In tempi di alfabetizzati e di acculturati quanti libri si stampano, quante parole provano a mettere le ali e a sorvolare il mondo. Spesso precipitano dopo due battiti, pazienza, a qualcosa saranno servite.
Noi lettori abbiamo abbondanza di scelte, sovrabbondanza direi e qualche volta ci affatica trovare la perla vera fra tante plasticate. Mai demordere e continuare a cercare, minatori di pepite spaccaocchi.
Qui, ad esempio, ho un bellissimo libro di poesie di Doris Emilia Bragagnini, meravigliosamente prefato da Augusto Benemeglio, che si è offerto alla mia lettura senza infingimenti né letterari né razionali.
La poesia di Doris s’incunea nei meandri instabili degli eventi che la trafiggono e la incantano anche e quel suo atto concreto, non ancora carnale, la trasporta in territori infidi che ora sembrano miti, ora feriscono con lame affilate. Ma…. Qualcosa la trattiene al di qua di una soglia che violata , impedirà il ritorno e l’attrazione resta , insoddisfatta e dolente.
“Mi slegherò le dita
lo accarezzerò con vene nude”
Il tu usato frequentemente della poetessa non si lascia svelare docilmente: ora è uomo, ora alter ego, ora divinità; eppure è sempre la promessa di un’alterità che la conduce Oltreverso.
Ora comprendiamo il titolo: i linguisti parlavano del valore semantico del titolo. Oltreverso non è gioco di parole ma di significati , l’affermazione di un’istanza che resiste al verso, alla poesia, arte che le si avvicina ma che non la conquista; più misterioso il sottotitolo. Il latte è il nutrimento primario , l’originario stimolo erotico, ma è è anche e contemporaneamente simbolo del candore, dell’innocenza, della segnatura della specie. Siamo mammiferi, ci nutriamo di latte, ma se questo resta sulla porta, come e quando potremo raggiungerlo e farci nutrire, placare i morsi della fame e della disperazione?
“Un sorso solo, non un lamento
bocca offerta con sorriso di ciliegie
ultimo bacio freddo al cielo
di tormento già concluso
– insieme al battito -“
Questi versi fanno da spia e celano anche la fame d’amore nell’abbondanza di metafore, di essere presa e apprezzata, e il rifiuto e quel che era vivo cessa di battere. E’ l’estrema conclusione di Doris. Ma chi fosse colui da cui si aspettava un bacio, la stimmate del suo amore, non è detto, resta fantasmatico il destinatario e questo rimanere incognito rischia di rendere oscura la poesia di Doris;
eppure ci sono tanti indizi che ci veicolano verso un percorso di senso ripido forse, ma percorribile:
“Infrangibile nucleo
di scissione temporale
d’irrealtà negata. Amata”
La fantasticheria è l’aspetto caro dell’irrealtà, ma, credo, ciò che riusciamo a pensare possiede uno statuto d’esistenza, eppure i codici infranti si trasformano in salvavita disinnescati.
La vita nel suo interloquire con la nostra coscienza inventa o come un illusionista crea delle scappatoie e si può “ in un battito di ciglia/ gustare la secchezza dell’abbaglio/ e il morire poi d’improvvisa piena”…
Eppure Doris è donna consapevole del suo potere che , se mal gestito, potrà distruggerla e quindi la sua forza è nel negarsi e ciò accade, accade dentro di lei, in un’immersione a testa emersa ovvero in ultimo scatto d’orgoglio. E da qualche parte:
“ saprà di te l’innesto, inciso
a lato
impalcatura ad amo o chiodo fisso
__ libera_ carica_ libera__
non l’azzurro, chiuso, a forbice
Da lontananze ritorna la poetessa al suo bisogno di vicinanze, di visioni , di cieli aperti, di infiniti.
Se poi cadrà a strapiombo l’avrà cercato, sarà la scelta docile ad una vocazione.
La poesia della Bragagnini in questo suo scavarsi fino a corrodersi parole e cervello non teme le contraddizioni, anzi le contraddizioni cementano lo stare su questa landa che ha deserti e giardini e lei entrambi conosce come conosce le vette e gli abissi; non riesce a scegliere, non riesce a rinunciare , resta sul ciglio, borderline di un immenso amore che fronteggia l’immensa perdita.
La poesia di pagina 80 dà ragione di queste mie conclusioni , è una poesia molto bella, che ha due versi finali ; fra virgolette legami i margini, fammi restare , e sotto il verso della vecchia filastrocca : ambarabàciccicoccò tre civette sul comò.
Illudersi e ridere della propria illusione e durare a restare in bilico fra questi attanti: tema di Doris, tema di tutti noi che ancora speriamo di trovare la perla fra i liquami che ci attorniano.
Narda Fattori
*
Verso Oltreverso (la premessa)
Nel nido più alto
lo squarcio nel cielo
induce al raggiro
che io torni e traduca
il verso oltreverso
Ed appare e ferisce
ma ti salva il lambire
dell’onda bugiarda
di velieri agitati
Che torna e ti prende
mi trattiene e mi squassa
il mio cuore è una pista
in un mare di ghiaccio
dove in pattini d’oro
tu mi solchi e io vivo
*
Tremula certezza
Spoglio di te
vesti il mio sguardo
carezza abbacinata
percorro la tua mente
Filo di seta eroso
è clangore perso
l’eco tace
immersa in stanze buie
Lo slacciare dei non voglio
arrende il passo cieco
tremula certezza
che d’amore brucia
Tormento dell’ardire
è rosa acuminata
rossore che divora
tramonto che non cola
*
Breccia dolce
Chiamo docili le ore
lumi di lusinghe instabili
corde rotte di violino
– gatti da tacere –
a mani sulla bocca
È il tremore che mi assedia
del tuo sguardo reclinato
e la luce che disperde
mentre muore altrove
Breccia dolce nel ritorno
resti ostaggio del mio seno
del respiro che ti manca
mano aperta, che lo sfiora
*
al dorso
se una – fossetta – è il giorno e
il raggio a picco, sulla pelle
sono quelle fronde scure
palme di ventagli d’oasi
– ante – un po’ dischiuse
a spingermi nel resto dell’armadio
per chiedermi cos’abbiano le mani
del tuo consenso inerme
(come rumore di tordo o
garluppo di fondo, inespresso)
scivola dal palmo il sale per la coda
l’asciugatura al click, di un battito di ciglia
il filo per la presa
—————————-al dorso
“legami i margini, fammi restare”
ambarambaciccicoccò tre civette sul comò
*
il latte sulla porta
come una marea
che – liscia e liscia –
passi questa tomba scabra
come bocca disseccata e
a nulla vale il latte sulla porta
l’andirivieni della notte con i suoi alterni opali
pasti indotti, di una giovane falena
tendimi la pelle
fanne un tamburo per giorni muti
quando a sgranocchiare ore non ci penseranno i denti
ma una lingua, che si farà lasciva
nel porgerti le scuse d’essere stata onesta
ti laverò dal mio peccato – non del tutto – originale
luciderò quella salsedine, trama su papille scure
sarà l’estinguersi del solco a brindare al ventre storto
*
oppure un
sarà come lavarmi il viso
sorprendere di fresco gli occhi chiusi
e sbatterli di nuovo (e ancora) menta fino al verde
una goccia – estrema – capace di curvare l’angolo
che anche il fuso Rosaspina, inciso il polso
piange sonni e sangue immacolato, le voglie di paglia
la sete inappagata, hanno muso di sterpo e teche
a sorreggere le gambe, la corsa fuori
nuda oltre la tenda, ha voce di sabbia
“non avrei saputo dire il nome come simbolo d’amore”
un suono affastellato sulla lingua o rumore vicino l’ombelico
un pensiero di vento, oppure un vento che recita il tuo nome
all’improvviso, come vita in origàmi (o voli) sulla tua carne bruna
*
diffrazioni d’osservanza (fard à paupière)
non un vuoto contundente, così ampio
da tacermi – il luogo esponenziale è filmico
una ghirlanda d’aglio e fiordalisi morbida nel fiume
e un collo troppo piccolo per sostenere il cappio
sorprende poi di frodo come un letto richiudibile
due ante sulla steppa, il freddo dei natali di ogni giorno
lampadine ciondolate sopra il piatto da cocomero
(se non per questo – me – adesso
o la brina nei campi d’inverno quanto il fiato
avvampare d’incenso, braccia spiegate, all’essere viva)
mi tagliarono la coda, giace lì nel nylon, il colore sbiadito
nero pervinca di notti a venire, nello zoo del Tennessee
qui tra le stecche di un video su strada filtrano bucce per fard à paupière
– fiori di vetro – a due passi dal mondo, piena una slitta, da riempire galere
*
Doris Emilia Bragagnini, nata in provincia di Udine, dopo un’iniziale formazione scientifica si diploma all’Istituto Statale d’Arte dello stesso capoluogo. Considera e definisce con queste parole la sua biografia più essenziale: ”nata nel nordest vive da sempre a due passi da sé, qualche volta v’inciampa e ne scrive”. Compare con suoi testi in alcune antologie e prefazioni per sillogi poetiche, in blog e siti letterari web come: Filosofi Per Caso, Il Giardino Dei Poeti, Neobar, Torno Giovedì, Arte Insieme, Carte Sensibili, Le Vie Poetiche, VDBD, La poesia e lo Spirito. Ha partecipato al poemetto collettivo “La Versione di Giuseppe. Poeti per don Tonino Bello” (edito da Accademia di Terra d’Otranto, Neobar 2011). Inserita nell’antologia Fragmenta (premio Ulteriora Mirari ed. Smasher, 2011). È redattrice del blog di letteratura e poesia “Neobar”. Cura il blog personale “Inapparente Cremisi”.
“OLTREVERSO- il latte sulla porta”ed. Zona 2012 è la sua opera prima.
Vorrei dire con parole migliori (tendo a censurarla) della mia commozione nell’assorbire, respirare quello che ha scritto Narda Fattori in questa recensione. La poesia per me è cercarmi e aver ritrovato la voce. Accorgermi che qualcuno mi “trova” è una sensazione straordinaria. Naturalmente, pure nell’emozione non ho potuto fare a meno di notare il tocco magico che Narda Fattori ha nel condurre il discorso, toccando punti salienti e legandoli tra loro. La sua è una capacità rara e bella, quella di riuscire a parlare dei testi entrando con grande sensibilità nella dinamica che li muove, restituendone un significato più distinto e avvicinabile. Davvero grazie dal profondo.
Doris
sarei felicissimo di ospitarti a ex libris..
Roberto, essere tra i tuoi ex libris sarebbe un onore… e anche la tua lettura lo è. Felicissima. Un caro saluto!
D.
certo l’analisi di Narda Fattori sempre- e ogni volta di più- si addentra con acutezza e sensibilità ma rileggendo con calma a mio personale lettura io ravvedo anche un perenne tormento che corre tra parole e suoni- affastellati-di amore concreto , e in una ricerca senza fine
Come sempre Narda entra nei testi di un poeta con l’acutezza di chi oltre alla competenza letteraria specifica, coglie le più profonde ragioni dii chi, scrivendo, si mette a nudo in un silenzioso grido: sono qui, ascoltatemi!
Doris scrive di sé, perché non altro può essere la poesia, se non il proprio vissuto filtrato dalle emozioni e svolto nella migliore delle forme. Appunto.
bravissime entrambe!
cri
Ciao Dominica (sono contenta tu sia qui!), la tua considerazione è giustissima, hai colto sì quello che mi anima nello scrivere perché se vero è, come dice Narda Fattori che: “La poesia di Doris s’incunea nei meandri instabili degli eventi che la trafiggono e la incantano” o come dice Cristina Bove: “scrive di sé, perché non altro può essere la poesia, se non il proprio vissuto filtrato dalle emozioni”, esiste poi quella irrinunciabile componente seguente che in me si agita in forma quasi ossessiva, nella ricerca “che corre tra parole e suoni- affastellati-“. Se il dettato parte da un imput emotivo il passo successivo, immediato, è quello di filtrarne il contenuto dove ogni parola deve essere assolutamente quella non più sostituibile, quella più vicina a un senso che abbia valore per il mio ascolto, e il mio ascolto all’interno di un’orchestra di elementi va alla ricerca del suono unico e lancinante del solista che -deve – avere il modo d’esprimere la sua concezione dell’attimo preciso. Spesso si tratta di primissimi piani, quasi all’ingranditore. Facevo ieri un esempio a un’amica, dicevo: amo osservare da vicino, vicinissimo, i particolari, quello che trovo poetico, e lo devo vedere a pochissima distanza, mi ci devo quasi fondere; facile che di un abito io ne inquadri il bottone o la cucitura. Gli interi, la visione globale, universale, per me non ha interesse se prima non ho esaurito la fame di appropriarmi di quel microscopico significato che in poesia diventa – preciso rumore-, ottenuto anche dalla scelta di una forma categorica che viene data al verso con la disposizone grafica: come disporre delle casse di risonanza. Questo è il perenne tormento che corre tra parole e suoni- affastellati-di amore concreto, e in una ricerca senza fine. Quello per la parola. Diceva Lorca che – la poesia non cerca seguaci, cerca amanti-, sottrarmi in questo “gioco” mi è assolutamente impossibile, il nostro è un tempestoso menage a trois, felice solo quando, oltre all’amante ne divento anche la complice.
Grazie Dominica e Cristina per le vostre letture!
Doris