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da SEDICI MILIONI DI COLORI – libertaedizioni, 2009  – di Barbara Cannetti*

La mia vita è tutta qui

Trasformo la mia mente in un campo minato di magica follia
e non importa se resto così, ferma a guardare
un domani che forse non ci sarà…
la mia vita è tutta qui
ma è percorsa da un’elettrizzante energia
e non importa se scorre su filo spinato
su cui il cuore può restare mortalmente impigliato.
Tranelli e contraddizioni possono diventare soffici nuvole
o vaporosi guanciali
se li osservi da nuove angolazioni,
quelle di un’amicizia o di un rinnovato amore,
quelle che tempo non hanno
perché sempre in me saranno…
Non importa il luogo in cui sono finita…
quel che davvero importa
è prendere coscienza di ogni momento.

Quando anche la cultura discrimina
(di Barbara Cannetti)
Spesso, nell’ambito dei concorsi letterari, succede che se uno dei vincitori non si reca a ritirare personalmente il premio – qualunque ne sia la causa – quel riconoscimento in denaro non gli verrà assegnato e per posta gli verranno inviate solo pergamene, targhe o medaglie ricordo. Ma non è anche questa una forma di discriminazione nei confronti di persone con disabilità o con problemi di salute tali da impedir loro di muoversi da casa? Non dovrebbe contare solo la qualità dell’elaborato in concorso? Forse una discriminazione “di dettaglio”, ma è anche dai “piccoli particolari” che si può capire la civiltà e la sensibilità di un Paese

È partendo dai particolari, dai più piccoli dettagli, che spesso si può comprendere il grado di attenzione che un Paese concede ai suoi cittadini. In Italia, chi desidera diventare scrittore si trova a fare i conti con una realtà editoriale molto complessa: le case editrici medio-piccole, infatti, chiedono spesso contributi per pubblicare autori esordienti, mentre quelle di grandi dimensioni difficilmente se ne occupano. Da un lato si afferma che tutti devono poter avere le stesse opportunità in ogni campo della vita sociale, dall’altro lato si riconosce alle case editrici la libertà di pubblicare sulla base di regole che permettano loro di raggiungere un profitto, poiché si tratta pur sempre di aziende.

Ciò che tuttavia sorprende ancora di più sono le norme per la partecipazione ai concorsi. Mi riferisco a quelli letterari, poiché questo è il mio campo che, per interesse personale, ho avuto modo di indagare. Credo però che lo stesso si possa affermare per altri tipi di concorsi, ad esempio fotografici, di pittura o di scultura.
In sostanza, una persona con disabilità o con problemi di salute tali da impedire la libertà di movimento, se desidera partecipare a un concorso letterario, spesso si scopre discriminata in partenza, poiché si vede preclusa qualsiasi possibilità – in caso di vittoria – di ritirare il premio, soprattutto se si tratta di una somma in denaro. Non è infrequente, infatti, trovare bandi in cui si leggono formule come quella qui riportata, tratta – a solo titolo di esempio – da un bando aperto proprio in questi giorni: «I premi dal 1° al 3° posto dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori: l’assenza degli stessi alla cerimonia di premiazione, qualunque ne sia la causa, sarà considerata tacita rinuncia al premio in denaro che verrà incamerato dall’Associazione Culturale “xxx”; in tal caso, verranno spedite, a mezzo posta, le sole pergamene, nonché le targhe o medaglie ricordo».

Una formula che francamente mi sembra assurda: ancora una volta, infatti, viene leso il principio di uguaglianza ricordato nella Carta Costituzionale e ribadito in altri importanti documenti: tutti gli uomini hanno gli stessi diritti e doveri; e qui mi riferisco in particolare al principio di uguaglianza, alla libertà di espressione, di pensiero e di pari opportunità, oltre che alla dignità in tutti i campi della vita sociale. Per quale motivo allora, nel caso in cui un disabile partecipi a un concorso letterario e vinca un premio in denaro, quest’ultimo non gli deve essere elargito se non può presenziare alla cerimonia? Spesso questi premi sono finanziati anche da Enti Locali e prevedono una tassa di iscrizione, ma, nonostante ciò, sono di fatto preclusi a chi ha seri problemi. Non dovrebbero essere considerati solo i testi meritevoli, cioè quel che un autore sa scrivere ed esprimere? Non ritengo che tali formule siano eque, corrette e rispettose della dignità di tutte le persone che sono impossibilitate a spostarsi.

Si parla tanto di pari opportunità tra persone con disabilità e non, ma anche in un campo come questo non mi sembra vi sia una reale parità di trattamento né sensibilità e attenzione ai problemi di chi ha difficoltà maggiori rispetto alle persone normodotate. Si tratta di piccoli particolari, certo, ma è anche su questi che, a mio parere, si evidenzia la “sensibilità” di un Paese che si professa civile. Ciò dimostra invece quanto siamo ancora lontani dal rendere effettiva la partecipazione di tutti i cittadini alla vita sociale, politica, economica e culturale della società, ciascuno in base alle proprie capacità. Rivendico perciò il sacrosanto diritto di avere le stesse opportunità di tutti: chiedo troppo forse?

*Poetessa, narratrice, persona con disabilità. Recentemente ha pubblicato la sua prima raccolta di prose liriche, intitolata Sedici milioni di colori (per informazioni: info@libertaedizioni.net).