come un fiume, un fiume che, nonostante gli inquinamenti, è ancora vivo, che ancora sa cantare e raccontare. Cosa c’entra tutto questo con il discorso iniziale sui coniugi? Sono partita dai coniugi e sono andata a finire in un fiume che scorre. Piace ricordare dello stesso autore “La distanza immedicata” dove ogni sezione porta il nome di un fiume, da quello mitico, intreccio tra Oceano e Teti, a quello in cui si suicidò Virginia Wolf. Il fiume che scorre è metafora di vita, come scrive Coelho nella sua poesia essere come il fiume che scorre “silenzioso nella notte, senza temere le tenebre… Se ci sono stelle nel cielo, rifletterle.”
Come è scritto nella Bibbia “tutti i fiumi corrono verso il mare” quando uniamo con quel giogo le nostre acque sorgive alle acque sorgive di un altro essere umano il fiume diventa più forte, le nostre acque più profonde. Cosa c’entra tutto questo con il discorso iniziale sui coniugi? Sono partita dai coniugi e sono andata a finire nelle acque sorgive e nel giogo. Quel giogo che è legame voluto e amato, necessario come lo sguardo degli amati, come lo sguardo dell’amato all’amata che perde le chiavi, o la via, che cerca i segreti in una borsa profonda, finché la gora si riempie d’acqua e tutto sgorga e defluisce fino a che tutto diviene luminoso lago.
***
Nel frattempo, al bivio
Come l’ala sfrutta il peso, chiedi un gesto
che porti in tavola o a dormire. Viene il mese giusto
intanto, con la sua muta affacciata ai frutti
in strada, che fanno aprile, nozze e ogni altro
a capo, per un soffio vivo e languido insieme
come se notte e cagna o giorno e angelo
sgorgassero qui, al bivio
con la platea da fare e la scrofa
che tiene il mondo in moto, che dispera
ai quattro angoli della lingua. E non c’è altro
infatti: autobomba, ladro, lavoro, amante
scarico dell’iva, tutto, dalla bocca
scuote le tende e nasce.
***
Quando perdi le chiavi
Quando perdi le chiavi
chiami deriva la via e Dio
l’osso del vero. Cadere e credere
infatti, chiudono la borsa
alle cose da fare, e la testa, talvolta.
Pare allora che il corpo consista
in tante piccole buche, in vuoti vicini,
in imbuti, dove la vita si versa
e scompare.
Scroscia invece in quella gora
il volo largo della specie, la spina
che volta in salvia il lutto, e ci fa chiari.
***
Se il fiume abbuia
Vorrei un verso che spiovesse
quieto sul palmo
e in mezzo
bambini anni luce balocchi, lo spigolo
del mondo
e una parola ancora, là dove il fiume
abbuia, dove due fa infinita lacerazione
e il corpo tace.
Stefano Guglielmin, Canti dell’amore coniugale (Inedito)
il blog dell’autore qui
serata di letture poetiche
video da me realizzato su una poesia Si dà il lampo tratta da “La distanza immedicata”
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neobar ha detto:
concordo sull’armonia, la purezza e il suono cristallino dei versi. Aggiungo anche la bellezza delle immagini che crea.
grazie
abele
gugl ha detto:
grazie! (se ci sono osservazioni critiche o curiosità – purché poetiche – ben vengano).
Pingback: Canti dell’amore coniugale – inediti di Stefano Guglielmin
enrico de lea ha detto:
che splendidi testi – complimenti
natàlia castaldi ha detto:
sono veramente belle. le immagini sono forti e contrastanti notte/cagna/giorno/angelo/lingua/platea/scrofa richiamano una successine di “figure” e flash in un gioco “sacro” – come ben dice Antonella – al massacro (mi si perdoni l’assonanza non voluta).
La tensione tra il detto e il sottinteso nella carne dei giorni è alta, sempre “tesa” come una corda, un legaccio o legame, intenso e profondo, una radice, un budello.
l’unica caduta, ma solo a mio gusto che non fa testo, è nell’ultimo verso della terza poesia, in quel corpo che tace.
una bellissima lettura, da approfondire e continuare, si spera.
nc
Anna Maria ha detto:
Trovo illuminante, nella bella lettura di Antonella Pizzo, l’accostamento allo scorrere di un fiume per i versi di Stefano Guglielmin. Ripeto e rileggo i versi iniziali di Quando perdi le chiavi e l’acqua del fiume, ingrossata dal vero, è un richiamo incessante:
Quando perdi le chiavi
chiami deriva la via e Dio
l’osso del vero. Cadere e credere
infatti, chiudono la borsa
alle cose da fare, e la testa, talvolta.
stefania c. ha detto:
Leggo un percorso definito, in questi tre testi. Il punto di partenza è la necessità di fare una scelta (il bivio, quel “gesto che porti in tavola o a dormire” cui si demanda una grandissima responsabilità, quella di indirizzare il nostro sguardo verso la direzione che ci salvi), per arrivare ad un senso di smarrimento, alla deriva (gli imbuti del corpo “dove la vita si versa / e scompare”). Infine il desiderio di un significato, di un verso che porti con sé pace, e la conseguente possibilità (remota?) di una parola che sia luce, forse salvezza, nei luoghi delle lacerazioni a due.
Letti, riletti e molto apprezzati, insieme alla bellissima nota di Antonella.
Grazie, un caro saluto
Stefania
Blumy ha detto:
grande bellezza, grande intensità lontana anni luce dal banale
Cristina Annino ha detto:
Continua fluidamente, Stefano, la bellissima rabbia di “C’è bufera..”. Non intendo certo che tu sia arrabbiato, ma che con spontaneità e nel modo giusto fai però capire alle parole chi comanda. Io lo trovo molto importante perché poi diventa generosità verbale, ampiezza abitabile per chi legge, fa pensare parecchio, rovescia i termini e così via.
Picasso e questi inediti: due facce della stessa medaglia, direi. E molto brava la Pizzo.
Cristina
francesco ha detto:
Apprezzati molto, Stefano.
Sai quello che penso della tua scrittura, che purtroppo a volte mi sembra passare in secondo piano dietro alla tua capacità critica sui lavori degli altri.
Testi molto densi, spigolosi negli opposti ma – mi sembra – un po’ più fluenti rispetto alle scelte del passato.
Francesco t.
nadia agustoni ha detto:
Fluenti e belli mi unisco agli altri e un saluto.
nadia agustoni
margherita ealla ha detto:
Anzitutto complimenti a gugl e ad Antonella per la sua nota bellissima e molto acuta, che inizia in un modo alto con quel “Mi accosto con il rispetto che è dovuto al sacro, giacché sacro è l’amore coniugale” (wow!), e prosegue altrettanto con ampi riferimenti e passaggi davvero illuminanti.
Ripercorrendoli, un po’ anche andando per la mia strada :), leggo che
se il “bivio”, dove tanto accade o è già accaduto “nel frattempo”,
dove il divaricarsi di strade (anche di crescita dentro un periodo comune) può rappresentare “dove due fa infinita lacerazione” (e quindi un darsi di ferita, sul bivio divaricata e dunque in impossibilità -forse-di essere smembrata del tutto, cioè di un rimarginarsi dopo)
se quel bivio rappresenta un acuto, “lo spigolo/del mondo” lì abbarbicato,
e si sono perse le chiavi in facoltà di aprire i lati come le braccia strette del bivio ad accogliere,
allora le acque non possono che provare a lasciarsi scorrere e la deriva diventa l’unica via praticabile
attorno a quell’ ”osso del vero”
aguzzo (come quella punta di scalpello del camuno nell’incredibile passaggio riportato in modo perspicace e ottimo da Antonella)
dicevo di quell’osso aguzzo di un Dio che ce lo punta addosso per farcisi attaccare
(così può in ogni momento dire ‘uomo molla l’osso!’ :))
come ramo che ci salva, o che staccandosi (perché già osso secco – Dio è morto?)
ci fa precipitare in solo corpo, a grave morto , inghiottito nel sé sforacchiato, che fa buco per l’acqua da ogni parte , “in tante piccole buche, in vuoti vicini,”
orifizi di noi,
dove la vita comunque si fa largo, di quel “volo largo della specie” spinto dall’ala che “sfrutta il peso” della prima poesia, in un infittirsi di piuma collettiva, la sola che possa portare verso l’alto (il chiaro), a dare il senso di “una parola, ancora”, fuori dal buio del gorgo, dal “fiume che abbuia”.
E in questo mio solito allargamento (allagamento) di lettura, del quale anche un po’ mi scuso, un’osservazione su “la spina /che volta in salvia il lutto”, che mi sembra il passaggio più criptico dei tre testi. Leggo il volgere “in salvia”, come il rendere perenne (attraverso la spina – dolore, o anche colonna vertebrale, di generazioni) quello che è il passaggio limitato del singolo (che termina nel lutto, in questo contesto non solo la morte, ma anche il distacco dal due)
Quello che però rende ‘sta spina ancora più ricca nel contesto della poesia proposta, è che per piccole variazioni si può ottenere:
da spina ––> spinta che aggancia il volo
da salvia ––> salva, cioè quello che ci salva dalla caduta nel baratro
da lutto ––> flutto.
Grazie!
Ciao.
redmaltese ha detto:
La cifra riconoscibilissima della scrittura di Stefano c’è tutta. Tuttavia, vuoi il tema (la quotidianità della vita coniugale, quel micro-macrocosmo privato a volte travagliato che per pudore o che per scelta poetica non liberiamo), vuoi il parziale abbandono a certa “freddezza” (di scrittura) presente per es. in c’è Bufera dentro la madre (ti seguo a fari spenti Stefano, da sempre) qui, seppur tra “spigoli- lacerazioni e vuoti vicini” (che riequilibrano certe licenze) appare tutto più“interiore”. A tratti, persino inaspettatamente domestico, malleabile. Seppur tutto quadra come sempre: forma e contenuti, significati e significanti, nel protendere verso questo viaggio, nella piena ricerca di una chiave, di una quiete, di una luce “giusta” che salvifica, o semplicemente nella ricerca più umile“di una parola ancora”, mi sembra che qui il cuore esca dalla tana e trovi, nella “liquidità” straordinaria del verso – come già ben menzionato e ispezionato da Antonella – la giusta sponda. Questo ( più cuore) a mio parere, dà a questi testi, che ho molto apprezzato, una luce nuova. Per il resto, per quanto mi riguarda, almeno, dopo le escursioni che ci concede la vita, una rilettura di noi stessi ogni tanto, delle cose che ci accadono intorno, può aiutare. Dedicarsi alla “manutenzione” del già acquisito, della famiglia, del lavoro, può in qualche modo beneficiarci.
Spero, caro Stefano, spero seriamente, che questo mio commento non ti turbi troppo. Intanto grazie per la gentile concessione.
buonanotte a te, ad Antonella, a tutti voi.
roberto
gugl ha detto:
@ Natalia: mi dici in che senso trovi la caduta nel verso che citi?
@ Francesco: più fluenti anche perché l’interlocutore è preciso, privato (ma non privato di senno, anzi)
@ Margherita: “salvia” (rinvia giustamente a “salvezza”, sia foneticamente che come pianta medicinale. Il suo profumo poi, così pungente, è, appunto, “spina” esso stesso, il rimedio al lutto, qui inteso quale abbandono ad un destino vissuto passivamente (passività che è la morte dell’amore, se, come si dice, l’amore va nutrito ogni giorno, agendo con forza e dolcezza insieme. E forza e dolcezza vengono dall’aver tratto conoscenza dal dolore, come dice Eschilo nell'”Agamennone”)
@ Red: i tuoi consigli finali sono saggi, quindi non mi turbano, anzi. La “freddezza” di “C’è bufera dentro la madre” è richiesta dall’oggetto stesso: “la vita quando svacca” come dice una mia poesia, vita che diventa insieme di azioni prive di senso unitario, come, per esempio, quelle compiute dai personaggi beckettiani. In questi inediti, invece, si cerca il senso unitario, a partire dalla constatazione che è stato perduto o si è consumato via via, per distrazione di entrambi.
@ Anna Maria, Stefania, Blumy, Cristina, Nadia e ai precedenti commentatori, un grazie di cuore (e di testa)
natàlia castaldi ha detto:
ti ripeto, Gugl, non fa testo il mio parere e lo dico in punta di piedi davvero. Mi sembra un’espressione scontata rispetto alla tensione e cura dei testi. Solo questo, solo personalissimo gusto, del tutto opinabile.
ciao.
gugl ha detto:
il verso che dici, forse, allenta la tensione, come se ci fosse spossatezza dopo tutta la tensione precedente. per ottenere questo effetto, mi pareva necessario creare una via più fluida, che non opponesse resistenza alla comprensione.
grazie.
natàlia castaldi ha detto:
a te.
antonella pizzo ha detto:
sono felice di aver avuto la possibilità di ospitare in questo blog le belle poesie inedite di Stefano, di cui mi onoro di essere amica, e lo ringrazio molto per questo dono. sono contenta anche per tutte le riflessioni e i commenti che da esse sono scaturiti; per cui oltre che Stefano ringrazio tutti i commentatori (che mi piace nominare in ordine di apparizione Abele, Enrico, Natàlia, Anna Maria, Stefania, Blumy, Cristina, Francesco, Nadia, Margherita, Roberto ) ringrazio anche per le parole spese per il mio modesto cappello, che più che cappello è stato solo un pre-testo. ciao a tutti da antonella
gugl ha detto:
Grazie a te Antonella, per l’umiltà e l’intelligenza con cui affronti questo difficile impegno.
Monex ha detto:
accucciato sulla roccia un antico Camuno con la punta dello scalpello incideva la scena che ancora oggi ci appare lampante come appena fatta un uomo e una donna in coppia e accanto i loro due bambini un maschio e una femmina. Larte preistorica si sa ricorre molto spesso al simbolismo E infatti simbolica la linea che unisce i piedi di marito e moglie come un giogo.
mariapia ha detto:
Lette, ma poi, ho voluto udirle e poi rileggerle, le poesie(peccato il sonoro che rimbomba nel primo video)ma é sicuro che Stefano, di cui vorrei leggere l’intera raccolta, rafforza per poi scioglierli, i nodi della sua tensione metafisico -poetica per riversarli in una sua liquidità che ne mantiene intatta la materia densa, la parola, forse alla ricerca di zone serene orizzontali. Momenti di grazie e levità che commuovono. Grazie Stefano e grazie Anto.