Halina Poswiatowska nacque nel 1935 e morì nel 1967 in Polonia, all’età di trentadue anni. Malata di cuore fin dall’infanzia, tra il 1958 e il 1967 pubblicò quattro volumi di poesie, racconti e una piéce teatrale. Era una grande poetessa, amata e venerata dai giovani del suo paese. “Racconto per un amico” apparve nel 1967 pochi mesi prima della sua morte. E’ un’opera autobiografica in cui emerge l’indissolubile legame tra scrittura e vita che caratterizza, in un modo assolutamente particolare, il suo stile.
Parlerò, amico mio. Forse sarebbe meglio tacere, ma il silenzio non è una soluzione, il silenzio non chiarisce. E io cerco sempre di spiegare, a me stessa e a te, che quanto ho fatto non è stato un tradimento. Anche quando ho desiderato morire, anche allora non ti ho mai tradito, né ho deluso la tua fiducia. E perciò, amico mio, io mi difenderò con le parole dal tuo silenzio.
Io voglio essere nei tuoi ricordi come sono veramente stata in tutti gli anni trascorsi insieme, in tutti i giorni in cui i nostri pensieri correvano insieme, consci della loro vicinanza: bastava scrivere una lettera o tendere una mano per imbattersi in una tua parola o in un tuo gesto affettuoso. Io voglio ridestare il nostro passato, il nostro comune passato, io voglio che su questi fogli che mi fronteggiano ancora bianchi tu ritrovi il battito vivo del mio cuore.
So che mi ascolterai con pazienza, altrimenti non avrei il coraggio di scriverti. Com’è difficile trovare le parole, e com’è difficile, una volta trovate, costringerle in frasi: altro che la fluidità del tuo stile o il coraggio con cui ti servi delle tue spericolate metafore! Ma non importa. Le cose di cui ti parlerò tu le conosci quanto me: considera perciò le mie parole come una specie di cartello stradale che ti indica una direzione nota. Porgimi la mano: ripercorriamo a ritroso le nostre orme, lascia che ancora una volta sia io a condurti.
Piove quasi ogni giorno, la terra si imbeve di umidità. Ogni volta che il sole fa capolino dalle nuvole, una fitta nebbia si solleva da terra e avvolge le cime dei pini. Quanti giorni sono, amico mio, che ce ne stiamo seduti insieme in questa piccola stanza, seguendo con lo sguardo le mosche insonnolite che interrompono il monotono disegno verde delle pareti? Quanti giorni sono che guardo le mie parole, mentre sopra di esse vedo spuntare gli angoli all’insù delle tue labbra? E così, non sono riuscita a evitare il pathos? Ma è davvero possibile evitarlo? Non è forse indissolubilmente legato a ogni parola? A volte penso che le parole siano state create apposta perché il pathos proliferi con più vigore. E i segni di interpunzione, quei trattini, quegli esclamativi, quei puntini?… E il pezzo di pagina bianca che segue l’ultima riga del capitolo? No, amico mio, il pathos è inevitabile e il tuo silenzio ne è pieno quanto le mie parole.
Il mio racconto: chissà se mai lo leggerai. Guardo con diffidenza il fascio dei fogli scritti: sapranno le parole difendermi meglio del silenzio? E’ ancora possibile esprimere qualcosa con le parole? E se sì, con quali? Le ho cercate con fatica, riguardandole più volte una per una, confrontandole con il mio amore e con il mio dolore. Confrontavo il desiderio con la parola desiderio, e per il mio amore più grande – quello per la vita- cercavo le definizioni più belle. Amo la vita, amico mio, e neanche quando mi ha ferito al punto da farmi, sia pur fuggevolmente, desiderare la morte, l’ho tradita. Non dimenticare che la morte mi è stata sempre vicina, troppo vicina per non abituarmi al sollievo del suo tocco freddo, troppo prossima per non costringermi alla sua abitudine. Ricorda pure che ho amato e che l’amore mi ha condannato alla morte. E tuttavia eccomi qua, a parlare con te. Ancora una volta il mio unico amore ha vinto: sono viva, posso guardare gli alberi piegati dal vento: i miei occhi colgono lo scintillio lontano del faro. Fuori di me sento il rombo dell’acqua schiumosa; dentro al petto sento pulsare, delicatissimo, il più sensibile tra gli strumenti che misurano il tempo: il cuore. E’ ancora debole, ma batte regolare e pompa, impavido, il sangue caldo.
Ascolta amico mio: queste pagine non sono altro che il suo ritmo.
(da Racconto per un amico, Halina Poswiatowska, Neri Pozza, 2006)
sandrapalombo ha detto:
Un diario lucido e spietato nei confronti della vita. Come morì? Sandra
luciannaargentino ha detto:
Morì per via del cuore fragile a causa di un’angina curata male in tempo di guerra. E’ un’autobiografia che racconta, attraverso la forza e la potenza delle parole, il suo immenso amore per la vita e per la poesia in essa racchiusa. Lucianna
fernirosso ha detto:
ad una distanza minima da se stessi,là dove in ombra c’è solo ciò che tocca terra e il resto,tutto il resto è già immerso in una luce netta,tagliente: da eclissi.In quella luce la parola taglia di netto,segna e distingue i lati dell’ombra propria e di quella portata,in coni e fasci di visioni che indicano la capacità, la volontà,così ripetutamente dichiarata nei tanti voglio che si sussegono, di restare di guardia,non solo a guardare, su ciò che profondamente ci unisce alla vita.Autrice di grande impatto emotivo e dotata di una parola “fortezza”,scritta in lei,non solo sulla carta.
margheritarimi ha detto:
Il segno di una delicata voce interiore, un monologo che sento invaso da un profondo silenzio, nonostante il suo bisogno di parole e spiegazioni.
bella scrittura.
grazie Lucianna
margheritarimi
Nightingale ha detto:
Tocca le corde dell’anima questo brano e nel silenzio che sfiora si snoda come un canto,una melodia di vita e di sangue che pulsa. Ho sentito nel profondo le parole che si domandano se ancora possano esprimere qualcosa e credo fermamente che ci sia ancora una via d’espressione al silenzio con esse. Un momento toccante di poesia estrema,come la morte citata,come la vita ascoltata con attenzione senza perderne mai il battito. La parola risolve il silenzio laddove il silenzio risolve la parola, in un cerchio che vive.
Nightingale
Francesco De Girolamo ha detto:
“E’ ancora possibile esprimere qualcosa con le parole?” La domanda di tutti noi… Questa meravigliosa (sfortunata?) ragazza ci dà una risposta di straordinario coraggio ed umiltà. Perché era una scrittrice vera…come poche. Le cui parole sono sempre una vittoria, per me. Mi sembra quasi di riuscire a sentire il battito flebile del suo cuore, nella sua sua prosa spoglia e affilata.
Halina… che nome dolce… trentadue anni, sacri, sacri, mille volte benedetti, pieni di un amore impagabile, eroico.
Vorrei avere trovato anch’io un “nonnulla” di quel suo “pathos” sublime che non era riuscita ad “evitare”…
Occhi tristi e sereni, penetranti e luminosi, anche nella vecchia foto un po’ ingrigita.
Splendido viso, mite e fiero. Indimenticabile.
Grazie, Lucianna.
francesco
maria pina ciancio ha detto:
Una parola offerta nel palmo della mano questa di Halina Poswiatowska. Da accogliere semplicemente. Mapi
luciannaargentino ha detto:
Saluto e ringrazio tutti gli amici e le amiche intervenute e spero tanto che vi abbia fatto venire la voglia di leggere questo libro (che peraltro costa solo 8 euro) perchè ne vale davvero la pena e davvero Francesco è la domanda che mi pongo anch’io quotidianamente “è ancora possibile esprimere qualcosa con le parole?”. Io spero di sì, altrimenti non sarei qui…
Un saluto carissimo, Lucianna
Maria Peruzzini ha detto:
Sono state pubblicate delle bellissime poesie di Halina Poswiatowska, tradotte da Anna Maria Bertinaria, nella rivista “Nuove Lettere” n.13-2008, che esce per le Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli.
lucianna.argentino ha detto:
Grazie Maria per questa segnalazione, cercherò di procurarmi questo numero della rivista. Un caro saluto, Lucianna Argentino